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Dall’altra parte del pendio, qualcuno chiamò; c’erano braccia alzate a indicare qualcosa. La luce della nave che scendeva era già visibile nel cielo pallido… prima di quanto avessero desiderato.

— Minz! — Emilio chiamò una degli hisa, e lei arrivò; una femmina con la bianca cicatrice d’una vecchia ustione sul braccio; arrivò carica com’era e ansimante. — Nascondetevi — le disse, e lei tornò indietro di corsa, passando parola ai compagni.

— Dove stanno andando? — chiese Miliko. — Lo hanno detto?

— Lo sanno soltanto loro — disse Emilio. L’abbracciò più stretta, per ripararla dal vento. — E forse torneranno… dipende da chi sarà a chiederlo.

— Se ci porteranno via…

— Faremo tutto ciò che potremo. Ma nessun estraneo potrà dar loro ordini.

La luce della nave divenne più brillante, più intensa. Non era una delle loro navette: era più grande, più minacciosa.

Un mezzo militare, pensò Emilio. Un cargo speciale.

— Signor Konstantin. — Uno degli operai arrivò correndo, si fermò e allargò le braccia in segno di sbalordimento. — È vero? È vero che lassù c’è Mazian?

— Ci hanno informati che è proprio così. Non sappiamo che cosa sta succedendo lassù; a quanto sembra, la situazione è tranquilla. Non bisogna perdere la calma; avverta gli altri… cerchiamo di tenere la testa a posto e di far fronte agli eventi. Nessuno deve parlare delle provviste mancanti; nessuno deve farne cenno, chiaro? Ma non permetteremo che la Flotta ci depredi e poi se ne vada lasciando la Stazione ridotta alla fame: è questo che sta succedendo. Informi gli altri anche di questo. E prendete gli ordini soltanto da me, da me e da Miliko, chiaro?

— Signore — mormorò l’uomo, ma quando Emilio lo congedò con un cenno, corse via a dare la notizia agli altri.

— Meglio andare a Q — disse Miliko.

Emilio annuì, e si avviò in quella direzione, lungo il fianco della collina. Dalla cima si notava il chiarore delle luci del campo d’atterraggio che si erano attivate per guidare la nave. I due percorsero il sentiero che portava a Q e trovarono Wei. — C’è la Flotta, lassù — disse Emilio. E fra il brusio di panico che si levò immediatamente, aggiunse: — Stiamo cercando di salvare i viveri per la stazione e per noi, di evitare che la Flotta venga a spadroneggiare quaggiù. Non avete visto nulla. Non avete sentito nulla. Siete sordi e ciechi, e non avete nessuna responsabilità. La responsabilità è mia.

Si levò un mormorio da parte degli operai residenti, quelli di Q. Emilio e Miliko si voltarono, e si avviarono lungo il sentiero verso il campo d’atterraggio; intorno a loro si formò una folla di dirigenti e di operai… e c’erano anche quelli di Q; nessuno li trattenne. Non c’erano più guardie, né lì né agli altri campi; quelli di Q lavoravano secondo i programmi stabiliti, come gli altri operai. Non mancavano le discussioni e le difficoltà; ma erano senz’altro meno pericolosi di quel che stava scendendo dal cielo, e che avrebbe preteso rifornimenti per le navi cariche di truppe, e forse avrebbe chiesto anche del personale.

La nave scese con grande fragore, si posò sul campo d’atterraggio, e sul fianco della collina tutti si tapparono gli orecchi e si ripararono dal vento fetido, fino a quando i motori si spensero. Adesso la nave era immobile nella luce dell’alba, estranea a sgraziata, irta d’armi da guerra. Il portello si aprì, la rampa si posò sul terreno, e le truppe corazzate si precipitarono fuori, mentre loro li osservavano dal fianco della collina, senza corazze e senz’armi. I militari spianarono i fucili. Un ufficiale scese la rampa, e uscì nel chiarore del giorno. Era un uomo dalla pelle scura, con il respiratore e senza casco.

— Quello è Porey — mormorò Miliko. — Dev’essere Porey in persona.

Emilio sentì il peso che gli gravava addosso farsi ancora più opprimente, e lasciò la mano di Miliko; ma lei non lasciò la sua. Scesero insieme la collina, incontro al leggendario comandante… si fermarono a portata di voce, fin troppo consapevoli dei fucili che adesso erano molto più vicini.

— Chi dirige questa base? — chiese Porey.

— Emilio Konstantin e Miliko Dee, comandante.

— Siete voi?

— Sì, comandante.

— Vi comunico che è stata istituita la legge marziale. Tutte le provviste di questa base sono confiscate. Tutte le forme di governo civile, umano e indigeno, sono sospese. Consegnerete immediatamente tutti i documenti relativi all’equipaggiamento, al personale e alle provviste.

Emilio fece un gesto ironico con la mano, indicando le cupole appena ripulite. Porey non sarebbe stato molto soddisfatto, pensò. Erano scomparsi anche certi libri contabili. Aveva paura, per se stesso, per Miliko… per gli uomini e le donne di quella base e delle altre; e forse soprattutto per gli hisa, che non avevano mai visto la guerra.

— Voi resterete su questo pianeta — disse Porey, — per collaborare con noi secondo le necessità.

Emilio sorrise a denti stretti e non lasciò la mano di Miliko. Era un arresto, in pratica. Il messaggio di suo padre, che l’aveva strappato dal sonno, gli aveva dato un preavviso. Intorno a lui c’erano operai che non avevano mai chiesto di finire in quella situazione, che si erano offerti volontariamente per quel servizio. Contava non tanto sul loro silenzio, quanto sulla sveltezza degli hisa. Era addirittura possibile che i militari limitassero ancora di più i suoi movimenti. Pensò ai suoi familiari, nella stazione, alla possibilità che Pell venisse evacuata e che gli uomini di Mazian devastassero volutamente la Porta dell’Infinito, distruggendo tutto ciò che non volevano finisse nelle mani della Confederazione, arruolando a forza nella Flotta tutti quelli giudicati abili. Avrebbero armato anche gli hisa, pur di farli combattere contro la Confederazione.

— Discuteremo la cosa — disse, — comandante.

— Le armi devono essere consegnate ai miei uomini. Il personale verrà perquisito.

— Propongo di discuterne, comandante.

Porey fece un gesto brusco. — Portateli dentro.

I soldati si mossero verso di loro. La mano di Miliko strinse più forte quella di Emilio. Avanzarono spontaneamente, si lasciarono perquisire e condurre su per la rampa, nella luce cruda dell’interno della nave, dove Porey attendeva.

Emilio si fermò in cima alla rampa, accanto a Miliko. — Noi siamo i responsabili di questa base — disse. — Non voglio farne una questione pubblica. Sono disposto a soddisfare le sue richieste entro limiti ragionevoli.

— Lei sta minacciando, signor Konstantin.

— Sto solo facendo un’affermazione. Ci dica di che cosa ha bisogno. Conosco questo mondo. Una riorganizzazione militare, in un sistema operativo, richiede diverso tempo per poter funzionare, e in certi casi l’intervento potrebbe essere deleterio.

Fissò gli occhi di Porey, orlati di cicatrici, e comprese che quell’uomo non amava venire sfidato. Era pericoloso.

— I miei ufficiali verranno con voi — disse Porey, — per prendere i documenti.

CAPITOLO QUINTO

PELL: SETTORE BIANCO DUE; ore 1700

Erano entrati i poliziotti; uomini silenziosi, che si erano fermati accanto alla porta a parlare con il supervisore. Josh li guardava di sottecchi e teneva la testa bassa; le sue dita continuarono a rimuovere il pezzo. La ragazza accanto a lui aveva smesso di lavorare. Gli diede una gomitata.

— Ehi — gli disse. — Ehi, la polizia.

Erano cinque. Josh ignorò la gomitata nelle costole, e la ragazza lo colpì più forte.