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— Stanno bene. In una stazione di cui conosco il nome… dove appunto li ho visti. O forse adesso sono stati trasferiti. La Confederazione si è resa conto del loro valore potenziale, conoscendo il nome dell’uomo che a Pell rappresenta un numero tanto formidabile di persone. La ricerca a mezzo computer li ha individuati, e non si perderanno più. Vorrebbe rivederli, signor Kressich?

— Che cosa vuole da me?

— Un po’ del suo tempo. Qualche preparativo per il futuro. Lei può proteggere se stesso, i suoi cari, i suoi elettori che sotto il regime di Mazian sono semplici paria. Che aiuto potrebbe avere da Mazian per rintracciare la sua famiglia? E come potrebbe raggiungerla? E sicuramente vi sono altre famiglie divise, che forse ora sono pentite della decisione avventata a cui Mazian le ha costrette, e possono capire… che il vero interesse di un cittadino delle Stelle Sperdute sta nelle Stelle Sperdute.

— Lei è un confederato — disse Kressich, deciso a chiarirlo.

— Signor Kressich, io sono delle Stelle Sperdute. Lei no?

Kressich sedette sul bracciolo della poltrona, perché le ginocchia non lo reggevano. — Che cosa vuole?

— Sicuramente nel settore Q c’è una struttura di potere, qualcosa che lei conosce bene. Sicuramente, un uomo come lei… è in contatto.

— Ho contatti.

— E influenza?

— E influenza.

— Finirete prima o poi nelle mani della Confederazione; se ne rende conto? A meno che Mazian non adotti certe misure. Sa che cosa potrebbe fare Mazian, se decidesse di restare qui? Crede che tollererà il settore Q vicino alle sue navi? No, signor Kressich; voi altri da una parte siete manodopera a buon mercato; dall’altra, una seccatura. A seconda della situazione. Così come si metteranno le cose, molto presto, per lui sarete solo un peso. Che mezzi posso usare per mettermi in contatto con lei, signor Kressich?

— Oggi si è messo in contatto con me.

— Dov’è il suo ufficio?

— Arancione nove 1001.

— C’è un comunicatore?

— Quello della stazione. Solo la stazione mi può chiamare. Ed è sempre guasto. Ogni volta che devo fare una chiamata, devo passare attraverso la centrale comunicazioni. Lei non può… non può chiamarmi. E poi, è sempre rotto.

— Nel settore Q ci sono spesso disordini, vero?

Kressich annuì.

— E il consigliere del settore Q… potrebbe organizzarne uno?

Lui annuì per la seconda volta. Il sudore gli scorreva sul volto, sui fianchi. — Potrebbe farmi andar via da Pell?

— Quando avrà fatto per me quel che può fare, signor Kressich, le garantisco che potrà andarsene. Raduni le sue forze. Non le chiedo neppure quali sono. Ma riconoscerà il mio messaggio; sarà la parola Vassily. È tutto. Solo questa parola. E se le arriverà, dovrà fare in modo che ci siano… disordini immediati e diffusi. Può cominciare a pensare che rivedrà i suoi cari.

— Lei chi è?

— Ora vada. Non ha perso più di dieci minuti. Io mi affretterei, al suo posto, signor Kressich.

Kressich si alzò, si voltò a guardare, uscì in fretta. L’aria del corridoio era fredda. Nessuno lo fermò, nessuno lo notò. Adattò il suo passo a quello della gente che percorreva il corridoio principale e decise che, se gli avessero chiesto perché aveva impiegato tanto tempo, avrebbe risposto che s’era fermato a parlare con Konstantin e con altri nell’ingresso; che si era sentito male e che si era fermato da qualche parte. Lo stesso Konstantin avrebbe testimoniato che se ne era andato sconvolto. Si asciugò il viso con la mano, svoltò l’angolo del molo verde e proseguì verso il molo azzurro, verso la linea di confine.

Bussarono alla porta. Hale andò ad aprire, e Jon, che era al bar della cucina, si voltò, e sospirò di sollievo quando Jessad entro e la porta si chiuse dietro di lui.

— Nessuna difficoltà — disse Jessad. — Stanno coprendo i cartelli, sa. Si preparano a un’azione all’interno di Pell. È un po’ difficile orientarsi, così.

— Kressich, maledizione.

— Nessuna difficoltà. — Jessad si tolse la giacca e la buttò a Keifer, uno degli uomini di Hale che era uscito dalla camera da letto. Keifer frugò nella tasca della giacca e si riprese i suoi documenti con aria di sollievo. — Non l’hanno fermata — disse Keifer.

— No — disse Jessad. — Sono andato nel suo appartamento, ho mandato il suo coinquilino con la carta… tutto liscio,

— Ha accettato? — chiese Jon.

— Naturalmente. — Jessad era di umore inconsueto, ancora un po’ agitato, e i suoi occhi solitamente opachi brillavano. Andò al bar e si versò da bere.

— I miei vestiti — disse Keifer.

Jessad rise, sorseggiò il liquore, poi posò il bicchiere e cominciò a togliersi la camicia. — Adesso è tornato nel settore Q. E noi lo controlliamo.

NAVE CONFEDERALE UNITY, NELLA FLOTTA DELLA CONFEDERAZIONE: SPAZIO

Ayres sedette al tavolo nella sala principale, ignorando le guardie, si prese la testa fra le inani e cercò di riprendersi. Rimase così per qualche istante, poi si alzò e a passi malfermi andò al distributore dell’acqua. Si inumidì le dita e se le passò sul viso, prese un bicchiere di carta e bevve, per rimettersi a posto lo stomaco.

Qualcuno lo raggiunse. Ayres alzò gli occhi e fece una smorfia, perché il nuovo venuto era Dayin Jacoby, che andò a sedersi all’unico tavolo. Non avrebbe voluto tornarci, ma aveva le gambe troppo deboli per reggersi in piedi a lungo. Non sopportava il balzo. Jacoby ci riusciva meglio, e anche quello era un motivo di rancore nei suoi confornti.

— È vicino — disse Jacoby. — Credo di sapere dove siamo.

Ayres sedette, si sforzò di schiarirsi la vista. Le droghe facevano apparire tutto distante. — Dovrebbe essere fiero di sé.

— Mazian… ci sarà.

— Con me non si confidano. Ma mi pare logico che Mazian ci debba essere… La nostra conversazione viene registrata?

— Non ne ho idea. E anche se fosse? Il fatto è, signor Ayres, che non potrete conservare Pell all’Anonima, non potrete proteggerla. Avete avuto la vostra occasione, e ormai è passata. E Pell non vuole Mazian. Meglio l’ordine della Confederazione, piuttosto che Mazian.

— Questo lo dica ai miei compagni.

— Pell — continuò Jacoby, chinandosi verso di lui — merita più di quanto possa darle l’Anonima. Più di quanto le darà Mazian, questo è certo. Io sono per il nostro interesse, signor Ayres, e facciamo quel che dobbiamo fare.

— Avreste potuto trattare con noi.

— Lo abbiamo fatto… per secoli.

Ayres si morse le labbra, rifiutando di lasciarsi coinvolgere in quella discussione. Le droghe che aveva dovuto prendere per il balzo gli offuscavano la mente. Aveva già parlato, e aveva deciso che non ne valeva la pena. Volevano qualcosa da lui, altrimenti non lo avrebbero fatto uscire dall’isolamento, non lo avrebbero lasciato salire a quel livello della nave. Si passò una mano sulla fronte e cercò di scuotersi dallo stordimento, finché era ancora in tempo.

— Noi siamo pronti a intervenire — continuò Jacoby. — Lo sa.

Jacoby stava cercando di spaventarlo. Il terrore lo aveva prostrato, durante l’ultima manovra. Aveva sopportato per due volte il balzo, ormai, con la sensazione che le sue viscere si rivoltassero come un guanto. Rifiutava di pensare a una terza eventualità.

— Credo che parleranno con lei — disse Jacoby. — A proposito di un messaggio di Pell, l’annuncio che la Terra ha firmato un trattato; che la Terra sostiene il diritto all’autodeterminazione dei cittadini di Pell. Qualcosa del genere.

Ayres fissò Jacoby, e per la prima volta si chiese chi avesse torto e chi invece ragione. Jacoby era di Pell. Quali che fossero gli interessi della Terra, non li avrebbe serviti osteggiando un uomo che, nonostante i suoi desideri, poteva finire per occupare un posto elevato nel governo di Pell.