— Sì — disse Jessad, senza alzare la voce. — In questa fase, la calma ci sarebbe utile. Benvenuti nel nostro consiglio, signor Kressich, signor Coledy.
— Mi dia accesso alle comunicazioni — disse Coledy. — Per un annuncio generale.
— Glielo dia — disse Jessad.
Jon trasse un profondo respiro; mille domande gli si affollarono improvvisamente sulle labbra: che gioco stava giocando Jessad con lui? Perché ammetteva quei due nel consiglio? Erano fedeli a Jessad, come Hale lo era verso di lui? Trattenne le domande, e soffocò la rabbia, ricordando quel che c’era là fuori, ricordando che tutto era estremamente fragile. — Venga con me — disse. Rientrò e condusse Coledy al più vicino quadro comunicazioni. Da quel punto si vedeva uno schermo; Mazian era ancora immobile. Era troppo sperare che fosse facile togliere di mezzo Mazian. Troppo. La Flotta aveva circondato l’area… le navi di Mazian, sparse qua e là intorno all’alone a molti livelli che costituiva l’orbita dei mercantili intorno a Pell.
— Si sposti — disse a un tecnico, facendolo alzare; fece sedere Coledy e chiamò personalmente la centrale comunicazioni. La faccia di Bran Hale apparve sullo schermo. — Ho una chiamata da inoltrare — disse a Hale. — Priorità assoluta, e va trasmessa sull’intero sistema.
— Bene — disse Hale.
— Signor Lukas — chiamò qualcuno, spezzando il silenzio. Jon si voltò. Gli schermi lampeggiavano sul segnale di allerta.
— Dov’è? — esclamò Jon. Lo schermo non mostrava nulla di preciso. Un pulviscolo giallo rivelava che qualcosa si stava avvicinando velocemente. Il computer cominciò ad attivare le sirene dell’allarme. Vi furono esclamazioni soffocate, imprecazioni, mentre i tecnici si chinavano sui loro quadri.
— Signor Lukas! — gridò qualcuno, freneticamente.
— Lo schermo! — Elene vide quel guizzo e lanciò uno sguardo angosciato a Neihart.
— Sganciamoci — disse Neihart, evitando di fissarla. — Via!
L’ordine passò da una nave all’altra. Elene si rannicchiò per prepararsi allo scossone della partenza… era troppo tardi per ridiscendere sul molo, troppo tardi: i cavi erano stati staccati da tempo, e le navi erano trattenute soltanto dalle grappe.
Un secondo scossone. Erano liberi, e si stavano staccando dalla stazione, mentre l’intera fila dei mercantili ancora attraccati li seguiva in senso antiorario intorno all’orlo; ogni errore nella chiusura dei collegamenti interni poteva causare la rottura dei cavi, e intere sezioni dei moli potevano venire decompresse. Elene restò immobile, provando quelle sensazioni familiari che aveva pensato di non sentire mai più, libera, come la nave, diretta verso ciò che si stava avventando su di loro; e aveva l’impressione che le venisse strappata una parte del suo essere.
Un secondo invasore sfrecciò… raggiunse lo zenith, eludendo gli schermi, ma fece scattare gli allarmi… e passò oltre, diretto verso la Flotta. Erano vivi, liberi e con grande lentezza si allontanavano lungo una rotta prestabilita, seguiti dalle altre navi in partenza. Elene incrociò le braccia sul ventre e guardò gli schermi davanti a lei, nel centro di comando della Finity’s End, pensando a Damon, pensando a tutto ciò che si lasciava alle spalle.
Forse era morto; avevano detto che Angelo era morto; forse era morta anche Alicia; forse Damon… forse… cercò di accettare razionalmente quel pensiero, se era possibile accettarlo, se c’era una speranza di vendicarsi. Trasse alcuni respiri profondi, pensando all’Estelle, a tutti i suoi parenti. Era stata risparmiata per la seconda volta, dunque. Aveva il dono di sfuggire ai disastri. Portava in grembo una vita, un bambino che era un Quen e un Konstantin, nomi che significavano qualcosa tra le Stelle Sperdute; nomi che i confederati avrebbero trovato scomodi in futuro, e lei li avrebbe costretti a ricordarli per sempre.
— Ci porti lontano da qui — disse a Neihart, in tono secco e adirato. E quando Neihart la guardò, sbalordito da quel cambiamento, continuò: — Ci porti fuori di qui. Pronti per il balzo. Trasmetta l’ordine. Punto Matteo. Lo comunichi a tutto il sistema. Ce ne andiamo, passando in mezzo alla Flotta.
Elene era una Quen, e una Konstantin, e Neihart si mosse. La Finity’s End si allontanò dalla stazione, trasmettendo istruzioni a tutti i mercantili vicini e lontani sparsi nel sistema. Mazian, la Confederazione, Pell… nessuno poteva impedirlo.
Gli strumenti diventarono una macchia confusa davanti ai suoi occhi, e poi si fecero di nuovo nitidi. — Dopo Matteo — disse a Neihart, — faremo un altro balzo. Troveremo altri, nello spazio. Altri che ne hanno avuto abbastanza, che non sono venuti a Pell. Li troveremo.
— Non c’è speranza per i suoi cari, Quen?
— No — ammise lei, scuotendo la testa. — Per nessuno dei miei. Sono morti. Ma io conosco le coordinate. Le conosciamo tutti. Io vi ho aiutati, vi ho fatto riempire le stive e non ho mai discusso sulle vostre note di carico.
— Quelli dei mercantili lo sanno.
— Anche la Flotta conoscerà quei luoghi. Quindi restiamo insieme, comandante. Muoviamoci in blocco.
Neihart aggrottò la fronte. Non era abitudine di quelli dei mercantili stare insieme… se non nelle risse, sui moli.
— Ho un figlio su una delle navi di Mazian — disse Neihart.
— E io ho un marito su Pell — disse Elene. — Che cosa ci resta, ormai, se non saldare il conto?
Neihart rifletté per un momento, poi annuì. — I Neihart si fidano di lei.
Elene si appoggiò allo schienale e fissò lo schermo che le stava davanti. Segnali dei confederati all’interno del sistema, spettri che passavano nel buio. Era un incubo. Come Mariner, dove l’Estelle e tutti gli altri Quen erano morti, restando intorno a una stazione condannata fino a quando era stato troppo tardi… dove la Flotta aveva lasciato passare qualcosa, o dove qualcosa li aveva colpiti dall’interno. Era la stessa cosa… ma questa volta i mercantili non sarebbero rimasti ad aspettare.
Continuò a fissare lo schermo, decisa a seguire i rilevamenti fino all’ultimo, ad osservare ogni cosa finché la stazione fosse stata distrutta o loro avessero raggiunto il punto per il balzo… qualunque delle due cose avvenisse per prima.
Damon, pensò, e maledisse Mazian, Mazian più della Confederazione, perché era stato Mazian la causa di tutto.
Per la seconda volta la gravità subì uno sbalzo. Damon si afferrò alla parete e Josh si aggrappò a lui; ma era uno squilibrio da poco, nonostante le urla di panico là fuori, al di là della porta danneggiata. Damon voltò le spalle alla parete e scrollò stancamente la testa.
Josh non fece domande. Non era necessario. Le navi si erano staccate dal resto dell’orlo. Anche da lì, si sentivano le sirene… forse c’era una falla. Era incoraggiante, il fatto che potessero sentire le sirene. C’era ancora aria, là fuori sul molo.
— Se ne vanno — disse Damon, con voce rauca. Elene se ne andava, con quelle navi: voleva crederlo. Era la soluzione più ragionevole. Elene era ragionevole, e aveva molti amici, gente che la conosceva, che era disposta ad aiutarla, mentre lui non poteva. Se ne era andata… per tornare, forse, quando tutto si fosse sistemato… ma c’era davvero questa possibilità? E lui sarebbe stato ancora vivo? Aveva seri dubbi in proposito. Forse sulla Porta dell’Infinito era tutto a posto; forse Elene era su una di quelle navi. La sua speranza era con loro. E se invece si fosse sbagliato…? Preferiva non saperlo.
La gravità cambiò di nuovo. Le grida e i colpi sulla porta erano cessati. Il grande molo non era il posto più adatto per fare i conti con i capricci della gravità. Chiunque avesse un po’ di buon senso era scappato a rifugiarsi in posti più piccoli.