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I manuali erano un po’ meglio perché ricchi di riferimenti a razze diverse e spesso non umane, con affascinanti descrizioni dei più strani costumi e psicologie di cui mai Trehearne avesse udito. Ma la storia lo incantava. Iniziava con una prefazione su ciò che i Vardda erano stati nei millenni precedenti la comparsa di Orthis, quando erano semplicemente gli abitanti di Llirdis. Sembrava a Trehearne che essi non fossero molto diversi dai Popoli della Terra. Avevano avuto le loro epoche barbariche e mutamenti ed espansioni, la loro omogeneità non era stata raggiunta senza fatica. Comunque l’avevano raggiunta e in un periodo più antico rispetto allo svolgimento della loro cultura di quello in cui si trovava ora il suo pianeta d’origine. Pensava che forse il compito era stato più facile per i Llirdiani, vi erano state meno barriere geografiche al libero mescolarsi delle genti nella loro fase nomade. Gli oceani erano chiusi tra le terre e le catene montuose interrotte da passi transitabili. Nessuna tribù primitiva si era trasformata in uno stato isolato se pure parzialmente, e le conenti culturali erano fluite impetuose in tutte le direzioni perdendo d’intensità ma espandendosi oltre i loro ristretti limiti in quello che infine divenne un patrimonio universale. Tale unità culturale creò forse una certa monotonia nel quadro del pianeta a causa dell’uniformità degli abiti, della lingua e dei costumi, ma aveva una sua forza e portò alla concezione dell’individuo come cittadino del mondo invece che di una nazione, fatto che conduce usualmente alla guerra. Il progresso scientifico aveva avuto solo qualche naturale interruzione, senza età oscure che determinassero regressi, e in un’epoca in cui i popoli della Terra erano immersi nel più nero pozzo dell’ignoranza, cioè dall’età della pietra, Llirdis possedeva l’energia atomica, un traffico organizzato con i pianeti vicini e stava costruendo e varando la prima astronave, e qui si arrivava al capitolo iniziale della storia e a Orthis: "È difficile immaginare che cosa sia stato il primo epico volo dell’uomo tra gli astri…

"Non come ora rapido e agevole, di molto superiore alla velocità della luce. La scienza aveva a disposizione anche allora i mezzi tecnici per costruire e azionare veloci astronavi, ma esse erano inutili. L’uomo non poteva sopravvivere alle ultravelocità. Dovevano accontentarsi di andare da un pianeta all’altro lentamente. Quattro generazioni vissero e morirono dentro gli angusti confini di quel primo fragile precursore delle flotte dei Vardda; uomini e donne dedicarono se stessi e i loro figli alla conquista della più ardua barriera che l’umanità abbia mai superato. E la superarono. Lentamente, a fatica, esposti a tutti i pericoli di radiazioni sconosciute, di luoghi selvaggi nel vero senso della parola, mai esplorati, non segnati su alcuna carta, nella più terribile solitudine e isolamento che mai esseri viventi abbiano affrontato, essi proseguirono faticosamente il loro viaggio finché sbarcarono sul pianeta di un altro sole e poi — e questa, a Trehearne sembrava la più incredibile audacia — di nuovo salparono per Llirdis che per questa generazione intermedia rappresentava solo un nome, una tradizione; e qualcosa che, lo sapevano bene, non avrebbero mai visto. Orthis nacque durante questo viaggio di ritorno, a ventidue anni di distanza dal pianeta che gli avevano insegnato a considerare come sua patria, sebbene non sapesse nulla di pianeti ne di alcun’altra forma di vita oltre quella dell’astronave che si muoveva come per l’eternità. Il suo udito doveva essere accordato solo a quel vasto silenzio, la sua vista all’oscurità e alle stelle lontane. Al vento, alla pioggia, alla luce del sole, all’erba calda, agli animali, ai visi delle folle egli era straniero.

"E straniero rimase. Non poteva sopportare di essere legato ai pianeti, dopo aver vissuto tutta la sua vita nello spazio. Costruì la sua astronave-laboratorio e lavorò in essa, navigando dove voleva, quasi solo, per altri quindici anni. Poi all’età di trentasette anni, annunciò la sua scoperta: la nascita dell’uomo galattico, il principio della razza vardda.

"Orthis rifiutò di rivelare il segreto del suo processo di mutazione, convinto che fosse troppo pericoloso affidarlo a mani inesperte. Egli stesso costruì gli strumenti necessari di cui si servì per seminare con le sue stesse mani il seme della razza vardda che sarebbe germogliato nella generazione successiva. E in quel tempo egli era venerato dalle genti di Llirdis come un semidio. Ma nell’anno seguente ebbero principio i guai che quasi gettarono nella discordia lo stato llirdiano, che infine fecero cadere in disgrazia Orthis. Egli aveva svelato la sua scoperta al suo popolo prima che ad altri, e ora…"

Trehearne leggeva con la più profonda attenzione, cercando di scoprire oltre il nudo racconto dei fatti quale forza poteva far sì che uomini come Edri calpestassero i loro interessi più vitali. Orthis non aveva avuto intenzione di limitare al suo mondo la razza dei Vardda. Avrebbe voluto rendere partecipi del suo segreto gli altri pianeti di Aldebaran e infine i sistemi solari che la prima spedizione aveva visitato e che vantavano un alto grado di civiltà. Desiderava che tutti loro ne partecipassero, essi e le altre razze che forse si sarebbero scoperte nella Galassia purché dotate di un livello culturale abbastanza alto da esserne degne. Ma quando ciò fu risaputo dai neo-Stellari, si ebbe una violenta reazione. Si sollevò ogni genere di obiezioni, dall’egoistica, ma, per Trehearne, del tutto logica argomentazione che i Llirdiani avevano tutti i diritti alla mutazione, avendo sperimentato tutte le vie e compiuto tutta la fatica, e perciò dovevano tenere per sé il segreto, almeno per qualche tempo, alla grave minaccia della guerra in proporzioni galattiche. «Ricordate» aveva ammonito il presidente del Consiglio «come abbiamo aiutato i più arretrati mondi del nostro sistema solare nella conquista del volo interplanetario e come essi ci hanno ripagato. Ricordate le guerre che già abbiamo combattuto! Pensiamoci bene, prima di diffondere questo grande potere.»

Ci pensarono, e nonostante le appassionate argomentazioni di Orthis e dei suoi seguaci, non si affrettarono a prendere una decisione. La situazione divenne così tesa che la nave-laboratorio di Orthis venne sigillata e sequestrata e Orthis stesso venne posto in stato d’arresto. La lotta si trascinò per anni, e dai resoconti sembrava a Trehearne che quei padri dei futuri Vardda non avessero agito solo per l’egoistico desiderio di tenere per sé quel bene supremo. Essi si trovavano di fronte a un gravissimo problema senza precedenti, e non avevano nulla su cui fondarsi se non i loro pensieri e sentimenti. Alcuni dei membri del Consiglio — i congressisti llirdiani — erano evidentemente mossi da gretti motivi di puro egoismo. Ma ve ne erano altri che cercavano sinceramente di essere giusti e per i quali la giustizia verso la loro gente veniva per prima cosa. Temevano di rendere partecipi del segreto della mutazione o del controllo di essa qualsiasi altro popolo. Temevano di spalancare tutte le ignote porte dello spazio su Aldebaran. Gli Orthisti furono sconfitti.

Poi venne la fine, la drammatica esplosione finale. La fazione orthista preparò la fuga per il suo capo. Lo aiutarono a impadronirsi dell’astronave. Lo videro scomparire nel vuoto oscuro oltre il cielo, e pensarono che dopo tutto sarebbe riuscito vittorioso. Ma in quel tempo la nuova razza Vardda aveva incominciato a prosperare e alcuni fra loro erano già in grado di volare. Si misero all’inseguimento di Orthis, credendo nel proprio diritto così intensamente come egli nel suo. Orthis stesso doveva essere indubbiamente in grado di sopportare le ultravelocità, perché fu una caccia lunga ed estenuante. I nuovi giovani Vardda disarmarono in parte la sua astronave, ma anche così egli riuscì a sfuggir loro. Non vi erano in quei giorni il radar o la radio a onde ultracorte e, dopotutto, il vecchio si era fatto le ossa tra le stelle. Lo persero di vista e quella fu la fine di Orthis e della sua astronave, di tutto, tranne del messaggio lasciato nella scialuppa alla deriva e ritrovato più di un secolo dopo. E Trehearne pensava: "Abbia avuto ragione o torto, quell’Orthis era un diavolo di un uomo".