Signy aveva i nervi scossi. Sul ponte, i tecnici la guardavano di tanto in tanto. Il silenzio regnava a bordo delle navi come tra le navi stesse, del resto, e l’inquietudine era contagiosa.
Un tecnico delle comunicazioni si voltò verso di lei. — A Pell la situazione sta peggiorando — disse. Dai tecnici piazzati nelle altre postazioni si levò un mormorio.
— Badate al vostro lavoro — scattò Signy Mallory, rivolgendosi a tutti quanti. — L’attacco può arrivare da qualunque direzione. Non pensate a Pell o ci prenderemo un pugno in faccia, chiaro? Butterò nel vuoto tutti quelli che scoprirò distratti.
Poi, a Graff: — Stato di allerta.
Sul soffitto si accesero le luci azzurre. Così si sarebbero svegliati. Una spia lampeggiò sulla consolle davanti a lei, indicando che il quadro dei sistemi di attacco era attivato, mentre l’operatore e i suoi aiutanti erano pronti.
Signy Mallory allungò la mano, batté il codice per un’istruzione registrata. L’avvistatore della Norway incominciò a scrutare in direzione della stella indicata, eseguì l’identificazione e si bloccò. Questo nell’eventualità che accadesse qualcosa di non previsto nei loro piani e che Mazian, il quale riceveva a sua volta notizie da Pell, pensasse di fuggire: il collegamento per raggio diretto era puntato sull’Europe, e l’Europe continuava a tacere. Mazian stava riflettendo; o forse aveva già deciso, e contava che i suoi comandanti prendessero le precauzioni necessarie. Signy trasmise un segnale al tecnico addetto all’iperpropulsione, dato che quello doveva aver già notato la mossa precedente. Il quadro si accese, l’afflusso dell’energia dei generatori aumentò, per dare alla nave la possibilità di abbandonare lo spazio reale. Se la Flotta abbandonava Pell, era probabile che non tutti arrivassero dove avevano l’ordine di arrivare, al più vicino punto zero. E non ci sarebbe più stata una Flotta, non ci sarebbe stato più nulla tra la Confederazione e Sol.
Le notizie che giungevano da Pell diventavano sempre più allarmanti.
Uomini-con-fucili. L’udito finissimo captava ancora le grida là fuori, il terribile combattimento. Satin rabbrividì a un tonfo contro la parete e tremò. Non c’era motivo perché fosse accaduto… ma i Lukas l’avevano fatto, ed erano i Lukas che davano gli ordini, che avevano preso il comando di Lassù. Denteazzurro l’abbracciò, le rivolse parole di conforto e lei si mosse in silenzio, come gli altri. Lo scalpiccio dei piedi nudi degli hisa passò sopra e sotto di loro. Si muovevano nel buio, con calma. Non osavano accendere le luci, perché avrebbero potuto rivelare la loro posizione agli uomini.
Alcuni erano più avanti di loro, altri più indietro. In testa c’era il Vecchio in persona, l’hisa che era sceso dai luoghi più alti e che li guidava senza dir loro il perché. Alcuni avevano indugiato, timorosi; ma dietro c’erano i fucili, e gli umani impazziti, e quindi anche loro sarebbero arrivati molto presto.
Una voce umana echeggiò lontano, nelle gallerie. Denteazzurro fischiò e cominciò a spingere, salendo più in fretta, e Satin fece appello a tutte le sue forze, stravolta dalla fatica. Aveva il pelame umido, e le sue mani scivolavano sulla ringhiera, mentre altri si erano afferrati saldamente ad essa.
— Presto — bisbigliò la voce di un hisa da uno dei livelli superiori nei luoghi bui di Lassù; e molte mani li sospinsero verso un punto dove brillava una luce fioca che illuminava la figura di un hisa fermo in attesa. Una porta. Satin si assestò la maschera e corse, afferrando la mano di Denteazzurro per timore di perderlo.
La camera di compensazione si apri davanti a loro. Si affollarono insieme agli altri, e la porta interna lasciò intravedere una massa di corpi bruni, di mani che si tendevano per aiutarli a uscire in fretta, mentre altri hisa stavano rivolti verso l’esterno e impedivano loro di vedere quello che c’era più oltre.
Erano armati di pezzi di tubo, come gli uomini. Satin, sgomenta, cercò Denteazzurro con la mano, per accertarsi della sua presenza in quella folla rabbiosa e brulicante, nelle luci bianche degli umani. C’erano soltanto gli hisa, in quel corridoio. Stipati fino alle porte chiuse in fondo. C’erano macchie di sangue su una delle pareti, un odore che non arrivava fino a loro attraverso le maschere. Satin lanciò uno sguardo angosciato nella direzione in cui la calca li stava trascinando, sentì una mano morbida che non era quella di Denteazzurro stringersi sul suo braccio e guidarla. Varcarono una porta e si trovarono in un luogo degli umani, immenso e semibuio, e la porta si richiuse, portando il silenzio.
— Zitti — dissero le loro guide. Satin si voltò, atterrita, per vedere se Denteazzurro fosse ancora con lei, e Denteazzurro allungò un braccio e le prese la mano. Camminavano nervosamente insieme agli anziani che facevano da guida, in quello spazioso luogo degli uomini, con la massima prudenza, perché temevano e rispettavano le armi e la rabbia che là fuori regnavano incontrollate. Altri Vecchi emersero dall’oscurità e vennero loro incontro. — Narratrice — le disse un Vecchio, e la sfiorò per darle il benvenuto. Alcuni l’abbracciarono; altri arrivarono dal vano luminosissimo di una porta e abbracciarono lei e Denteazzurro, e Satin si sentì stordita da quell’onore. — Venite — dissero i Vecchi, guidandola, ed entrarono in quell’ambiente luminoso, una stanza sconfinata, con un letto bianco, e un’umana che dormiva, e un’hisa vecchissima accoccolata accanto a quel letto. Tutto intorno c’erano il buio e le stelle, le pareti evanescenti, e all’improvviso un grande Sole illuminò la stanza, brillando su di loro e sulla Sognatrice.
— Ah — mormorò Satin, sconvolta, ma la vecchia hisa si alzò e tese le mani in segno di benvenuto. — La Narratrice — stava dicendo il Vecchio, e la più anziana fra tutti loro lasciò per un momento la Sognatrice e venne ad abbracciarla. — Bene, bene — disse teneramente la Grande Vecchia.
— Lily — disse la Sognatrice, e la Vecchia si voltò, s’inginocchiò accanto al letto, e le accarezzò la testa grigia. Due occhi meravigliosi si girarono verso di loro, luccicanti in quel volto bianco e immobile. Il corpo era avvolto di bianco e tutto era bianco, tranne l’hisa chiamata Lily e l’oscurità che li avvolgeva, tempestata di stelle. Il Sole era sparito. C’erano soltanto loro.
— Lily — chiese la Sognatrice, — chi sono?
La Sognatrice guardava lei, lei; e Lily fece un cenno. Satin s’inginocchiò, mentre Denteazzurro la imitava, e guardò con venerazione l’ardore degli occhi della Sognatrice, la Sognatrice di Lassù, la compagna del grande Sole che danzava sulle sue pareti. — Ti voglio bene — mormorò Satin. — Ti voglio bene, Il-Sole-è-suo-amico.
— Ti voglio bene — mormorò a sua volta la Sognatrice. — Cosa succede là fuori? C’è pericolo?
— Noi facciamo sicuro — disse il Vecchio, in tono fermo. — Tutti, tutti hisa facciamo sicuro questo posto. Uomini-con-fucili stanno lontani.
— Sono morti. — Gli occhi meravigliosi si velarono di lacrime e cercarono Lily. — È stato Jon. Angelo… Damon… Emilio, forse… ma io no, non ancora. Lily, non lasciarmi.
Con estrema delicatezza, Lily cinse con un braccio la Sognatrice, appoggiandole la guancia sui capelli grigi. — No — disse Lily. — Ti voglio bene, mai lasciare, no, no, no. Sogna loro se ne vanno, uomini-con-fucili. Indigeni tutti stanno tuo posto. Sogna per grande Sole. Noi tuoi mani e piedi, noi tanti, noi forti, noi svelti.
Le pareti erano cambiate. Adesso mostravano scene di violenza, uomini che lottavano contro altri uomini, e tutti gli hisa si strinsero in gruppo, intimoriti. L’immagine svanì. Solo la Sognatrice rimase tranquilla.