— Presto torneremo indietro — disse l’uomo… si chiamava Blass, Abe Blass. — Non è stato un balzo lungo, solo il necessario per tenerci lontani da Mazian. Si tranquillizzi, signor Lukas. Lo stomaco va meglio, adesso?
Lui non disse nulla. Sentirsi ricordare il suo malessere gli causò una contrazione alle viscere.
— Non è niente di grave — disse sottovoce Blass, continuando a tenergli la mano sulla spalla. — Assolutamente, signor Lukas. L’arrivo di Mazian non ci preoccupa.
Lukas lo guardò. — E se la Flotta ci individuasse al nostro ritorno?
— Possiamo sempre spiccare un balzo — disse Blass. — La Swan’s Eye non si sarà allontanata dalla sua posizione; e Ilyko non parlerà; sa qual è il suo interesse. Stia tranquillo, signor Lukas. Si direbbe che noi le ispiriamo ancora una certa apprensione.
— Se mio padre, a Pell, venisse compromesso…
— Non è probabile che questo avvenga. Jessad sa quello che fa. Mi creda. È tutto previsto. E la Confederazione si prende cura dei suoi amici. — Blass gli batté la mano sulla spalla. — Se la sta cavando bene, per essere al suo primo balzo. Ascolti il consiglio di un veterano e non si affatichi. Si rilassi. Torni nella sala, e io verrò a parlarle appena avremo calcolato il prossimo movimento.
— Signore — mormorò Lukas, e obbedì; passò di nuovo davanti alla guardia, e raggiunse la sala deserta. Sedette sulla panca, appoggiò il braccio sul tavolo e deglutì a fatica.
Non era soltanto la nausea dovuta al balzo. Era terrorizzato. Devo fare di te un uomo: gli sembrava di sentire la voce di suo padre. Era avvilito. Lui era fatto così, e non si trovava a suo agio, con i tipi come Abe Blass e quegli individui che sembravano tutti eguali. Suo padre lo riteneva sacrificabile. Se fosse stato ambizioso avrebbe cercato di approfittare della situazione, di ingraziarsi la Confederazione. Ma non lo faceva. Conosceva le sue capacità e i suoi limiti, e voleva Roseen, con le sue comodità; voleva bere un buon drink, ma gli veniva negato a causa delle droghe che aveva dovuto assumere.
Era tutto inutile; e l’avrebbero portato nella Confederazione, dove tutti rigavano diritto, e quella sarebbe stata la fine di tutto ciò che conosceva. I cambiamenti gli facevano paura. Quello che aveva a Pell gli andava bene. Non aveva mai chiesto molto alla vita, non aveva mai chiesto molto a nessuno, e il pensiero di trovarsi lì, in mezzo al nulla… gli dava gli incubi.
Ma non aveva scelta. A questo aveva provveduto suo padre.
Finalmente Blass arrivò, e si mise a sedere; stese le carte sul tavolo con aria solenne e gli spiegò varie cose, come se lui fosse un personaggio importante per la missione. Lukas guardò il diagramma e cercò di comprendere le premesse di quei movimenti nel nulla, mentre in realtà per lui non avevano alcun senso.
— Dovrebbe avere fiducia — disse Blass. — Le assicuro che in questo momento è molto più al sicuro qui che nella stazione.
— Lei è un alto ufficiale della Confederazione — disse Lukas. — Non è vero? Altrimenti non l’avrebbero mandato… così.
Blass alzò le spalle.
— Hammer e Swan’s Eye… sono tutte le navi che avete nei pressi di Pell? — Blass alzò di nuovo le spalle. Quella fu la sua risposta.
CAPITOLO SESTO
C’era stato un grande viavai di umani per molto tempo, uomini-nei-gusci che portavano fucili. Satin rabbrividì e si rincantucciò nell’ombra, vicino al montacarichi. Molti erano fuggiti quando comandavano i Lukas, ed erano fuggiti di nuovo quando erano arrivati gli stranieri, per vie che solo gli hisa potevano seguire, le vie strette, le gallerie buie dove gli hisa potevano respirare senza maschera e gli uomini no. Gli uomini di lassù conoscevano quelle vie, ma non le avevano ancora mostrate agli stranieri, e gli hisa erano al sicuro, anche se alcuni di loro piangevano al buio sommessamente perché gli uomini non sentissero.
Non c’era speranza. Satin sporse le labbra e arretrò, acquattandosi; attese mentre veniva cambiata l’aria e ritornò in fretta nel buio, al sicuro. Una mano la sfiorò. C’era odore di maschio. Sibilò in tono di rimprovero e cercò con il fiuto il suo maschio. Un caldo abbraccio. Appoggiò stancamente la testa su una spalla robusta, per dare e ricevere conforto. Denteazzurro non le fece domande. Sapeva che non c’erano notizie migliori, perché così le era stato detto quando aveva insistito per uscire a vedere.
C’erano guai, brutti guai. I Lukas parlavano e davano ordini, e gli stranieri minacciavano. Il Vecchio non c’era… non c’era nessuno dei veterani, che se ne erano andati chissà dove a farsi i fatti loro, a proteggere cose importanti, pensava Satin. A svolgere compiti per ordine di umani importanti, forse compiti che riguardavano gli hisa.
Ma loro avevano disobbedito, non erano andati dai supervisori, come non c’erano andati i Vecchi, anch’essi ostili ai Lukas.
— Torniamo indietro? — chiese finalmente qualcuno.
Sarebbero stati nei guai, se si fossero presentati dopo essere fuggiti. Gli uomini si sarebbero arrabbiati con loro, e gli uomini avevano i fucili. — No — disse Satin, e quando si levarono mormorii di dissenso, Denteazzurro girò la testa ed espresse un rifiuto ancor più rabbioso. — Pensate — disse. — Se andiamo là, ci troveremo gli uomini e saranno grossi guai.
— Ho fame — protestò uno.
Nessuno rispose.
Forse gli uomini avrebbero tolto agli hisa la loro amicizia, per ciò che avevano fatto. Adesso se ne rendevano conto chiaramente. E senza quell’amicizia, avrebbero potuto restare per sempre sulla Porta dell’Infinito. Satin pensò ai campi della Porta dell’Infinito, alle nubi morbide che un tempo aveva creduto abbastanza solide per salirci sopra, alla pioggia e al cielo azzurro, e alle foglie grige-verdi-azzurre, ai fiori e ai muschi morbidi… e soprattutto all’aria che aveva l’odore di casa. Forse lo sognava anche Denteazzurro, via via che il calore della primavera svaniva, e lei non aveva concepito, perché era troppo giovane, per vivere quella prima stagione di adulta. Adesso Denteazzurro vedeva le cose con maggiore chiarezza. A volte rimpiangeva il mondo. A volte era lei a rimpiangerlo. Ma restare là per sempre…
Il-cielo-la-vede era il suo nome; e lei aveva visto la verità. L’azzurro era falso, una coltre stesa come una coperta; la verità era quella dei neri abissi, e la faccia del grande Sole che splendeva nel buio. La verità avrebbe aleggiato per sempre intorno a loro. Senza il favore degli umani, sarebbero ritornati sulla Porta dell’Infinito senza speranze, e avrebbero saputo di essere esclusi per sempre dal cielo. Ormai non c’era più una patria, ora che avevano guardato il Sole.
— I Lukas se ne andranno, prima o poi — le mormorò all’orecchio Denteazzurro.
Satin gli appoggiò la testa sul petto, cercando di dimenticare la fame e la sete, e non rispose.
— I fucili — disse un’altra voce, vicino a loro. — Ci spareranno, e ci perderemo per sempre.
— No, se restiamo qui — disse Denteazzurro. — E se faremo quello che ho detto io.
— Quelli non sono i nostri umani — disse la voce profonda di Colosso. — Quelli fanno male ai nostri umani.
— È una lotta tra umani — ribatté Denteazzurro. — Non riguarda gli hisa.
Un pensiero spuntò nella mente di Satin. Alzò la testa. — I Konstantin. Questa è una lotta dei Konstantin. Troveremo i Konstantin, chiederemo cosa dobbiamo fare. Troveremo i Konstantin, e troveremo anche i Vecchi, vicino al Luogo del Sole.