Damon alzò la testa, mentre il cuore gli batteva forte; provava sollievo perché poteva essere peggio, ma era angosciato. La Mallory lo stava fissando con un’espressione d’interesse e di sfida. Si avvicinò a lui. Damon pensò di mentire, sperando che lei non pretendesse di conoscere il messaggio e non ne facesse una questione. Poi ripensò a quel che sapeva di lei e cambiò idea.
— C’è un mio amico nei guai — le disse. — Devo andare ad occuparmi di lui.
— Nei guai con noi?
Per la seconda volta, Damon si chiese se era il caso di mentire. — Qualcosa del genere.
La Mallory tese la mano. Damon non le porse il messaggio.
— Forse posso aiutarla. — Lei aveva gli occhi freddi: la mano rimase protesa, con il palmo rivolto verso l’altro. — Devo supporre — chiese, vedendo che lui non si muoveva, — che si tratti di qualcosa d’imbarazzante per la stazione? O che altro?
Damon le consegnò il foglio, prima che gli venisse ordinato. La Mallory l’esaminò, assunse per un momento un’aria perplessa, e a poco a poco la sua espressione cambiò.
— Talley — disse. — Josh Talley?
Damon annuì, e lei sporse le labbra.
— Un amico dei Konstantin. Come cambiano i tempi.
— È Adattato.
Un lampo passò negli occhi della Mallory.
— Per sua richiesta — disse Damon. — Che altro gli restava da fare, dopo Russell?
Lei continuò a fissarlo, e Damon avrebbe voluto sfuggire a quello sguardo e poter essere altrove. L’Adattamento rivelava molte cose: poneva Pell e lei in un’intimità che Damon non voleva… che lei, chiaramente, non voleva… quelle registrazioni.
— Come sta? — chiese la Mallory.
A Damon anche quella domanda parve bizzarramente minacciosa e la fissò senza capire.
— Amicizia — disse lei. — Amicizia, tra due poli opposti. Oppure è protezione? Lui ha chiesto l’Adattamento, e voi gliel’avete dato; avete finito quello che aveva incominciato Russell… mi pare di capire che la vostra sensibilità era rimasta offesa, no?
— Noi non siamo Russell.
Un sorriso, smentito dall’espressione degli occhi. — Com’è luminoso un mondo dove esiste ancora questa capacità di indignarsi, signor Konstantin. E dove esiste Q… sulla stessa stazione. L’una accanto all’altra, e amministrate dal suo ufficio. O forse anche Q è una forma sbagliata di pietà. Sospetto che abbiate creato quell’inferno a forza di mezze misure. Grazie alla vostra sensibilità. È la ragione del suo sdegno personale, questo confederato? La sua apologia della morale… o la sua opinione sulla guerra, signor Konstantin?
— Voglio che venga liberato. Voglio che gli siano resi i documenti. Non ha più nulla a che fare con la politica.
Nessuno si rivolgeva mai in quel modo alla Mallory; era evidente. Dopo un lungo momento, lei distolse i suoi occhi da quelli di Damon e annuì, lentamente. — Se ne rende responsabile?
— Me ne rendo responsabile.
— A questa condizione… No. No, signor Konstantin, non ci vada lei. Non è necessario che vada di persona. Lo farò liberare per via gerarchica dalla Flotta, lo rimanderò a casa… se lei mi garantisce che le cose stanno come ha detto.
— Può vedere la documentazione, se vuole.
— Sono sicura che non contiene nulla di nuovo. — La Mallory alzò una mano, facendo un segnale a qualcuno che stava alle spalle di Damon, un piccolo movimento. Lui fu scosso da un brivido, rendendosi conto che aveva un fucile alle spalle. La Mallory si avvicinò alla consolle. — Qui Mallory. Rilasciate Joshua Talley, detenuto presso la stazione e restituitegli i documenti. Riferite alle autorità competenti della Flotta e della stazione. Passo.
Arrivò la risposta, impersonale e disinteressata.
— Posso — le chiese Damon, — posso mandargli una comunicazione? Avrà bisogno di istruzioni precise…
— Signore — disse uno dei tecnici, voltandosi verso di lui. — Signore…
Damon si voltò a guardare quel volto angosciato.
— Hanno sparato a un indigeno, signore, settore verde quattro.
Damon restò senza fiato. Per un attimo, la sua mente si rifiutò di funzionare.
— È morto, signore.
Damon scrollò la testa, nauseato, si voltò e fissò cupamente la Mallory. — Loro non fanno niente di male. Nessun indigeno ha mai alzato una mano su un umano se non per fuggire, per il panico. Mai.
La Mallory alzò le spalle. — Ormai è fatta, signor Konstantin. Si occupi degli affari suoi. Qualcuno ha sbagliato; c’era l’ordine di non sparare. Riguarda noi, non lei. Ci penseranno i nostri.
— Gli indigeni sono persone, comandante.
— Abbiamo sparato anche a persone — disse la Mallory, imperturbata. — Le ho detto di continuare a occuparsi degli affari suoi. Questa faccenda rientra nella legge marziale, e la risolverò io.
Damon restò immobile. Tutti i volti erano girati verso di loro, e i banchi lampeggiavano di segnali ignorati. — Al lavoro — ordinò lui, bruscamente, e tutti tornarono a voltarsi. — Mandate un assistente medico della stazione in quell’area.
— Lei sta mettendo alla prova la mia pazienza — disse la Mallory.
— Sono i nostri cittadini.
— Interpreta la cittadinanza in senso molto ampio, signor Konstantin.
— Le dico che hanno terrore della violenza. Se vuole scatenare il caos nella stazione, comandante, non ha altro da fare che gettare gli indigeni nel panico.
La Mallory rifletté, e alla fine annuì, senza rancore. — Se può risolvere la situazione, signor Konstantin, provveda pure. E vada dove ritiene più opportuno.
Proprio così. Vada. Damon si avviò, e si voltò a guardare con improvviso timore la Mallory, che era capace di liquidare così una discussione pubblica. Lui aveva perduto, s’era lasciato vincere dalla collera… e lei aveva detto vada, come se il suo orgoglio non contasse nulla.
Se ne andò, con la sensazione inquietante di aver fatto qualcosa di molto pericoloso.
— Damon Konstantin è autorizzato a passare — tuonò la voce della Mallory nei corridoi; e i soldati che si erano mossi per fermarlo si trattennero.
Lasciò l’ascensore a quattro verde e corse, con i documenti in mano, mostrandoli a uno zelante soldato che cercava di sbarrargli la strada, e passò. Più avanti c’erano le truppe radunate, che bloccavano la visuale. Corse verso di loro: lo afferrarono bruscamente, ma lui mostrò i documenti e passò oltre.
— Damon. — Sentì la voce di Elene, prima di vederla, si voltò di scatto e si trovò fra le sue braccia, nella ressa dei militari corazzati.
— È uno degli operai temporanei — disse Elene. — Un maschio che si chiamava Colosso. Morto.
— Non devi rimanere qui — le disse Damon. Non si fidava del buon senso dei militari. Guardò alle spalle di Elene. C’era molto sangue sul pavimento, davanti alla porta di accesso. Avevano messo l’indigeno morto in un sacco, sopra una barella, per portarlo via. Elene, che gli aveva passato la mano sotto il braccio, sembrava intenzionata a non muoversi.
— È rimasto preso tra i battenti della porta — disse lei. — Ma può darsi che lo sparo l’avesse già ucciso… Il tenente Vanars, dell’India — mormorò, mentre un giovane ufficiale si faceva largo per raggiungerli. — Comandante di questa unità.
— Che cos’è successo? — chiese Damon al tenente. — Cos’è successo?
— Signor Konstantin? Un deplorevole errore. L’indigeno è apparso inaspettatamente.
— Questo è Pell, tenente. È piena di civili. La stazione richiederà un rapporto completo.