Выбрать главу

«State in gamba» disse. «Non potrete battervi se non state in gamba.»

«Mi batterò.»

«Sapete che condotta tenere. Non abbiate paura di imporvi.»

«Potete star certo.»

Il tempo passò. Edri se ne stava seduto e fumava. Trehearne camminava, sedeva e riprendeva a camminare. Passò un’eternità e poi un’altra, e poi un energico giovanotto dall’aria indaffarata, molto sicuro di sé entrò e si rivolse ai due.

«Dovete venire all’ufficio del Coordinatore» annunciò e fissò Trehearne con franca curiosità. Poi si volse a Edri. «Il suo aspetto è normalissimo. È poi vera questa storia?»

«Non importa» rispose Edri. «Venite, Trehearne.»

Egli li seguì giù per il lungo corridoio e nella camera di compressione, lasciando l’astronave così come vi era salito un tempo infinitamente lontano. Uscì fuori sul vasto dock e l’intenso frastuono, l’assordante confusione del più grande porto dello spazio nella Galassia lo colpirono come un’esplosione.

Fila su fila, e da tutti i lati, i torreggianti docks si stendevano a perdita d’occhio. Astronavi erano ormeggiate nella maggior parte di essi, mostri adagiati in riposo, folle di uomini e poderosi complessi di macchine attendevano alle riparazioni. L’aria sonora era pesante di profumi, strane specie sottili, inidentificabili odori misti al vapore dell’olio e dei metalli ardenti: inimmaginabili ricchezze provenienti da mondi inimmaginabili. Trehearne se ne stava immobile, sentendo vibrare in sé quel meraviglioso pulsare di vita, quasi inconscio del fatto che Edri cercava di dirigerlo verso un chiosco all’estremità del dock o che il giovane Vardda osservava divertito il suo stupore.

In file interminabili gli uomini si arrampicavano per gli scafi poderosi, andavano su e giù indaffarati per i docks provando, controllando, guidando e manovrando le macchine. Non erano Vardda. Erano abitanti di altri mondi, che non potevano volare tra le stelle. Molti di essi — e Trehearne spalancò ancor di più gli occhi per la sorpresa, poiché, anche per chi sa, vedere è un’altra cosa — non erano affatto ciò che egli avrebbe chiamato esseri umani. Ma nonostante la loro singolarità, gli apparivano familiari.

Essi erano simili, in fondo, a tutti gli altri meccanici dal volto allegro e dalle mani callose, che si vedono in qualsiasi porto della Terra addetti alle navi e agli aeroplani. Il rumore continuo era assordante. Gigantesche gru ruotavano pesantemente sui perni, sollevando carichi tra cinghie di elevatori e stive spalancate. Carrelli veloci scomparivano e riapparivano nella confusione. A intervalli tra i docks vi erano file di botteghe, dove fucine azionate dall’energia atomica forgiavano parti nuove, placche e rivestimenti. Qui un grappo di uomini lavorava su uno scafo con saldatori abbaglianti; là una grande sezione d’arco veniva calata lentamente al posto destinatole con un clangore assordante.

La voce di Edri gli giunse lieve e fioca. «Affari grossi, Trehearne. I più grossi sulla Galassia. Fa impressione, non è vero?»

Sospinse Trehearne oltre, verso il chiosco che si trovava un poco più avanti. Percorrevano un passaggio fiancheggiato da rotaie e a un tratto Trehearne vide venire alla loro volta dal lato opposto delle rotaie una grande macchina molto complicata che sembrava procedere lentamente lungo lo scafo dell’astronave, guidata da un piccolo essere umano: seduto nell’interno ce n’era un altro circondato da quadranti, leve di controllo e piccoli schermi.

«È un rivelatore a raggi X» gli spiegò Edri. «Piombano immediatamente su ogni astronave che atterra. Con il tempo queste ultravelocità intaccano il metallo. I rivelatori indagano la struttura cristallografica dei metalli o ogni altra variazione molecolare. Le astronavi diventano poco sicure dopo un certo periodo di servizio, generalmente piuttosto lungo, e vengono continuamente sottoposte ad accurati controlli. Non è piacevole che uno scafo si spezzi in due nel bel mezzo di non so dove.» Spinse Trehearne verso l’ingresso del chiosco. Il giovane Vardda aveva l’aria di divertirsi. Edri disse: «C’è un ascensore qui. Scendiamo.»

Trehearne entrò e si volse. Proprio prima che la porta gli si chiudesse dolcemente in faccia, scorse di sfuggita in lontananza un’alta torre bianca dominante l’intero orizzonte e capì subito senza che nessuno glielo dicesse che si trattava della sede dell’amministrazione del porto, del luogo quindi in cui si sarebbe deciso il suo immediato destino.

Una volta ancora il senso di meravigliato stupore svanì, bruscamente l’ascensore discese rapido, il suo cuore con esso.

Fu un viaggio breve. L’ascensore li depositò in un passaggio molto al di sotto del livello del suolo, e il passaggio li condusse a una sotterranea: dovunque regnava una grande quiete in contrasto con il frastuono del porto. Un piccolo vagone monorotaia li portò in pochi minuti al piano sottostante la torre, dove trovarono un altro ascensore privato che, questa volta, saliva. Trehearne aveva in bocca un sapore amaro, i palmi delle mani gli sudavano.

Gli pareva che l’ascensore non si dovesse mai fermare, ma si fermò infine al piano più elevato. Il giovanotto energico fece loro cenno di uscire e si trovarono in un ufficio nudo e spazioso, con pareti-finestre che si affacciavano in tutte le direzioni sul porto. Trehearne pensò fugacemente che, più che un ufficio, pareva il ponte di un’astronave pateticamente incatenata al suolo.

C’erano Shairn e Kerrel che si tenevano ben lontani l’una dall’altro in atteggiamento di distacco, un’espressione di ostinata determinazione sul viso Kerrel non si voltò, ma Shairn si avvicinò a Trehearne e gli prese la mano con aria di sfida. Un po’ appartato, un altro energico giovanotto trafficava intorno a un apparecchio registratore. In quel luogo pareva gravare un grande silenzio, prodotto forse dall’arrivo dell’ascensore perché nessuno aveva l’aria di voler tacere, meno di tutti l’uomo che stava loro di fronte, al di là di una massiccia scrivania. Trehearne vide un canuto gigante dalle potenti spalle che pareva impossibile potesse lavorare in un ufficio. Le pareti, anche di quel tipo, sembravano opprimerlo perché definivano un orizzonte. Le sue grandi mani, segnate da cicatrici, posavano inquiete sul legno lucido, come insofferenti delle carte che vi erano ammucchiate, e i suoi occhi parevano più abituati a guardare le stelle che gli uomini. Quei suoi occhi di un azzurro chiaro come il ghiaccio scrutarono Trehearne senza mai distogliersene finché non ebbero individuato ogni minimo particolare.

«Non ci credevo» disse Joris «ma ora capisco perché non vi andò l’idea di ucciderlo, è troppo simile a noi. Ma dannazione! Kerrel, tu più di tutti, avresti dovuto ricordare la legge. Nessun personale non-Vardda in nessuna circostanza può salire a bordo di un apparecchio destinato a voli interstellari. Che ti ha preso?»

Prima che Kerrel potesse rispondere, Shairn parlò in sua vece «Un eccesso di sensibilità» disse «e un dubbio. Penso che ora li rimpianga entrambi. Vedi, Joris, si trattava di un dubbio legale. Guardando Trehearne potresti dire che non è un Vardda?»

«Ma voi lo sapevate…»

«Oh, no» esclamò Edri piccato «non lo sapevamo. Non ne sapemmo nulla finché non sopravvisse alla partenza, e allora non lo si poteva certo classificare come non-Vardda… non è vero, Joris?»

Joris si agitò in tutta la sua mole, a disagio. «Un capriccio della natura» brontolò. «Un bastardo. Non gli avete fatto un piacere a portarlo qua. Shairn, ho l’impressione che ci sia la tua mano in tutto questo. In effetti conoscendoti…»

Shairn sbottò. «Quel che faccio è affar mio. E quanto a Michael è un Vardda come te. Ma non hai ancora risposto alla mia domanda. Mi permetterà di tenerlo in mia custodia fino a che si radunerà il Consiglio?»