— Lily. Il mondo di Lassù rischia di morire. Avrà bisogno degli hisa, quando i combattimenti saranno finiti, avrà bisogno di voi, capisci? Siate forti. Tenete questo luogo. Restate con me.
— Noi combattiamo, combattiamo uomini vengono qui.
— Vivere. Loro non osano uccidervi, capite? Gli uomini hanno bisogno degli hisa. Non verranno qui. — Gli occhi si oscurarono, poi si addolcirono di nuovo. Il Sole era riapparso, e il suo volto terribile riempiva tutta la parete, smorzando la loro ira. Si rifletteva negli occhi della Sognatrice, e colorava il suo pallore.
— Ah — mormorò Satin, dondolandosi. Altri la imitarono, in un bisbiglio sommesso di venerazione.
— Lei è Satin — disse il Vecchio alla Sognatrice. — Denteazzurro suo compagno. Amica di Bennett-uomo, visto lui morire.
— Dalla Porta dell’Infinito — disse la Sognatrice. — Emilio vi ha mandato quassù.
— Konstantin-uomo tuo amico? Tutti indigeni lui vogliono bene. Bennett-uomo lui amico.
— Sì. Era suo amico.
— Lei dice — intervenne il Vecchio. Poi, nella lingua degli hisa: — Narratrice, Il-Cielo-la-vede, racconta la storia alla Sognatrice, illumina i suoi occhi e riscalda i suoi sogni; canta per il suo Sogno.
Satin si sentì avvampare in volto e stringere la gola per la paura, perché lei non era una grande narratrice, sapeva comporre soltanto piccoli canti, e narrare una storia nelle parole degli umani… alla presenza della Sognatrice e del grande Sole, con tutte le stelle intorno, diventare parte del Sogno…
— Su, coraggio — l’esortò Denteazzurro. Quella fiducia le riscaldò il cuore.
— Io, Il-Cielo-la-vede — cominciò Satin, — vengo da Porta dell’Infinito, e dico a te Bennett-uomo, dico a te Konstantin, canto cose di hisa. Sogna cose di hisa, Il-Sole-è-suo-amico, come Bennett faceva sogno. Fai lui vivere, fai lui camminare con hisa, ah! Ti voglio bene, lui voglio bene. Sole sorride e guarda lui. Tanto, tanto tempo noi sogniamo sogni di hisa. Bennett fatto noi vedere sogno umano, mostrato noi cose vere, detto noi Sole tiene in sue braccia tutto Lassù, tutta Porta dell’Infinito, detto noi navi vanno e vengono, grandi, grandi, vengono e vanno, portano uomini da buio lontano. Fatto spalancare noi occhi, fatto più grandi noi sogni, fatto noi sognare come umani, Il-Sole-è-suo-amico. Questa cosa Bennett dato me; e lui dato sua vita. Lui detto noi cose buone in Lassù, riscaldato nostri occhi con desiderio queste buone cose. Noi venuti. Noi visto. Così grande e buio, noi visto Sole sorridere in buio, fatto sogno per Porta dell’Infinito, cielo azzurro. Bennett fatto noi vedere, fatto noi venire, fatto noi sogni nuovi.
«Ah! Io, Satin, dico te tempo che umani venuti. Prima di umani, niente tempo, soltanto sogni. Noi aspettiamo e non sappiamo aspettare. Noi veduto umani e noi venuti Lassù. Ah! Tempo di Bennett viene, tempo freddo, e vecchio fiume tranquillo…
Gli occhi scuri e bellissimi erano fissi su di lei, attenti alle sue parole, come se Satin fosse abile quanto i vecchi cantori. Lei intessé la verità, meglio che poteva, facendo in modo che quello fosse vero, e non le cose terribili che accadevano altrove, rendendolo sempre più vero, perché la Sognatrice potesse farlo diventare verità, e perché nei cicli futuri quella verità potesse rinnovarsi come i fiori, e le piogge e tutte le cose che da sempre esistevano.
I quadri si erano stabilizzati. La centrale si era rassegnata al panico come se fosse una condizione permanente, che traspariva nell’attenzione febbrile per i dettagli, nel rifiuto, da parte dei tecnici, di accorgersi del crescente andirivieni di uomini armati nel centro di comando.
Jon passeggiava nervosamente lungo le corsie con il viso corrucciato, disapprovando ogni movimento non indispensabile. — Un’altra chiamata dal mercantile Finity’s End — gli disse un tecnico. — Parla Elene Quen. Chiede notizie.
— Negativo.
— Signore…
— Negativo. Risponda che stiano calmi e aspettino. Non devono fare altre chiamate non autorizzate. Pretende che trasmettiamo informazioni che potrebbero essere utili al nemico?
Il tecnico tornò a voltarsi, sforzandosi visibilmente di non notare i fucili.
Quen. La giovane moglie di Damon, a bordo di un mercantile; cominciava già a causare difficoltà, chiedeva informazioni, rifiutava di uscire allo scoperto. Le notizie si erano già sparse, e senza dubbio la Flotta adesso le stava ricevendo dai mercantili schierati intorno alla stazione. Ormai Mazian sapeva cos’era accaduto. La Quen con quelli dei mercantili e Damon sul molo della sezione verde; gli indigeni intruppati intorno al letto di Alicia, a bloccare il corridoio trasversale numero quattro in quell’area. Alicia poteva tenersi i suoi indigeni; la porta della sezione era chiusa. Lukas incrociò le mani dietro la schiena e si sforzò di apparire calmo.
Un movimento accanto alla porta attirò il suo sguardo. Jessad era tornato dopo una breve assenza, e sembrava che avesse qualcosa da riferire. Jon si avviò verso di lui. La cupa sobrietà di Jessad non prometteva nulla di buono.
— Qualche progresso? — chiese al confederato, uscendo con lui.
— Abbiamo individuato Kressich — disse Jessad. — È qui con una scorta: chiede un colloquio.
Jon fece una smorfia, guardò in fondo al corridoio dove Kressich attendeva circondato dalle guardie e da un eguai numero di uomini del suo servizio di sicurezza.
— La situazione è immutata all’azzurro uno quattro — disse Jessad. — Gli indigeni continuano a bloccarlo. L’ingresso è sotto controllo. Potremmo effettuare la decompressione.
— Abbiamo bisogno di loro — disse Jon, con voce tesa. — Lasci perdere.
— Per lei? Le mezze misure, signor Lukas…
— Abbiamo bisogno degli indigeni, e sono con lei. Lasci perdere, le dico. Sono Damon e la Quen che ci preoccupano. Che cosa state facendo al riguardo?
— Non possiamo salire su quella nave; la Quen non ha intenzione di scendere e loro non aprono. In quanto a lui, sappiamo dov’è. Ci stiamo lavorando.
— Cosa vuol dire, ci stiamo lavorando?
— Gli uomini di Kressich — sibilò Jessad. — Dobbiamo insistere, là fuori, mi capisce? Si decida e gli parli; gli prometta tutto quello che vuole. Ha in pugno quell’orda scatenata. Può dirigerla dove vuole. Gli parli.
Jon guardò il gruppo nel corridoio e pensò a tante cose, Kressich, Mazian, i mercantili… la Confederazione. La flotta della Confederazione doveva agire al più presto. — Come sarebbe a dire, dobbiamo insistere là fuori? Sa dov’è o non lo sa?
— C’è ancora un lieve margine di dubbio — ammise Jessad. — Se gli scateniamo contro quell’orda, non resterà abbastanza per identificarlo. E dobbiamo sapere, mi creda. Parli con Kressich. E subito, signor Lukas.
Jon girò la testa, e vide che Kressich lo fissava, annuì, e il gruppo si avvicinò… Kressich, grigio e desolato come sempre. Ma quelli che l’attorniavano erano diversi… giovani, arroganti, baldanzosi.
— Il consigliere vuole essere ascoltato — disse uno di loro, un tipo piccolo e bruno, con una cicatrice sul volto.
— Lei parla a nome suo?
— Il signor Nino Coledy — lo presentò Kressich, sorprendendo Lukas con una risposta diretta e un’espressione dura che non aveva mai mostrato in consiglio. — Vi suggerisco di ascoltarlo, signor Lukas, signor Jessad. Il signor Coledy è il capo della sicurezza di Q. Abbiamo le nostre forze, e possiamo ristabilire l’ordine quando vogliamo. Siete pronti a questa eventualità?
Jon volse lo sguardo, turbato, verso Jessad, ma non ottenne riscontro; il confederato non fece commenti. — Se può fermare quell’orda… lo faccia.