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Trehearne sogghignò. Volse lo sguardo dall’uno all’altro e infine lo fissò su Joris. «C’è una cosa che non capisco. Perché avete fatto questo per me?»

«Non chiedete mai a un uomo perché ha agito in un dato modo, se ha agito bene, Trehearne. E ora che siete un Vardda fatto e finito, avete un altro problema da affrontare. Dovete guadagnarvi la vita. Desiderate ancora darvi ai voli interstellari?» Colse l’espressione del viso di Trehearne e sorrise. «Ho bisogno di un sovrintendente a bordo della mia nave Saarga, che salperà tra due settimane per un giro di affari nella costellazione di Ercole. Ufficiali ed equipaggio hanno un utile sulla spedizione e si tratta di un viaggio che può rendere molto. Anche un sovrintendente ha la possibilità di buoni guadagni.»

Edri intervenne: «Bisogna che vi avverta, Trehearne. Le spedizioni a Ercole sono tra le più dure di tutta la Galassia.»

«Ecco perché rendono tanto» disse Joris. «Ebbene?»

Prima che Trehearne potesse rispondere, Shairn gli posò pigramente una mano sulla spalla e disse: «Sciocchezze, Joris. Non è il caso che intraprenda nulla di simile. Posso trovargli una sistemazione migliore nella mia flotta e nell’attesa non patirà certo la fame.»

Il volto di Trehearne si irrigidì. Osservò pianamente: «Mi sembra di aver sentito dire, Shairn, che gli affari vi vadano a meraviglia.»

«Oh, a meraviglia! Trenta navi invece delle due di Joris. Mio padre era un uomo in gamba e io sono stata abbastanza fortunata da essere la sua unica erede. Oh, al diavolo chi vuol parlare di affari! Andiamo, Michael, vi mostreremo la città!»

«Tra un momento.» Joris lo guardava con un’espressione curiosa, e le labbra di Trehearne si irrigidirono ancor più. Chiese: «Quando dovrò trovarmi a bordo della Saarga

Edri si curvò sulla spalla di Shairn e bisbigliò. «Penso che abbiate fatto arrabbiare il nostro Michael.»

Joris guardò Shairn e rise. «Perdete un ospite, vero?» Si alzò. «Benissimo, Trehearne, ve lo farò sapere. E ora vediamo che cosa possiamo fare per celebrare questo giorno!»

Uscirono. Ma per un’ora o più Shairn rimase un po’ imbronciata, tanto più perché Trehearne pareva aver dimenticato la sua esistenza.

Splendente nel costume nero e argento preso dal guardaroba di Edri, libero, accettato, con un futuro davanti a sé, Trehearne camminava per le vie della città, ubriaco di colori, di suoni e di movimento, abbagliato dalle incredibili dimensioni e dall’assoluta stranezza della più grande metropoli della Galassia. Si ergeva splendida nella varietà dei suoi edifici affollati, fiorente, bella, immersa nella ricchezza e nella genialità di mille culture dalle radici remote, Mecca di tutte le popolazioni dei sette pianeti abitati di Aldebaran. E la sua bellezza era reale. Dietro i magnifici edifici non vi erano vicoli bui e malsani, non catapecchie, non miseria, non brutture. I Vardda avevano viaggiato un po’ dovunque, avevano visto molti paesi, facendone tesoro. Da un punto di vista unico nella storia, avevano studiato e paragonato l’inizio, l’espansione e il cròllo di più imperi, razze e culture di quanti un uomo possa enumerare nel giro di un anno, e il lavoro continuava tuttora sotto la direzione delle loro menti migliori, impegnate in un’opera di coordinamento, di studio, di indagine delle cause, di scelta, tra la massa degli elementi raccolti, dei modi e dei mezzi più adatti a mantenere integro l’impero dei Vardda. Da secoli procedevano sicuri, e Trehearne sentiva per loro una grande ammirazione, specialmente pensando che dovevano lottare contro le naturali difficoltà di una società essenzialmente chiusa. Il loro governo era elettivo, e lo mantenevano incorrotto. Le loro leggi erano relativamente poche e semplici, e venivano rispettate. Essi non opprimevano nessuno e facevano in modo che i loro vicini non-Vardda traessero vantaggi dai loro traffici.

«Non è vero affatto» gli aveva detto Edri una volta «che siamo così più dannatamente nobili degli altri. In realtà probabilmente nessuno ci supera nel nostro fondamentale egoismo. È un buon affare per noi, vedete. Rendete ognuno il più felice possibile, trattateli meglio che potete, fateli tutti ricchi, e non avrete guai; il che nuocerebbe al commercio. Le razze estere non hanno probabilmente alcuna simpatia per noi, ma non intendono certo tentare di fare a meno di noi. Quanto alla politica interna e all’amministrazione, far andare bene le cose è un semplice impulso di autoconservazione. Noi non siamo degli utopisti, per usare uno dei termini cari a voi della Terra, noi cerchiamo semplicemente di agire con buon senso.»

Guardando la città, Trehearne pensava che avevano compiuto un’opera notevole. In effetti pochi tra i Vardda amavano la vita della città. Llirdis era essenzialmente un mondo di proprietà separate e di piccole comunità. I sociologi vardda non erano stati ciechi di fronte al pericolo di quel corrosivo stato finale della civiltà che Spengler definì megalopoli. La città non era destinata a offrire dimora a grandi masse di popolazione. Essa era essenzialmente costituita da banche, magazzini, uffici, fabbriche totalmente destinata agli affari. La popolazione era formata principalmente da non-Vardda che vi trascorrevano soltanto le ore di lavoro. Le loro case sorgevano sui loro propri pianeti. Abitavano nella città senza esserne prigionieri.

Quanto a Trehearne gli pareva, quella notte, che avrebbe potuto passarvi tutta una vita senza mai esserne stanco. Le piccole astronavi che percorrevano le anguste vie planetarie si posavano accanto ai superbi giganti delle vie stellari, e riversavano nella metropoli una inesauribile fiumana di visitatori, venuti a godersi i riflessi di una gloria che non avrebbero mai potuto conquistare, a sperimentare piaceri diversi, ad acquistare gemme, spezie e sete finissime di mondi che non avrebbero mai visto. La maggior parte di loro aveva aspetto umano o quasi, con la pelle di vari colori, gli abiti bizzarri o semplici, secondo le singole usanze nazionali. Altri non erano umani affatto, tranne che per intelligenza e dignità di portamento.

«Vedi quei tipi dalla pelle nera, il naso aquilino, e le ali bronzee?» Edri rispose con un cenno della mano allo sguardo interrogativo di Trehearne. «Sono di Suumis, e i tre argentei laggiù con le creste lucenti e gli abiti cremisi? Sono la razza dominante del secondo pianeta di Aldebaran, orgogliosi come Lucifero perché hanno scaglie d’argento al posto della pelle. Quel piccolo individuo bluastro è un principe mercante di Zaard, il pianeta più lontano. Vedi il diamante, segno della sua casta?»

Trehearne vedeva tutto. Il cervello gli turbinava dal troppo vedere, udire e sentire il palpito e il fremito della città, le folle caleidoscopiche, i gruppi dei Vardda superbi come pavoni nelle loro tuniche, splendenti di gioielli, la babele delle lingue più bizzarre, l’onda invadente di una musica strana e dolce. E i quattro se ne andavano di luogo in luogo senza fretta, vagando dove l’umore li portava, bevendo l’oscuro vino di Antares, la frizzante birra candida di Fomalhaut, e gli innumerevoli vini di vari colori dei sistemi planetari più remoti. Shairn si dimenticò di tenere il broncio. A Trehearne ella sembrava fluttuare tra risa e chiaro di luna, seducente e irraggiungibile come una creatura apparsa in sogno. Il vino gli saliva alla testa. L’emozione, la novità, la selvaggia gioia della libertà gli mettevano indosso una specie di febbre, e le cose attorno a lui perdevano realtà, turbinando sempre più veloci in colori sempre più vividi, come visioni evocate da una nebbia evanescente. Visi umani, semiumani, inumani, belli, grotteschi, comici. Maschere di carnevale, volteggianti come in una danza. Le donne vardda dolci come il peccato, in mille abbigliamenti di mille mondi diversi, sorridenti con bocche scarlatte. Musiche ritmate, scandite, lamentose, melodie sconosciute di ignoti strumenti, appassionate, lievi, mescolate all’odore del vino, ai profumi, all’aspro vento del mare. Danzatrici dalla pelle di smeraldo, strane bestie che si esibivano in salti di una prodigiosa abilità, un turbinare di parchi di divertimenti, di terrazze di giardini, di piazze, di alberi sconosciuti oscillanti al lume delle tre lune. Il viso ridente di Shairn, Joris animato e gioviale, e Edri con l’aria di un vitello che venisse portato al sacrificio.