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Lui si appoggiò alla parete per riprendere fiato.

— Josh?

— Tutto bene. Damon, sai cos’è successo.

— Lo so. Mi è arrivato il tuo messaggio. Mi sono assunto personalmente la responsabilità per te. Questa sera devi venire ne! nostro appartamento. Porta tutto quello che ti occorre. Vengo a prenderti.

— Damon, no. No. Non immischiarti.

— Ne abbiamo parlato: è tutto a posto. Niente discussioni.

— Damon, no. Se la cosa finisce negli schedari…

— Siamo i tuoi garanti, Josh. È già negli schedari.

— No.

— lo ed Elene stiamo venendo da te.

La comunicazione s’interruppe. Josh si asciugo il viso. Il nodo che gli aveva stretto lo stomaco era salito alla gola. Non vedeva le pareti, la stanza. Era tutto metallo, e Signy Mallory, con il viso giovane e ì capelli argentei, ma con gli occhi da cui trapelavano vecchiaia e morte. Damon ed Elene e il bambino che desideravano… erano pronti a rischiare tutto. Per lui.

Non aveva armi. Non ne avrebbe avuto bisogno, se fossero stati soli, come lo erano stati in quell’alloggio. Allora lui era morto, dentro. Esisteva odiando la propria esistenza. E adesso la stessa paralisi lo invitava… lasciare che le cose andassero come andavano, accettare il rifugio che gli veniva offerto; era sempre più facile. Lui non aveva minaccialo Signy Mallory, perché non aveva avuto nulla per cui battersi.

Si scostò dalla parete e si frugò in tasca per assicurarsi che i suoi documenti ci fossero ancora. Uscì nel corridoio, passò davanti al banco della foresteria, e andò all’esterno, dove c’erano le guardie. Un uomo del servizio di sicurezza locale lanciò un avvertimento. Josh guardò disperatamente lungo il corridoio, dove stava un militare.

— Ehi! — gridò, rompendo il silenzio che regnava nel corridoio. I poliziotti e il militare reagirono; il militare spianò il fucile, fulmineamente, come se fosse sul punto di premere il grilletto. Josh deglutì a fatica, tenne le mani bene in vista. — Voglio parlarle.

Un lieve cenno con il fucile. Josh s’incamminò con le mani ben staccate dai fianchi verso il militare corazzato e la canna scura. — Fermo — disse il soldato. — Cosa c’è?

Aveva le mostrine dell’Atlantic. — Signy Mallory della Norway — disse Josh. — Siamo amici. L’avverta che Josh Talley vuole parlarle. Subito.

Il soldato lo guardò incredulo, poi fece una smorfia. Ma strinse il fucile nell’incavo del braccio e allungò la mano verso il pulsante del comunicatore. — Lo riferirò all’ufficiale di turno della Norway — disse. — Ci andrà in ogni caso… per sua volontà, se la Mallory la conosce. O per un’indagine, se non la conosce.

— Mi riceverà — disse Josh.

Il soldato premette il pulsante del comunicatore e s’informò. La risposta gli arrivò attraverso l’auricolare del casco, ma i suoi occhi ebbero un guizzo. — Allora controlli — disse alla Norway. E dopo un altro momento: — Centrale di comando. Ricevuto. Chiuso. — Riagganciò il comunicatore alla cintura e fece un cenno con la canna del fucile. — Prosegua lungo il corridoio e salga la rampa. Quel soldato laggiù l’accompagnerà dalla Mallory.

Josh si avviò a passo svelto, perché immaginava che Damon ed Elene non avrebbero impiegato molto a raggiungere la foresteria.

Lo perquisirono. Logicamente. Era la terza volta quel giorno, ma in questo caso non provò alcun fastidio. Aveva una calma interiore, e ciò che avveniva intorno a lui non lo toccava. Si rassettò i vestiti e salì la rampa, insieme alla scorta, passando davanti alle sentinelle, ad ogni livello. A verde due presero un ascensore e salirono ad azzurro uno. Non gli avevano neppure chiesto i documenti; li avevano appena guardati, solo per assicurarsi che il portafoglio contenesse soltanto carte.

Percorsero un breve tratto, lungo il corridoio. Nell’aria c’era un odore di sostanze chimiche. Numerosi operai erano occupati a staccare tutti i cartelli. La sezione con le finestre, al cui interno vi erano varie attrezzature per i computer e qualche tecnico al lavoro, era ben sorvegliata. Uomini della Norway. Aprirono una porta e lo introdussero insieme alla scorta nella centrale della stazione, tra le corsie dove si aggiravano i tecnici.

Signy Mallory, seduta in fondo ai banchi di controllo, si alzò e gli sorrise freddamente. Aveva l’aria stanca. — Dunque? — chiese.

Josh aveva pensato che rivederla non gli avrebbe fatto nessun effetto. Ma non fu così. Una stretta allo stomaco. — Voglio tornare — disse. — Tornare sulla Norway.

— Davvero?

— Non appartengo alla stazione; questo non è il mio posto. Chi altri potrebbe prendermi?

La Mallory lo fissò, senza dir nulla. Josh sentì un tremito che incominciava nel ginocchio sinistro; avrebbe voluto sedersi. Gli avrebbero sparato, se si fosse mosso; ne era certo. Il tic minacciava la sua compostezza, e gli contrasse l’angolo della bocca, quando Signy Mallory distolse gli occhi un momento, prima di guardarlo di nuovo. Rise, una risata secca. — È stato Konstantin a suggerirtelo?

— No.

— Sei stato Adattato. È vero?

Cominciò a balbettare. Annuì.

— E Konstantin si è reso garante del tuo comportamento.

Stava andando tutto a rotoli. — Nessuno è responsabile per me — disse Josh, inciampando nelle parole. — Voglio una nave. Se non c’è altro che la Norway, la voglio. — Doveva guardarla direttamente in faccia, doveva fissare quegli occhi che brillavano di pensieri facilmente immaginabili, di cose che non potevano venire espresse davanti ai soldati.

— L’avete perquisito? — chiese Signy Mallory alle guardie.

— Sì, signora.

Lei rifletté per un lungo istante, senza sorridere, né ridere apertamente. — Dove sei allogato?

— Ho una stanza nella foresteria.

— Te l’hanno procurata i Konstantin?

— Io lavoro. La pago.

— Che lavoro fai?

— Recupero.

Un’espressione di sorpresa, di derisione.

— Quindi voglio troncare — disse lui. — Immagino che questo tu me lo devi.

Vi fu un’interruzione, un movimento dietro di lui, che durò solo un attimo. La Mallory scoppiò a ridere, una risata stanca e annoiata, e fece un cenno. — Konstantin. Venga avanti. Si porti via il suo amico.

Josh si voltò. Damon ed Elene erano lì, accaldati, sconvolti e senza fiato. Lo avevano seguito. — Se è confuso — disse Damon, — deve andare in ospedale. — Si avvicinò e mise una mano sulla spalle di Josh. — Vieni. Vieni via, Josh.

— Non è confuso — disse la Mallory. — Era venuto qui per uccidermi. Si porti a casa il suo amico, signor Konstantin. E lo tenga d’occhio, altrimenti risolverò le cose a modo mio.

Vi fu un pesante silenzio.

— Ci penserò io — disse Damon, dopo un istante. Le sue dita affondarono nella spalla di Josh. — Vieni. Vieni via.

Josh si mosse, andò con lui e con Elene, passando davanti alle guardie, lungo il corridoio affollato dalle squadre degli operai e impregnato dell’odore di sostanze chimiche; le porte della centrale si chiusero dietro di loro. Nessuno parlò. Damon lo prese per un braccio. Entrarono in un ascensore e scesero al cinque. In quel corridoio le guardie erano più numerose, e c’erano anche molti poliziotti della stazione. Giunsero nella zona residenziale e arrivarono alla porta dell’appartamento di Damon. Lo fecero entrare e chiusero la porta. Josh rimase fermo, in attesa, mentre Damon ed Elene accendevano le luci e si toglievano la giacca.

— Manderò a prendere i tuoi abiti — disse laconicamente Damon. — Su, mettiti comodo.