— È probabile — disse Damon, rammaricandosi di non poter rimandare l’annuncio d’un altro giorno — che verremo trasferiti nella sezione azzurra, in alloggi forse affollati. A quella sezione può venire trasferito il personale delle autorizzazioni. Dovremo andare con gli altri.
Elene alzò le spalle. — Va bene. È già stato disposto?
— Lo sarà.
Elene scrollò le spalle una seconda volta; perdevano la loro casa, e lei scrollava le spalle, guardando attraverso le finestre i moli sottostanti, e la folla, e le navi mercantili.
— Non arriverà qui — insistette lui, sforzandosi di crederlo, perché Pell era la sua patria, in un senso che nessun marinaio dei mercantili poteva comprendere. Erano stati i Konstantin a costruire questo luogo, fin dall’inizio. — Qualunque cosa sia, sarà l’Anonima a perderlo… non Pell.
Poi, dopo un momento, spinto dalla coscienza se non dal coraggio: — Devo andare là, sui ponti della quarantena.
La Norway si avvicinò prima delle altre: la ciambella toroidale e sgraziata di Pell brillava sui suoi schermi video. I ricognitori erano disposti a ventaglio e per il momento tenevano lontani i mercantili. Gli equipaggi delle navi di profughi restavano saggiamente in fila, senza dare disturbo. La falce pallida del Mondo di Pell — la Porta dell’Infinito, secondo la nomenclatura di Pell — era sospesa al di là della stazione, segnata dai vortici dei temporali. Seguirono il segnale della Stazione di Pell, portandosi all’altezza delle luci lampeggianti sull’area designata per l’attracco. Il cono che avrebbe accolto la sonda anteriore brillava di un colore azzurro, segnale di via libera. Sul video, lievemente deformata, apparve la scritta SEZIONE ARANCIO, accanto a un groviglio di pannelli solari. Signy inserì il rilevatore, vide gli sviluppi della situazione nell’immagine ripresa da Pell. Un vociare ininterrotto arrivava dalla centrale di Pell e dai canali della nave, tenendo impegnati una dozzina di tecnici delle comunicazioni.
Incominciarono la fase finale dell’avvicinamento, la gravità diminuì gradatamente via via che il cilindro rotante interno della Norway, disposto in senso longitudinale, rallentava e si bloccava nella posizione d’attracco, con tutti i ponti del personale orientati sull’asse orizzontale della stazione. Per un po’, sentirono potenziate le altre tensioni, in una serie di ri-orientamenti. Il cono torreggiava, offrendo un agevole attracco; effettuarono l’aggancio, una prolungata conferma dell’ultimo schiaffo della gravità… e aprirono gli accessi per il personale dei moli di Pell, ormai stabilizzati sulla rotazione di Pell.
— Dal molo mi segnalano tutto tranquillo — disse Graff. — La polizia della stazione è dappertutto.
— Messaggio — si udì nell’interfono. — Il dirigente della stazione di Pell a Norway: si richiede collaborazione militare con uffici già predisposti per facilitare le operazioni come da vostre istruzioni. Tutte le procedure sono state disposte secondo il programma richiesto, con gli ossequi del dirigente della stazione, comandante.
— Risposta: la Hansford arriverà immediatamente e dichiara un’avaria ai sistemi di supporto vitale e possibilità di disordini a bordo. State lontani dalle nostre linee. Chiuso… Graff, diriga lei le operazioni. Di, faccia uscire immediatamente le truppe sul molo.
Signy si alzò e tornò indietro, attraverso gli stretti passaggi inclinati del ponte di comando, fino al piccolo compartimento che le faceva da ufficio e che spesso utilizzava anche per dormire. Aprì l’armadietto, indossò una giacca, e infilò in tasca una pistola. Non era un’uniforme. Forse nessuno, nella flotta, possedeva un’uniforme regolamentare. Da troppo tempo i rifornimenti scarseggiavano. Il cerchietto che indicava il grado di comandante, fissato al colletto, era l’unica cosa che la distingueva da un capitano d’un mercantile. Le truppe non avevano uniformi migliori, ma erano corazzate: e quella protezione veniva tenuta in buone condizioni, a qualunque costo. Prese l’ascensore e si affrettò a scendere nel corridoio inferiore, procedendo in mezzo alle truppe che Di Janz stava facendo affluire sul ponte, in assetto da combattimento, attraverso la galleria di accesso, in quegli ampi spazi gelidi.
L’intero molo era a loro disposizione: un’immensa prospettiva incurvata verso l’alto, gli archi delle sezioni chiusi dal soffitto via via che la parete esterna della stazione calava a sinistra verso l’orizzonte graduale; sulla destra c’era un portello di sezione, che arrestava lo sguardo. C’erano soltanto le squadre addette al molo e le loro scale portatili; e gli addetti alla sicurezza della sezione, e i banchi operativi, tutti ben lontani dall’area della Norway. Non c’erano operai indigeni, lì, in quella situazione. Sul molo immenso erano sparpagliati fogli di carta e indumenti dimenticati, a testimonianza di una ritirata frettolosa. I negozi e gli uffici erano vuoti; anche il corridoio al centro del molo appariva egualmente deserto e pieno di ciarpame. La voce profonda di Di Janz echeggiava fra le travature metalliche, mentre ordinava alle truppe di spiegarsi intorno all’area dove avrebbe attraccato la Hansford.
Gli scaricatori di Pell si avvicinarono. Signy rimase ad osservare mordendosi nervosamente le labbra, quando le si accostò un civile, piuttosto giovane, bruno, dal profilo aquilino, che portava una tabella e aveva un aspetto molto ufficiale nel suo abito blu. Tramite un auricolare, Signy era costantemente informata della situazione dell’Hansford, un afflusso continuo di cattive notizie. — Lei chi è? — chiese.
— Damon Konstantin, comandante, dell’Ufficio Legale.
Signy gli lanciò una seconda occhiata. Un Konstantin. Sì, poteva darsi. Angelo aveva avuto due figli maschi, prima che capitasse l’incidente a sua moglie. — Ufficio Legale — disse, in tono disgustato.
— Sono qui per sentire se ha bisogno di qualcosa… o se ne hanno bisogno loro. Sono in collegamento con la centrale.
Si udì uno schianto. L’Hansford attraccò malamente, scese stridendo lungo il cono-guida e si assestò sussultando.
— Agganciatela e andatevene! — ruggì Di agli uomini del molo; lui non si serviva di collegamenti radio.
Graff stava impartendo gli ordini dalla sala comando della Norway. L’equipaggio dell’Hansford sarebbe rimasto chiuso in plancia, a dirigere a distanza le operazioni di sbarco. — Ho detto loro di andarsene — riferì Graff. — A ogni tentativo di avvicinarsi alle truppe risponderemo col fuoco.
I collegamenti erano stati completati. La rampa era a posto.
— Muovetevi! — muggì Di. Gli uomini corsero al di là delle truppe schierate; i fucili furono spianati. Il portello si aprì con un tonfo sul tubo d’accesso.