— Mezz’ora in palestra — disse Damon. — Poi uno spuntino. Ho fame.
— Sta bene — disse Josh. Si guardò intorno nervosamente. Anche Damon guardò, e si sentì inquieto. Non c’era ancora molto traffico, nei corridoi. La gente non si fidava della situazione. C’erano alcuni militari, fermi in lontananza.
— Dovrebbero ritirare tutte le truppe — disse Josh, — entro la fine della settimana. Il nostro servizio di sicurezza sta assumendo interamente il controllo del settore bianco; il verde, forse, fra un paio di giorni. Abbi pazienza. Ci stiamo lavorando.
— Loro continuano a fare quello che vogliono — disse Josh, cupamente.
— Uh. Anche la Mallory, dopotutto?
Un’ombra passò sul viso di Josh. — Non lo so. Quando ci penso, ancora non lo so.
— Credimi. — Avevano raggiunto l’ascensore, ed erano soli. Un militare stava all’angolo di un altro corridoio, discretamente. Damon premette il pulsante. — Questa mattina mi è arrivata una buona notizia. Ha chiamato mio fratello. Ha detto che laggiù le cose si stanno appianando.
— Bene — mormorò Josh.
All’improvviso, il militare si mosse. Venne verso di loro. Damon lo guardò. Altri, più lontani, cominciarono ad avanzare tutti insieme, quasi correndo. — Annulli — disse il primo, raggiungendoli. Tese la mano verso la pulsantiera. — Ci hanno chiamati.
— Posso farvi avere la priorità — disse Damon… per sbarazzarsi di loro. C’erano guai nell’aria; pensò che agli altri livelli stessero facendo valere la loro autorità.
— Lo faccia.
Damon estrasse la tessera dalla tasca, l’inserì nella fenditura e chiese la priorità. Le spie rosse si accesero. Gli altri soldati arrivarono quando l’ascensore si aprì, e si affollarono a bordo. L’ascensore ripartì, diretto verso la destinazione che i militari avevano richiesto all’interno della cabina. Nel corridoio, non era rimasto neppure un soldato. Damon guardò Josh, che era diventato pallido.
— Prenderemo il prossimo — disse Damon, alzando le spalle. Anche lui era turbato; premette azzurro nove.
— Elene? — chiese Josh.
— Voglio andare laggiù — disse Damon. — Tu verrai con me. Se c’è qualche guaio, è probabile che finisca sui moli. E voglio esserci anch’io.
L’ascensore tardò ad arrivare. Attese per un po’, e finalmente usò di nuovo la tessera, chiedendo la priorità. Si accesero le spie rosse che indicavano una cabina in chiamata di priorità, e poi lampeggiarono, indicando che non c’erano cabine disponibili. Damon batté il pugno contro la parete e lanciò un’altra occhiata a Josh. Era troppo lontano per andare a piedi; era più semplice aspettare che si liberasse un ascensore… a lungo andare avrebbero impiegato meno tempo.
Damon andò al comunicatore più vicino, e chiese la priorità, mentre Josh attendeva accanto alla porta dell’ascensore. — Trattienilo, se arriva — disse Damon. — Centrale Comunicazioni, qui Damon Konstantin, emergenza. I militari se ne sono andati di corsa. Cosa sta succedendo?
Vi fu un lungo silenzio. — Signor Konstantin — disse una voce, — questa è un’unità di comunicazione pubblica.
— Al momento no, centrale. Cosa succede?
— Allarme generale. Tutti ai posti d’emergenza, prego.
— Che cosa succede?
La centrale aveva tolto la comunicazione. Cominciò a suonare una sirena, le spie rosse presero a pulsare. Molte persone uscirono dagli uffici, si scambiarono occhiate interrogative sperando che fosse un’esercitazione o un errore. Anche il segretario di Damon era uscito.
— Tornate dentro! — gridò. — Chiudete quelle porte. — Tutti indietreggiarono, e rientrarono negli uffici. La spia rossa accanto alla spalla di Josh lampeggiava ancora, indicando che non c’erano ascensori liberi; dovevano essere tutti bloccati ai moli.
— Vieni — disse Damon a Josh, indicando il fondo del corridoio. Josh era confuso; lui lo raggiunse, e lo prese per un braccio. — Vieni.
C’era altra gente nel corridoio, più avanti. Damon gridò un ordine, e li fece rientrare. Li capiva: c’erano altri, oltre ai Konstantin, che avevano i loro cari sparsi nella stazione, i bambini nella scuola e nei nidi d’infanzia, i malati in ospedale. Alcuni continuarono a correre, disobbedendo agli ordini. Un agente del servizio di sicurezza della stazione urlò di fermarsi; quando nessuno gli badò, portò la mano alla pistola.
— Li lasci andare — scattò Damon. — Li lasci fare.
— Signore. — Il viso del poliziotto si rilassò. — Signore, non riesco a comunicare.
— Tenga quella pistola nella fondina. O ha imparato dai militari? Resti ai suo posto. Calmi la gente. L’aiuti, se può. C’è un gran movimento. Potrebbe essere anche un’esercitazione. Si calmi.
— Sì, signore.
Proseguirono verso la rampa d’emergenza, nel corridoio silenzioso… senza correre. Un Konstantin non poteva correre, o avrebbe sparso il panico. Camminava, cercando di allontanare il panico da se stesso. — Non c’è tempo — disse sottovoce Josh. — Prima che l’allarme arrivi qui, le navi ci saranno addosso. Se Mazian si è fatto cogliere con le navi attraccate…
— Ha la milizia e due navi in orbita intorno alla stazione — disse Damon, e di colpo ricordò chi era Josh. Trattenne il respiro, lo guardò, e scorse un’espressione disperata quanto la sua. — Vieni — disse.
Raggiunsero una rampa d’emergenza, e sentirono gridare quando aprirono le porte. C’era parecchia gente che scendeva a precipizio da altri livelli. — Più adagio! — gridò Damon a quelli che lo avevano superato; quelli rallentarono, dopo moire giravolte della rampa, ma divennero più numerosi, e all’improvviso altri cominciarono ad arrivare, correndo… il sistema dei trasporti era bloccato dovunque, e da tutti i livelli la gente si precipitava sulla rampa. — Calmatevi! — gridava Damon. Afferrava per le spalle quelli che gli capitavano a tiro, cercando di farli rallentare, ma la corsa accelerò, la calca diventò più fitta, uomini, donne, bambini, e cimai era impossibile uscirne. Le porte erano bloccate dalla gente che stava cercando di scendere.
— I moli! — gridò qualcuno. Il grido si sparse come un incendio, mentre la luce rossa dell’allarme brillava sul soffitto. Erano ormai convinti che stava per succedere ciò che avevano sempre paventalo da quando erano arrivati i militari… e cioè che la stazione sarebbe stata attaccata, e che fosse in atto l’evacuazione. La massa premeva per scendere, e non c’era modo di trattenerla.
CFX/ KNIGHT/ 189-8989-687/ CALMACALMACALMA/ SCORPIONEDOD1CI/ ZEROZEROZERO/ FINE.
Signy trasmise il segnale di ricevuto e si rivolse a Graff con un ampio gesto della mano. — Allarme! — trasmise Graff; l’allarme risuonò in tutta la nave, e si diffuse ai moli. All’esterno, i militari finirono di staccare i cavi di collegamento. — Non possiamo prenderli a bordo — disse Signy Mallory, quando Di Janz si fece sentire attraverso il comunicatore. Le dispiaceva abbandonare gli uomini. — Sta bene così.
— Cavi staccati — gridò Graff. Era il segnale dell’Europe, che aveva lasciato le sue truppe, già pronta a partire. La Pacific si stava muovendo. Il ricognitore della Tibet continuava ad avvicinarsi, sulla scia del primo messaggio, segnalando con la sua presenza quello che la Tibet aveva già comunicato; ciò che stava accadendo alla periferia del sistema di Pell apparteneva al passato, esattamente come il segnale che era giunto alla velocità della luce, un’ora prima. Le spie verdi si accesero sul quadro dei comandi della Norway, in successione, e Signy sganciò la nave, mentre i militari che erano riusciti a salire a bordo si stavano ancora affrettando con le cinture di sicurezza. Per un momento, la Norway si mosse in assenza di gravità, sotto la spinta dolce dei razzi direzionali, continuò a ruotare su se stessa e attivò i motori principali con un margine ristrettissimo, quasi sfiorando l’Australia e probabilmente facendo suonare l’allarme in tutta Pell. La gravità aumentò, mentre il cilindro interno veniva sincronizzato per il combattimento e ruotava per compensare le tensioni; il peso crebbe, si ridusse, crebbe di nuovo.