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Non era l’accoglienza che meritava. Josh scelse una poltrona di pelle, ricordando che la sua tuta da lavoro era macchiata di grasso. Elene gli portò un bicchiere e Josh bevve, senza sentire il sapore.

Damon sedette sul bracciolo della poltrona accanto alla sua. Si capiva che era irritato. Josh se ne rese conto e fissò il pavimento.

— Ci hai costretti a rincorrerti — disse Damon. — Non so come hai fatto a sfuggirci, ma ci sei riuscito.

— Ho chiesto io di andare.

Qualunque cosa avesse avuto intenzione di dire, Damon cambiò idea e deglutì. Elene andò a sedersi sul divano di fronte a lui.

— Che intenzioni avevi? — chiese Damon.

— Non avreste dovuto immischiarvi. Non voglio che ci andiate di mezzo.

— Sei scappato da noi?

Josh scrollò le spalle.

— Josh… volevi ucciderla?

— Prima o poi, succederà, non so quando né come.

I due non trovarono nulla da dirsi. Alla fine Damon scrollò la testa e distolse lo sguardo, ed Elene andò a mettersi dietro la poltrona di Josh, posandogli la mano sulla spalla, gentilmente.

— Non ha funzionato — disse finalmente Josh, inciampando nelle parole. — È andato tutto storto. E adesso, temo, lei si sarà convinta che sia stato tu a suggerirmelo. Mi dispiace. Mi dispiace.

La mano di Elene gli sfiorò i capelli, si posò di nuovo sulla sua spalla. Damon si limitava a guardarlo come se non lo avesse mai visto prima. — Non pensare mai più di fare una cosa simile — disse Damon.

— Non volevo che ci andaste di mezzo voi due. Non volevo che mi prendeste in casa vostra. Pensate come lo giudicheranno loro… voi, con me.

— Credi che Mazian comandi questa stazione, così di colpo? E credi che un comandante della Flotta possa rompere i rapporti con i Konstantin, della cui collaborazione Mazian ha bisogno… per una bega personale?

Josh rifletté. Aveva senso, e lui voleva crederci; per questo destava i suoi sospetti.

— Non succederà — disse Damon. — Quindi non ci pensare. Nessun militare piomberà in questo appartamento: ci puoi contare. Ma non dar loro un buon pretesto per farlo. E questa volta c’è mancato poco. Lo capisci? La cosa peggiore che puoi fare è dar loro un pretesto. Josh, è stato l’ordine della Mallory a farti rilasciare. Gliel’ho chiesto io. E poco fa lo ha fatto di nuovo… come favore. Non sperare che avvenga anche una terza volta.

Josh annuì, sconvolto.

— Hai mangiato oggi?

Lui rifletté, confuso; alla fine ricordò il tramezzino, e si accorse che il suo malessere era dovuto in parte alla mancanza di nutrimento. — Ho saltato la cena — disse.

— Ti presterò uno dei miei abiti che ti possa andare bene. Lavati, riposati. Domattina torneremo al tuo appartamento e prenderemo tutto quello che ti occorre.

— Per quanto tempo dovrò restare qui? — chiese Josh, voltando la testa per guardare Elene, e poi di nuovo Damon. L’appartamento era piccolo, e si rendeva conto di essere d’impaccio. — Non posso venire ad abitare con voi.

— Resterai qui fino a quando sarà tutto a posto — disse Damon. — Se dovremo trovare qualche altra sistemazione, lo faremo. Nel frattempo, modificherò i tuoi documenti e inventerò una scusa perché tu possa passare i prossimi giorni lavorativi nel mio ufficio.

— Non tornerò all’officina?

— Quando tutto sarà risolto. Per il momento, non ti perderemo d’occhio. Abbiamo detto chiaramente che se oseranno toccarti causeranno un grosso incidente. Informerò anche mio padre, in modo che nessuno, nei nostri uffici, venga colto di sorpresa da una richiesta sgradita. Ma per piacere, non provocare guai.

— D’accordo — promise Josh. Damon indicò con un cenno del capo la camera. Josh si alzò e lo seguì; Damon tirò fuori una bracciata di vestiti dagli armadi. Josh andò in bagno, si lavò e si sentì meglio, finalmente libero dal ricordo della cella. Indossò la morbida vestaglia che Damon gli aveva prestato e, quando uscì, lo accolse il buon odore della cena.

Mangiarono, un po’ stretti intorno al tavolo, e si raccontarono a vicenda quello che avevano visto nelle rispettive sezioni. Josh poteva parlare senza ansia, finalmente, adesso che non doveva più convivere da solo con quell’incubo.

Scelse un angolo della cucina, si preparò un giaciglio sul pavimento con tutte le coperte che Elene gli aveva offerto. Domani ti troveremo una branda, gli aveva promesso. O almeno un’amaca. Si sdraiò, udì gli altri due che si sistemavano nel soggiorno, e si sentì al sicuro. Finalmente credeva a quel che gli aveva detto Damon… era in un rifugio che neppure la Flotta di Mazian poteva violare.

CAPITOLO OTTAVO

PORTA DELL’INFINITO: MODULO D’ATTERRAGGIO DELL’AFRICA, BASE PRINCIPALE ore 2400 pg; ore 1200 ag; GIORNO LOCALE

Emilio si appoggiò allo schienale e fissò risoluto il viso irritato di Porey, mentre il comandante prendeva appunti sui fogli che aveva davanti a sé e li spingeva verso di lui, attraverso il tavolo. Emilio sfogliò le richieste dei rifornimenti e annuì, lentamente.

— Forse ci vorrà un po’ di tempo — disse.

— Al momento — disse Porey, — mi limito a trasmettere i rapporti e ad agire in base alle istruzioni. Lei e il suo personale non collaborano. Continui pure finché vuole.

Erano nella piccola area riservata al personale sulla nave di Porey, una nave con il ponte piatto, non adatta a voli spaziali prolungati. Porey aveva avuto un assaggio dell’atmosfera della Porta dell’Infinito, delle cupole, della polvere e del fango; era risalito sulla sua nave, pieno di disgusto, e l’aveva invitato a seguirlo anziché visitare la cupola principale. E questo gli sarebbe andato benissimo, se fosse servito a far risalire a bordo anche le truppe. Invece no. Loro erano ancora là fuori, con le maschere e le armi. Quelli del settore Q e i residenti lavoravano nei campi, sotto la minaccia di quelle armi.

— Anch’io ho ricevuto istruzioni — disse Emilio, — e agisco di conseguenza. Il meglio che possiamo fare, comandante, è riconoscere che entrambe le parti in causa si rendono conto della situazione, e che le sue ragionevoli richieste verranno soddisfatte. Tutti e due obbediamo a degli ordini.

Un uomo ragionevole si sarebbe placato. Ma Porey non lo era. Si limitò a fare una smorfia. Forse era risentito per l’ordine che l’aveva costretto a scendere sulla Porta dell’Infinito; o forse quella era la sua espressione naturale. Molto probabilmente non aveva dormito abbastanza; i brevi intervalli con cui i soldati, là fuori, ricevevano il cambio, indicava che non erano arrivati molto freschi, e s’era visto in giro l’equipaggio di Porey, non Porey… forse l’equipaggio d’altergiorno. — Prenda pure il suo tempo — ripeté Porey, ed era evidente che se ne sarebbe ricordato… quando avesse potuto fare le cose a modo suo.

— Con permesso — disse Emilio, ma non ricevette risposta; quindi si alzò e uscì. Le guardie lo lasciarono passare; camminò lungo il breve corridoio e scese nel grosso ventre della nave, dove l’ascensore fungeva da camera di compensazione, e tornò nell’atmosfera della Porta dell’Infinito. Si assestò la maschera e scese lungo la rampa, nel vento fresco.

Non avevano ancora inviato forze d’occupazione negli altri campi. Emilio pensava che avrebbero voluto farlo, ma le forze erano limitate, e negli altri campi non c’era possibilità di atterrare. In quanto alle richieste di viveri presentate da Porey, pensava che avrebbe potuto fornirgli quel quantitativo; avrebbero costretto loro stessi e la stazione ad accontentarsi del minimo indispensabile, ma la loro resistenza e le cupole vuote, se non altro, avevano fatto sì che le pretese della Flotta scendessero a un livello tollerabile.

Situazione migliorata, era stato il messaggio più recente di suo padre. Nessuna evacuazione in programma. La Flotta prevede di far base permanente a Pell.