Sugli schermi la situazione peggiorava; le truppe si dirigevano verso il cuore della stazione, il servizio di sicurezza cercava di seguire da lontano gli avvenimenti, passando in fretta da una telecamera all’altra, in un rapido succedersi di immagini.
— Il personale vuol sapere se blocchiamo le porte del centro di controllo — disse il consigliere, affacciandosi sulla soglia.
— Contro i fucili? — Angelo si umettò le labbra, scosse lentamente la testa, fissando l’alternarsi delle inquadrature.
— Chiami Mazian — disse Dee, un nuovo arrivato. — Protesti.
— L’ho fatto, signore. Non ho ricevuto risposta. Credo che sia dalla loro parte.
Disordini nella zona Q, riferì uno schermo. Tre morti accertati. Numerosi feriti…
— Signore — arrivò una chiamata, interrompendo il messaggio, — stanno premendo contro le porte della zona Q, cercano di abbatterle. Dobbiamo sparare?
— Non aprite — disse Angelo. Il cuore accelerava i battiti davanti a quel crescendo di follia. — Negativo. Non sparate a meno che le porte vengano sfondate. Che cosa volete? Farli uscire?
— No, signore.
— E allora non fateli uscire. — Il contatto s’interruppe. Angelo si asciugò il viso. Si sentiva male.
— Andrò io — si offrì Damon, alzandosi.
— Tu non vai in nessun posto — disse Angelo. — Non voglio che ti trovi coinvolto in un’azione militare.
— Signore — disse una voce ansiosa accanto a lui, qualcuno che era sceso dai banchi. — Signore…
Kressich.
— Signore — disse Kressich.
— Il comunicatore della zona Q non funziona — riferì il comando della sicurezza. — L’hanno sfasciato di nuovo. Potremo cercare di provvedere. Non possono aver raggiunto gli altoparlanti del molo.
Angelo guardò Kressich, un uomo grigio e stralunato, il cui aspetto era peggiorato ancora di più negli ultimi mesi. — Ha sentito?
— Hanno paura — disse Kressich, — che ve ne andiate di qui e che la Flotta li consegni alla Confederazione.
— Noi non sappiamo che intenzioni abbia la Flotta, signor Kressich, ma se un’orda inferocita sta cercando di abbattere quelle porte per fare irruzione nella nostra area, non potremo far altro che sparare. Le consiglio di mettersi in contatto con quella sezione appena avranno ristabilito il collegamento, e se c’è un altoparlante che non hanno sfasciato, glielo faccia sapere chiaramente.
— Sappiamo di essere dei paria, qualunque cosa succeda — rispose Kressich con le labbra tremanti. — Abbiamo chiesto tante volte di accelerare i controlli, di distribuire le carte di identità, di abbreviare le pratiche. Ormai è troppo tardi, no?
— Non è detto, signor Kressich.
— Provvederete prima alla vostra gente, la sistemerete comodamente sulle navi disponibili. Vi prenderete le nostre navi.
— Signor Kressich…
— È stato fatto il possibile — disse Jon Lukas. — Alcuni di voi possono avere documenti regolari. Cerchi di non rovinare tutto, signore.
Kressich ammutolì di colpo, assunse un’espressione incerta e sbiancò in volto. Le labbra furono scosse da un tremito, e poi anche il mento; strinse convulsamente le mani.
È sorprendente, pensò acido Angelo, come riesce a scendere nei dettagli pratici.
Congratulazioni, Jon.
Era facile risolvere il problema dei profughi della zona Q. Bastava offrire documenti a tutti i loro capi, e farli ragionare. Certuni l’avevano proposto.
— Hanno preso il settore azzurro tre — mormorò Damon. Angelo seguì il suo sguardo verso i monitor, dove l’afflusso delle truppe corazzate e l’occupazione dei corridoi era diventato un processo rapido, meccanico.
— Mazian — disse Jon. — Mazian in persona.
Angelo fissò l’uomo dai capelli argentei in prima fila, contando mentalmente i secondi che quella marea di soldati avrebbe impiegato per salire le rampe d’emergenza e arrivare al loro livello, fino alla porta della sala del consiglio.
La stazione sarebbe rimasta in mano sua fino a quel momento.
Le immagini cambiarono. Lily si scosse, balzò in piedi e camminò avanti e indietro, un passo verso i pulsanti, un passo verso la sognatrice, che aveva gli occhi turbati.
Finalmente trovò il coraggio di allungare la mano verso i comandi, per cambiare il sogno.
— No — le disse bruscamente la sognatrice; lei si voltò e vide la sofferenza… gli occhi scuri e bellissimi nel volto pallido, le lenzuola bianche, e c’era luce ovunque, ma non in quegli occhi che fissavano le immagini sulle pareti. Lily tornò da lei, s’interpose fra il sogno e la sognatrice, assestò il cuscino.
— Ti cambio posizione — propose.
— No.
Lily le accarezzò la fronte, delicatamente. — Dal-tes-elan, ti voglio bene, ti voglio bene.
— Sono soldati — disse Il-Sole-è-suo-amico, con quella voce così calma che trasfondeva pace negli altri. — Uomini-con-fucili, Lily. Sono guai. Non so che cosa può accadere.
— Sogna di farli andar via — implorò Lily.
— Non ho il potere di farlo, Lily. Ma vedi, non usano i fucili. Non fanno male a nessuno.
Lily rabbrividì e le restò vicina. Di tanto in tanto, sulle pareti sempre mutevoli, appariva la faccia del sole, e ciò le rassicurava, e le stelle danzavano, e la faccia del mondo brillava per loro come la falce della luna. E la fila degli uominì-nei-gusci si allungava, e riempiva tutte le strade della stazione.
Non ci fu resistenza. Signy non aveva estratto la pistola, sebbene tenesse la mano sul calcio. E neppure Mazian o Kreshov o Keu. Era compito delle truppe avanzare minacciose con i fucili spianati. Avevano sparato una raffica d’avvertimento sui moli, ed era bastato. Si muovevano in fretta, senza lasciare tempo di riflettere a chi si parava davanti a loro e senza lasciare alcuna possibilità di discussione. Erano ben pochi quelli che si mettevano sulla loro strada, in quelle sezioni. Angelo Konstantin aveva dato ordini precisi, pensò Signy… l’unica soluzione ragionevole.
Cambiarono livello, salirono una rampa in fondo al corridoio principale. I passi echeggiarono nel vuoto; il rumore delle truppe che avanzavano lentamente per andare a piazzarsi a intervalli prestabiliti sollevava echi ancor più profondi. Passarono dalla rampa d’emergenza e raggiunsero il comando della stazione; anche i soldati irruppero nella sala, agli ordini degli ufficiali, e spianarono i fucili, mentre altri drappelli si avviavano nei corridoi laterali per invadere altri uffici; niente spari. Continuarono a muoversi lungo i corridoi centrali; passarono dal freddo acciaio e dalla plastica alle superfici più morbide che attutivano i rumori; entrarono nella sala con le bizzarre statue lignee, i cui occhi non apparivano più turbati di quanto lo erano stati prima d’ora.