— Venite noi posto — disse Freccia. — Voi fate noi sicuri; noi sogniamo uomini cattivi via e loro vanno; e voi venite adesso, noi andiamo sognare. No sogni hisa, no sogni umani; sogni insieme. Venite posto sogno.
Emilio non capiva. C’erano luoghi oltre i quali gli umani non si erano spinti insieme agli hisa. Luoghi-del-sogno… era già un sogno, quella fuga mista di umani e di hisa, nell’oscurità, nel sovvertimento di tutto ciò che era stata la Porta dell’Infinito.
Loro avevano salvato gli indigeni; e nei lunghi anni del dominio della Confederazione, quando sarebbero venuti umani che non si curavano degli hisa… tra gli hisa vi sarebbero stati umani che potevano metterli in guardia e proteggerli. Restava ancora questo da fare.
— Un giorno verranno — disse a Miliko, — e vorranno abbattere gli alberi e costruire fabbriche e imbrigliare il fiume e tutto quanto. È così, no? Se li lasceremo fare. — Strinse la mano di Freccia, e guardò il viso teso della moglie. — Andiamo ad avvertire gli altri campi. Vogliamo portare tutti gli umani nella foresta insieme a noi, fare una lunga, lunga marcia. Abbiamo bisogno di acqua buona, di buon cibo.
— Hisa trovano — sorrise Freccia, come se pensasse a un grosso scherzo combinato tra gli hisa e gli umani. — Non nascondono voi cibo buono.
Non erano capaci di conservare a lungo un’idea… così sostenevano alcuni. Forse il gioco avrebbe perduto interesse, quando gli umani avessero esaurito tutti i loro doni. Forse avrebbero perduto ogni rispetto per gli umani e se ne sarebbero andati per i fatti loro. E forse no. Gli hisa erano cambiati da quando erano arrivati gli umani.
E anche gli umani erano cambiati, sulla Porta dell’Infinito.
CAPITOLO QUARTO
Vittorio si versò da bere, per la seconda volta da quando lo spazio intorno a loro s’era riempito della flotta logorata dalla battaglia. Le cose non erano andate come avrebbero dovuto. Il silenzio aveva invaso l’Hammer, il silenzio amareggiato di un equipaggio che sentiva la presenza di un nemico, d’un testimone della loro umiliazione. Vittorio non guardava nessuno negli occhi, non diceva nulla… voleva soltanto anestetizzarsi con la dovuta rapidità, perché nessuno potesse rimproverargli nulla: non voleva dare consigli o giudizi.
Era evidentemente un ostaggio: così aveva deciso suo padre. E pensò, inevitabilmente, che suo padre poteva aver fatto il doppio gioco con tutti, e che forse lui ormai era meno di un ostaggio inutile… e che forse la sua carta stava per essere giocata.
Mio padre mi odia: aveva cercato di dirlo agli altri, ma quelli non se ne curavano. Non erano loro a prendere le decisioni. Era stato Jessad a stabilire che doveva andare così. E adesso, dov’era Jessad?
Doveva esserci in arrivo un visitatore, un personaggio piuttosto importante.
Lo stesso Jessad, che veniva a riferire l’insuccesso e a sbarazzarsi di un inutile fardello umano?
Vittorio Lukas ebbe il tempo di finire il suo secondo bicchiere prima che l’attività dell’equipaggio e un lieve sussulto contro lo scafo segnalassero un contatto. Udì il rumore sordo dei macchinari, il suono di un ascensore in funzione e uno stridio quando la cabina si sincronizzò con il cilindro rotante. Qualcuno stava salendo. Vittorio rimase immobile con il bicchiere in mano, e si augurò di essere un poco ubriaco. La curvatura del ponte nascondeva l’uscita dell’ascensore. Non poteva vedere quel che succedeva; ma notò che alcuni membri dell’equipaggio dell’Hammer non erano più al loro posto. Alzò gli occhi, sgomento, quando li sentì arrivare dal lato opposto, alle sue spalle, attraverso gli alloggiamenti.
Blass dell’Hammer. Due membri dell’equipaggio, seguiti da un gruppo di militari a lui sconosciuti, alcuni in borghese. Vittorio si alzò, tremante, e li fissò. Un ufficiale ringiovanito, con i capelli grigi, splendente di gradi e decorazioni. E Dayin. Dayin Jacoby.
— Vittorio Lukas — l’identificò Blass. — Comandante Seb Azov della flotta; il signor Jacoby della sua stazione; e il signor Ayres dell’Anonima Terra.
— Del Consiglio di Sicurezza — lo corresse Ayres.
Azov sedette al tavolo e gli altri presero posto nei banchi tutt’intorno. Vittorio era immerso in una nube alcolica che a tratti gli offuscava la mente. Cercò di assumere un atteggiamento naturale. Erano venuti a parlare con lui… con lui… e lui non era in grado di aiutare nessuno.
— L’operazione è cominciata, signor Lukas — disse Azov. — Abbiamo eliminato due delle navi di Mazian. Non sarà facile stanarle tutte: orbitano nei pressi della stazione. Abbiamo richiesto altre navi; ma ci siamo liberati di tutti i mercantili, quelli per i lunghi percorsi. Restano solo i mercantili per brevi tragitti, e servono da camuffamento.
— Che cosa vuole da me? — chiese Vittorio.
— Signor Lukas, lei conosce quelli dei mercantili che hanno le basi fuori dalla stazione… lei ha diretto la Società Lukas, almeno in una certa misura, e conosce quelle navi.
Vittorio annuì, preoccupato.
— La sua nave, l’Hammer, signor Lukas, tornerà nei pressi di Pell, e per quanto riguarda i mercantili, lei sarà l’addetto alle comunicazioni dell’Hammer… non con il suo vero nome, no; le daremo un fascicolo sulla famiglia dell’Hammer, e lei lo studierà molto attentamente. Risponderà come se fosse uno di loro. Ma se l’Hammer venisse fermata dalla milizia dei mercantili, o da Mazian, la sua vita dipenderà dalla sua capacità di improvvisare. L’Hammer dirà ai mercantili rimasti che per sopravvivere dovranno portarsi alla periferia del sistema e non immischiarsi in questa faccenda, insomma, togliersi di torno e interrompere i contatti con Pell. Vogliamo che quelle navi se ne vadano, signor Lukas; e non sarebbe opportuno far capire a quelli dei mercantili che ci siamo intromessi con l’Hammer e la Swan’s Eye. Non vogliamo che si sappia, è chiaro?
Gli equipaggi di quelle navi, pensò Vittorio, non sarebbero mai stati liberati senza l’Adattamento. Pensò che anche la sua memoria era pericolosa per la Confederazione, che non sarebbe stato opportuno far sapere a quelli dei mercantili che la Confederazione aveva violato la loro neutralità, colpa che imputava soltanto a Mazian. Che si era impadronita del personale, delle navi, dei nomi… soprattutto i nomi, la fiducia, l’identità di quella gente. Strinse il bicchiere vuoto, si accorse di ciò che stava facendo e smise subito, sforzandosi di assumere un’aria sobria e lucida. — I miei interessi coincidono — disse. — Il mio futuro su Pell è tutt’altro che assicurato.
— Perché, signor Lukas?
— Speravo di far carriera nella Confederazione, Azov. — Vittorio alzò gli occhi verso la faccia cupa di Azov, augurandosi che la propria voce avesse un tono calmo. — I rapporti tra me e mio padre… non sono dei migliori, e per questo mi ha consegnato tanto volentieri a voi. Ho avuto il tempo di riflettere. Molto tempo. Preferisco accordarmi direttamente con la Confederazione.
— Pell sta restando senza amici — osservò sottovoce Azov, lanciando un’occhiata alla faccia triste di Ayres. — Adesso gli indifferenti l’abbandonano. La volontà del popolo, signor ambasciatore.
Ayres rivolse uno sguardo di sottecchi ad Azov. — Abbiamo accettato la situazione. La mia missione non ha mai avuto lo scopo di ostacolare la volontà di chi risiede in quelle aree. Ma sono preoccupato per la sorte della stazione di Pell. Stiamo parlando di migliaia di vite umane, signore.