— Continuate a lavorare e ascoltatemi — disse a voce alta. — Il personale della Società Lukas garantisce la sicurezza di questo settore. Altrove, abbiamo la situazione che potete vedere sugli schermi. Ristabiliremo le comunicazioni, per trasmettere annunci da questo centro, e soltanto gli annunci autorizzati da me. Al momento, nella stazione l’unica autorità è quella della Società Lukas e per salvare la stazione da ogni danno sono pronto a uccidere, se sarà necessario. Ho al mio comando uomini che lo faranno senza esitare. È chiaro?
Non vi furono commenti; e nessuno osò voltare la testa. Forse per il momento erano tutti d’accordo, con i sistemi di Pell in equilibrio precario e gli evasi dalla quarantena che tumultuavano sui moli.
Jon Lukas respirò, più calmo, e guardò Jessad, che annuì soddisfatto.
Il labirinto di scalette si estendeva avanti e dietro di loro, un viluppo di tubi s’intrecciava al di sopra, e c’era un freddo pungente. Damon puntò il raggio della lampada da una parte all’altra, si afferrò a un corrimano, e si lasciò cadere sulla grata mentre Josh faceva altrettanto; i sibili dei respiratori erano profondi e faticosi. Gli doleva la testa. Non c’era abbastanza aria, per compensare lo sforzo; e il labirinto si ramificava. Era logico, gli angoli erano precisi; bastava contare. Damon si sforzava di farlo.
— Ci siamo perduti? — chiese Josh tra un ansito e l’altro.
Damon scrollò la testa; puntò il raggio verso l’alto, nella direzione dove avrebbero dovuto andare. Era stato un tentativo pazzesco, ma erano vivi e illesi. — Il prossimo livello — disse, — dovrebbe essere il due. Credo… dovremmo uscire, dare un’occhiata e vedere come stanno le cose…
Josh annuì. Gli sbalzi della gravità erano cessati. Sentivano ancora rumori, e in quei meandri non riuscivano a capire da dove provenissero. Grida lontane. A un certo momento, un rombo e un fremito: probabilmente qualche sezione che veniva isolata. Così andava meglio; sperava… Si mosse, con un clangore sonante di metallo, si afferrò di nuovo al corrimano e cominciò a salire l’ultimo tratto. Era in ansia per Elene, per tutto ciò che aveva abbandonato rifugiandosi lì… A qualunque costo, doveva uscire.
Vi fu il crepitio di una scarica. Echeggiò nelle gallerie.
— Il comunicatore — disse Damon. Stava riprendendo a funzionare.
— Questo è un annuncio generale. Ci stiamo avvicinando alla stabilizzazione della gravità. Invitiamo tutti i cittadini a rimanere nelle aree in cui si trovano e a non cercare di attraversare le linee di sezione. Non si hanno ancora notizie della Flotta, e al momento non ne attendiamo. Gli schermi sono ancora vuoti. Non prevediamo azioni militari nelle vicinanze di questa stazione… È con estremo rammarico che annunciamo la morte di Angelo Konstantin, ucciso dai rivoltosi, e la scomparsa di altri membri della famiglia. Se qualcuno dei Konstantin si fosse messo al sicuro, è pregato di mettersi in contatto con la centrale al più presto possibile, e così pure chiunque abbia notizie sul loro conto. Il consigliere Jon Lukas svolgerà le funzioni di dirigente della stazione per tutta la durata della crisi. Siete invitati a collaborare con il personale della Società Lukas che svolge mansioni di sicurezza in questa emergenza.
Damon si lasciò cadere sui gradini. Un freddo più intenso di quello del metallo lo pervase. Non riusciva a respirare. Si accorse che stava piangendo; le lacrime offuscavano la luce e quasi lo soffocavano.
— … generale — cominciò a ripetere il comunicatore. — Ci stiamo avvicinando alla stabilizzazione della gravità. Invitiamo tutti i cittadini…
Una mano si posò sulla spalla di Damon, e cercò di scuoterlo. — Damon? — chiese Josh.
Damon era stordito. Nulla aveva più senso. — Morto — disse, e rabbrividì. — Oh, Dio…
Josh lo fissò e gli tolse la lampada dalla mano. Damon, con uno sforzo, si alzò in piedi, per l’ultima salita verso l’accesso che stava lassù.
Josh lo prese per un braccio, e lo fece voltare contro la parete. — Non andare — lo supplicò. — Damon, non uscire, adesso.
Gli incubi paranoici di Josh. Aveva sul volto quell’espressione. Damon rimase appoggiato alla parete, mentre i suoi pensieri volavano in tutte le direzioni, confusamente. Elene. — Mio padre… mia madre… è azzurro uno. Le nostre guardie erano in azzurro uno. Le nostre guardie.
Josh non disse nulla.
Damon si sforzò di pensare. Continuava a non capire. I militari erano stati ritirati; la Flotta era partita. E subito le uccisioni… nella zona più sicura di Pell.
Si voltò dall’altra parte, nella direzione da cui erano appena arrivati. Le mani gli tremavano tanto che faticava a tenersi stretto alla ringhiera. Josh girò il raggio della lampada, e lo afferrò per il gomito per fermarlo. Lui si voltò, sui gradini, e guardò la faccia mascherata di Josh, deformata dalla luce.
— Dove? — chiese Josh.
— Non so chi comanda, lassù. Dicono che è mio zio. Non lo so. — Damon tese la mano verso la lampada. Josh gliela consegnò, riluttante, e lui si voltò, cominciando a ridiscendere le scalette più in fretta che poteva, mentre l’altro lo seguiva disperatamente.
Giù, di nuovo. Scendere era facile. Si affrettò per quanto glielo permettevano il fiato e l’equilibrio, finché fu preso dalle vertigini e il raggio della lampada oscillò all’impazzata. Scivolò, si riprese, e continuò a scendere.
— Damon — protestò Josh.
Lui non aveva il fiato per ribattere. Continuò fino a quando la vista si confuse per la mancanza d’aria, e allora sedette sui gradini cercando di respirare, per non svenire. Sentì Josh chinarsi accanto a lui; lo sentì ansimare. — I moli — disse Damon. — Dobbiamo andare là… alle navi. Elene sarà andata là.
— Non potremo passare.
Damon fissò Josh, e si rese conto che lo stava trascinando in quella situazione. Ma non aveva scelta. Si alzò e ricominciò a scendere, sentendo le vibrazioni dei passi di Josh che continuava a seguirlo.
Le navi dovevano essere isolate. Elene doveva essere là, oppure barricata negli uffici. O morta. Se per qualche ragione… la stazione veniva paralizzata per preparare una presa di possesso da parte della Confederazione…
Ma Jon Lukas, dicevano, era lassù nella centrale.
C’era stata un’azione fallita? Jon era riuscito a impedire che colpissero la centrale?
Perse il conto delle soste per riprendere fiato, dei livelli che passavano. Giù. Finalmente arrivò in fondo, a una grata più ampia, e non capì di che cosa si trattasse, fino a quando girò il raggio della lampada e non trovò più altre scale che scendevano. Si avviò lungo la grata, e vide il baluginio fioco di una lampada azzurra, sopra la porta di accesso. La raggiunse e premette l’interruttore. La porta scivolò di lato con un sibilo e Josh lo seguì nella luce più viva della camera stagna. La porta si chiuse e incominciò il ciclo del ricambio d’aria. Damon abbassò la maschera e aspirò a pieni polmoni quell’aria fredda. Gli doleva la testa. Fissò il volto sudato di Josh che portava ancora il segno della maschera. — Resta qui — disse, spinto dalla pietà. — Resta qui. Se riesco a sistemare tutto, tornerò. Se no… deciderai tu stesso cosa fare.
Josh restò appoggiato alla parete. Aveva gli occhi vitrei.
Damon rivolse l’attenzione alla porta, riprese a respirare normalmente, strofinandosi gli occhi per schiarirsi la vista e finalmente premette il pulsante e mise in funzione la porta. La luce li abbagliò. Là fuori c’erano grida e urla e odore di fumo. I sistemi vitali, pensò, agghiacciato. L’accesso si apriva su uno dei corridoi secondari, e lui uscì, cominciò a correre, ma sentì un passo precipitoso alle spalle e si voltò.