Trehearne prese mentalmente nota di questo, benché non avesse alcun desiderio di fare l’agente. La Saarga proseguiva nel suo viaggio. Conclusero affari con squamosi umanoidi alla luce di un sole biancoazzurro. Fecero man bassa sui pianeti di un gigantesco sole rosso, lasciandovi gioielli dorati da poco prezzo in cambio di preziosi minerali radioattivi e i piccoli abitanti selvaggi si congratulavano di aver fatto buoni affari. Trehearne era sbalordito della persistente ricorrenza della forma umanoide anche quando il ceppo da cui una razza particolare si era evoluta non aveva niente di neppur lontanamente umano, e Yann gli aveva spiegato quel che ogni scolaro vardda imparava studiando biologia generale, che lo sviluppo della forma umanoide (cioè avente come caratteristiche la testa, riconoscibile, in posizione verticale o eretta, due arti inferiori usati a scopo di locomozione e due arti superiori usati per eseguire lavori manuali) si basava semplicemente sulla necessità di sviluppare le mani o un sostituto equivalente fino a poterlo usare, tipico di una specie che intendeva progredire oltre il livello animale di intelligenza. Ma fossero umani o umanoidi, ricoperti di pelo, squame, piume, o di una semplice epidermide, qualunque colore o dimensione o grado di sviluppo sociale avessero, una cosa era comune a tutte le razze di tutti i mondi. Odiavano i Vardda. Era un odio basato esclusivamente sull’invidia e Trehearne vi si abituò talmente da non farci quasi più caso, tranne che per notare come esso variava a seconda delle culture: gli aborigeni che vi mescolavano un timore reverenziale e superstizioso per i dominatori del cielo; i barbari che li avrebbero uccisi se solo non fossero stati così avidi per i generi voluttuari che fornivano loro; i popoli civili, che li trattavano con freddo rispetto e si rodevano l’animo di geloso desiderio. L’unica cosa che impressionava veramente Trehearne erano i fanciulli, specialmente i ragazzini che seguivano i Vardda su e giù per le strade avvicinandosi più che potevano all’astronave, ripetendo continuamente la stessa eterna domanda: «Che cosa si prova a volare tra le stelle?»
Aveva quasi dimenticato la Terra. E poi calarono verso il pianeta di un sole giallo, un verde mondo che gli diede un tuffo al cuore con un improvviso flusso di ricordi. Si affacciò all’oblò a contemplare campi e alberi lontani e una città che avrebbe potuto essere della Terra — pur senza averne il sudiciume e la miseria — stendentesi lungo le rive di un fiume maestoso e si stupì di poter ancora sentir nostalgia.
Yann lo guardò ironicamente. Era intento a spazzolare e a ripulire la sua uniforme, come Rohan e Perri, e nessuno di essi pareva contento.
«Pare bello, vero?» disse Yann.
Trehearne annuì. Guardava il fiume e pensava al Mississippi. Il suo pensiero era molto lontano «Bene, è bello» borbottò Yann. «Il clima è mite, la gente è civile, le donne sono belle, e scommetterei che anche il cibo è buono. Ma noi non possiamo goderne. Non possiamo neppure…»
Il lieve segnale di comunicazione interna della nave lo interruppe e il volto del capitano apparve sul piccolo schermo.
«Questo è un ammonimento e un richiamo. Siamo giunti al luogo dove ci tocca fare i nostri affari con il cappello in mano e l’aspetto dimesso. Avete capito tutti? Dovete rimanere entro le mura della base. Non dovete fraternizzare con i nativi. Dovete mostrarvi pieni di deferenza verso qualunque Hedarin vi capiti di trattare. E non dovete, in nessuna circostanza, reagire a quanto possano dirvi. In altre parole, tenete la bocca chiusa se proprio non siete costretti ad aprirla e in questo caso non alzate la voce. Questi sono ordini e punirò adeguatamente chiunque il trasgredirà!»
Lo schermo si oscurò. Trehearne guardò gli altri. «Che tipo di posto è questo?»
«Hai udito il Vecchio. È un luogo in cui i Vardda devono chieder scusa di esistere.»
«Chi sono gli Hedarin?»
«I legislatori, i saggi. Quelli che dicono l’ultima parola.»
Il giovane Perri alzò le spalle in modo espressivo. «Miserabili accattoni» disse. «Sono dei medium.»
12
Il centro di raccolta era vasto e quasi completamente vuoto eccetto che per un edificio aperto da tutti i lati come un padiglione da fiera, che sorgeva a un’estremità. Non vi erano fabbricati, solo il centro adiacente a un campo d’atterraggio fuori della città. Una gran folla era raccolta al di là delle basse mura, assai simile a qualsiasi folla della Terra, con gente che rideva, si spingeva, indicava l’astronave, in un incessante vocio. Ma dentro il centro non vi erano che poche dozzine di uomini. Se ne stavano all’interno del padiglione, in attesa, e Trehearne assistette incuriosito all’insolito spettacolo dato dal capitano vardda e dai suoi ufficiali che avanzavano umilmente a chiedere il permesso di commerciare.
«Avvicinati un poco di più» gli bisbigliò Yann. «Vedi quei due uomini alti in abiti scuri, seduti là in fondo? Sono Hedarin. Guarda.»
Gli ufficiali vardda si rivolsero ai due uomini e ne ebbero una secca risposta.
«Ci concedono due giorni» disse Rohan. «Generoso da parte loro.» Trehearne spinse con curiosità lo sguardo al di sopra delle mura. Vi erano macchie d’alberi là fuori, e doveva essere l’inizio dell’autunno perché le foglie cadevano già. Il cielo era di un azzurro intenso con una lieve foschia bassa sull’orizzonte, e l’aria era fresca. Se non si guardavano troppo i particolari, pareva di essere nell’Ohio in ottobre, ed egli avrebbe voluto andare da qualche parte a passeggiare solo, ricordando. Non sapeva perché. La Terra era dietro di lui e non la rimpiangeva. Ma avrebbe voluto andare a passeggiare tra gli alberi.
Invece tirò fuori i listini dei prezzi e le bollette doganali e se ne rimase al suo posto, mentre si iniziavano le contrattazioni. Merci e campioni di merci, da gioielli a medicinali e macchinari leggeri, venivano scaricati dall’astronave e il trasporto era effettuato dai Vardda stessi. Trehearne aiutava, e tutto il bestemmiare che si faceva lo si faceva sottovoce. «Troppo maledettamente orgogliosi per fare i facchini» disse qualcuno. «Alla gente in genere non importerebbe, ma gli Hedarin pensano che sia degradante. Non la fatica fisica, capite?, ma perfino il fatto di farsi vedere lavorare per noi. Io li manderei all’inferno piuttosto che commerciare con loro.»
«Il Vecchio non la pensa a questo modo, falla finita, vuoi? Questa cassa è pesante.»
Nel padiglione fervevano le contrattazioni. Solo gli Hedarin, seduti in disparte, avevano un’aria ostile. I loro visi davano a Trehearne un sentimento particolare. Piuttosto minuti per le loro teste massicce, benché non tanto da essere deformi, i loro lineamenti avevano una specie di terrea forza che era quasi agghiacciante come se il loro spirito avesse dominato tutte le debolezze della carne. I loro occhi, profondamente infossati e di colore chiaro, parevano chiusi al mondo; non nel solito atteggiamento di ottusa contemplazione di gente che rifletta sui propri pensieri, ma come fossero rivolti a una visione chiara e luminosa, dove nulla fosse oscuro e incerto, dove non potessero esistere trivialità, turbamenti emotivi, impulsi capricciosi. Erano uomini splendidi a vedersi. Si sentiva costretto ad ammirarli. Ma quanto a piacergli neppure da pensarci. Osservavano il traffico e Trehearne notò che ogni articolo veniva sottoposto alla loro approvazione prima che l’affare fosse concluso. Il più delle volte veniva accettato, ma di tanto in tanto uno di loro scuoteva il capo e l’articolo veniva respinto. I mercanti si rammaricavano, ma non protestavano.
«Si danno una terribile aria di importanza» disse Trehearne sottovoce a Yann.
Il primo ufficiale, un uomo appena brizzolato che conosceva la costellazione come il proprio giardino, era lì accanto e lo udì. «Sareste così anche voi» disse «se poteste scrutare entro la mente di un uomo fino a vederne i pensieri, e dentro il suo corpo fino a seguire il groviglio delle sue viscere, semplicemente servendovi del potere della vostra mente.»