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La afferrò rudemente per il braccio, ma ella sì liberò con forza e gridò qualcosa al vecchio continuando a ridere beffarda, ed egli di nuovo pensò che fosse una creatura fatata e non una ragazza. Le parole che aveva rivolto al vecchio, avrebbero potuto essere in gaelico, ma avevano un suono diverso. In qualunque lingua fossero state pronunciate, non avevano ombra di gentilezza. Trehearne si fece strada tra gli spettatori che prontamente arretrarono per lasciarlo passare, e la ragazza gli fu immediatamente dietro. La voce del vecchio li seguì giù per la china del colle e i turisti curiosi continuarono a guardarli finché scomparvero dalla loro vista.

La ragazza disse: «Siete ancora adirato?»

«Che cosa aveva quella gente?» chiese Trehearne.

«La gente di campagna ha buona memoria. Non sa che cosa sia in realtà ciò che ricorda, sa solo che un tempo patì gravi sventure per causa nostra.»

«Che genere di sventure?»

«Ve ne sono state forse di nuove dal principio del mondo in poi?»

La sua voce aveva un tono sarcastico. Trehearne dovette ammettere che non ve ne erano state. Dal tempo in cui le giovinette facevano pratiche di stregoneria, le storie di famiglia si ripetevano tutte con la stessa uggiosa monotonia.

«Comunque» soggiunse «i Kerrel e i Cahusac si devono essere distinti in questo campo a giudicare dall’accoglienza con cui ci hanno ricambiato.»

Si fermò. Erano lontani dalla folla ora. La solitaria città murata incombeva all’orizzonte enorme e oscura, un’ombra medievale contro la notte e il mare. La ragazza era un fantasma bianco nelle tenebre, sconvolta dal vento salato che le scompigliava i capelli e le gonfiava le gonne. Non le parlò, ma rimase silenzioso, cercando di vederle il viso al lume delle stelle. Dopo un momento ella gli chiese: «A che cosa pensate?»

«Attendo di vedere se svanirete anche voi come l’altro Kerrel.»

Ella rise. «Kerrel è un maleducato. Io mi sono offerta per far riparazione. Certo ora non sarete più in collera!»

Rise a sua volta.

«No. In verità, vi sono grato; a proposito, che grado di parentela ha con voi?»

«Nessuno.»

«Ma avete detto…»

«Era una piccola bugia. Ed è servita al suo scopo.»

«Bene, comunque, sono grato a Kerrel della sua scortesia. Preferisco parlare con voi!» Il suo cattivo umore era completamente svanito. Le prese la mano e si stupì di trovarla così forte. La ragazza sembrava emanare un’immensa vitalità, una vivacità che gli faceva sembrare tutte le altre donne che aveva conosciuto, insipide e sciocche.

«Come vi chiamate» le chiese «se non siete una Kerrel?»

«Shairn.»

«Non sembra un nome bretone.»

«Davvero? L’altro mio nome è ancora più strano. Non si può pronunciare e significa della Torre d’argento.»

I suoi occhi erano luminosissimi al chiarore delle stelle. Egli pensò che in qualche suo modo segreto, stava prendendosi gioco di lui, ma non se ne curava. Disse: «Vi chiamerò Shairn.» Avevano ripreso a discendere lungo il sentiero. Le disse il suo nome ed ella gli domandò: «Siete americano?»

«Da quattro generazioni.»

«Dalla Bretagna alla Cornovaglia, all’America» mormorò come a se stessa. «Gli anni, le generazioni, il miscuglio di razze e ancora il sangue dei Vardda scorre genuino. Michael, siete meraviglioso!»

Egli ripeté la parola Vardda in tono interrogativo.

«Un nome di tribù. Non l’avete mai udito?» Rise divertita. «È incredibile. Non c’è da meravigliarsi che Kerrel si sia sbagliato. Ascoltate, Michael. Vi chiedete quale sia la vostra famiglia, la vostra razza. Oh, sì, ho sentito tutto. Bene, forse ve lo dirò o forse non ancora! Vi è una piccola baia oltre il faro. Ci vedremo là, domani mattina.»

2

Mattina è un termine vago per un appuntamento. Trehearne ci andò presto, arrampicandosi su per le rocce battute dai frangenti. Il sole era caldo e il mare di un azzurro intenso, striato di bianca spuma. Una viva eccitazione ardeva in lui. Non aveva dormito, pensando a Shairn e a Kerrel, cercando di analizzare quella singolarità che aleggiava intorno a loro e toccava qualche corda sepolta in lui. Non vi era riuscito.

Vi era qualcosa di quasi feroce nel modo in cui avanzava. Era oppresso dalla paura che Shairn non venisse. Intuiva che stava giocando un suo gioco con lui, senza indovinarne lo scopo. Ma poiché vi era stato coinvolto, voleva vedere come l’avrebbe portato a termine. Se non fosse venuta, l’avrebbe trovata lui, avesse dovuto smuovere tutte le pietre di Saint-Malo per ritrovarla.

Giunse alla baia. Era deserta. La ragione gli diceva che la sua era impazienza, ma si sentiva pur sempre deluso e irato. Poi, guardando più da vicino, vide delle orme sulla sabbia, orme di piccoli piedi nudi che conducevano nell’acqua. Un abito da spiaggia e un paio di sandali erano riposti entro una spaccatura della roccia.

Esplorò con lo sguardo le onde che si cullavano pigre tra due grigi speroni ripidi. Non vi era traccia di lei. Negli occhi di Trehearne passò una luce dura. Si tolse la camicia e i pantaloni e si tuffò nella gelida schiuma. Era un formidabile nuotatore. Ai tempi dell’università era stato anche campione di atletica per un certo periodo, finché non vi aveva rinunciato per la vaga convinzione che il suo corpo fosse destinato a qualcosa di più importante che saltare ostacoli e correre per distanze arbitrarie lungo una stretta corsia. Non era mai riuscito a scoprire che cosa fosse più importante, ma la convinzione gli era rimasta. Faceva parte di quella fierezza che era la molla del suo carattere, una fierezza inutile, doveva ammetterlo, che era servita solo a complicare i suoi rapporti con il mondo.

Fece due volte il giro della baia prima di trovarla, al riparo tra le rocce frastagliate dello sperone nord, seminascosta tra le alghe scintillanti, il volto ridente. Cercò di afferrarla, ma gli sfuggì da sotto come un delfino, per riemergere a qualche metro di distanza, per far schizzare alta l’acqua e rituffarsi.

La inseguì nelle gorgoglianti profondità verdi-azzurre e poi ancora nella luce del sole e nella schiuma, il corpo di lei era color dell’argento, agile e flessuoso e meravigliosamente forte. Avrebbe potuto prenderla, ma non volle e la sfiorò solo con le dita per mostrarle che poteva farlo. I suoi capelli erano sciolti, un’ondeggiante massa nera intorno al capo, la bocca era rossa, e gli occhi due verdi atomi danzanti del mare, misteriosi, canzonatori e mobili come le onde.

Alla fine si girò a galleggiare sul dorso, ansante, compiaciuta di se stessa e di lui.

«Riposiamoci!» esclamò, ed egli si mise a galleggiare accanto a lei, osservando i movimenti delle sue bianche braccia nell’acqua. I versi di una vecchia poesia gli vennero spontanei alle labbra.

Che meravigliosi bambini ebbero Lilith e Adamo…

Forme che danzavano nei boschi e tra le acque,

figli radiosi e ftglie luminose…

«Il poeta che scrisse questi versi conosceva solo una parte della verità» disse Shairn. «Rituffiamoci!»

Trovarono un luogo riparato dove il sole era caldo. Con aria assente Shairn lisciava con il palmo della mano un mucchietto di sabbia e poi lo scompigliava di nuovo. Dopo un po’ disse: «Che razza di uomo siete, Michael? Che cosa fate? Come vivete?»

Le rivolse uno sguardo acuto. «Davvero volete saperlo? Va bene, ve lo dirò. Sono un uomo che è sempre stato insoddisfatto. Non sono mai riuscito a durare per molto tempo nello stesso lavoro. Sono aviatore di professione, ma anche questa mi sembra un’occupazione uggiosa, un gioco da bambini. E perché? Perché mi sento troppo bravo per qualsiasi cosa.»