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«Gente temibile, come governanti.»

«Non governano, in senso vero e proprio. Essi sono i medici, i giudici, gli scienziati: gli intellettuali puri, una casta separata. Non si abbasserebbero a qualcosa di fisico come il governare. Vivono interamente dentro e per lo spirito. Negli affari temporali non fanno che dare il loro consiglio.»

Ricordando un certo dottor Rhine, Trehearne chiese: «Possono fare qualunque cosa, intendo levitazione, telecinesi, telepatia, tutti questi giochetti?»

«Non ne hanno mai parlato con me, ma penso siano in grado di fare tutto questo e anche più…»

«Bastardi insolenti» brontolò il giovane Perri accigliato. Il suo orgoglio di Vardda era ferito. Rohan gli sferrò un calcio. «Tienlo per te. E cerca di non pensarci neppure.» Trehearne si agitava irrequieto. Per il momento non vi era nulla da fare, ed egli se ne stava con gli altri, sei o sette, in attesa Infine bisbigliò: «Che cosa acquistiamo qui che valga la pena di venirci?»

«Pietre preziose» rispose Yann. «Favolose. E i gioiellieri sono tra i migliori della Galassia.» Accostò il capo a quello di Trehearne e sussurrò: «Malgrado ciò, sono d’accordo con Perri. Guarda questi mercanti. Mi farei dannare piuttosto che lasciarmi dire da qualcuno che cosa comperare e che cosa no.»

Dal loro posto gli Hedarin non erano in grado di udirli e neppure un sussurro avrebbe potuto raggiungerli al di sopra del brusìo e del vociare delle contrattazioni che si svolgevano davanti a loro. Pure, all’improvviso volsero il capo e Trehearne si trovò a guardar dritto nella luce di quei limpidi occhi chiari. Sentì che Yann trasaliva suo malgrado e poi qualcosa come un vento freddo gli attraversò la mente, invadendone ogni angolo più remoto con una strana facilità che lo terrorizzò, e abbandonandolo immediatamente dopo, con un inconfondibile disprezzo che lo irritò profondamente. Scosse il capo in un inutile tentativo di liberarlo da quell’invadente presenza e avanzò in una furia cieca, dimenticando completamente gli ordini. Il primo ufficiale lo afferrò bisbigliandogli seccamente: «Zitto!» benché non avesse detto ancora una parola. Quel freddo qualcosa svanì dalla sua mente come una luce che si spenga. Con la coda dell’occhio scorse i visi turbati e stupiti dei suoi compagni e comprese che anche a loro era accaduta la stessa cosa. E poi gli Hedarin si scambiarono d’improvviso uno sguardo, si alzarono, uno levò un braccio e annunciò: «Le contrattazioni sono finite.»

Ogni suono cessò d’improvviso. I mercanti rimasero al loro posto, seccati e sorpresi, lo sguardo rivolto agli Hedarin e poi nel penoso silenzio si udì la voce del capitano vardda, visibilmente controllata. «Ma ci avete dato due giorni!»

«È finito. Prendete quanto è vostro e andate.»

La voce del capitano ora non era più così educata. «Desidero sapere perché. Abbiamo rispettato tutte le convenzioni…»

«Avevamo dato il permesso. Ora lo revochiamo.»

Fecero un cenno ai mercanti, uomini di mezza età, dall’aria preoccupata, simili a tutti gli uomini d’affari che Trehearne aveva conosciuto. Riluttanti ma docili, si volsero e cominciarono a uscire dal padiglione. Qualcuno, che parve essere il capitano, disse: «Di tutti i dannati prepotenti…» E poi la voce di qualche altro Vardda urlò all’indirizzo dei mercanti: «Ma che cosa siete, un branco di ragazzini, che vi si caccia qua e là? Perché non continuate le contrattazioni, se lo volete?»

Uno dei mercanti rispose: «Gli Hedarin sono saggi.»

«Può darsi» disse Trehearne rabbiosamente. «O forse vogliono solo darsi delle arie.» Domandò agli uomini vestiti di scuro: «Che cosa avete contro di noi?»

Non risposero e Rohan disse, ridendo: «Gli stessi sentimenti che tutti i non-Vardda nutrono contro di noi. Inoltre noi siamo volgari e rozzi commercianti. Noi non pensiamo.»

«Pensate» disse un Hedarin pianamente. «E noi non vogliamo i vostri pensieri. Tra di voi vi è più che bassezza. Vi è il delitto.»

Di nuovo ci fu un silenzio e questa volta aveva un sapore di scandalizzato stupore. I Vardda si guardarono l’un l’altro e improvvisamente Trehearne sentì un brivido nella schiena. Ombre sotto un astro morente, una orribile foresta stretta attorno a lui come una livida muraglia, uno strappo, uno scatto, e la morte invisibile e inspiegabile, ma inesorabile che si chiudeva su lui come un grande pugno nero.

Delitto.

Voci, voci di Vardda si levarono indignate, a sfida. I mercanti se ne andavano e gli Hedarin si erano alzati. I Vardda chiedevano le prove. Non poteva essere. Nessuno a bordo della Saarga ce l’aveva con lui. Doveva essere stato un incidente. Non c’erano motivi per pensare che non fosse stato così.

«Chi è?» tuonò il capitano. «Non potete lanciare un’accusa come questa e poi andarvene…»

«Noi non ci interessiamo dei fatti vostri. Avete chiesto i motivi e ve li abbiamo detti. Questo è tutto.» Delitto. Era un’orribile parola. Trehearne avrebbe voluto che non l’avessero mai pronunciata. Avrebbe voluto che l’episodio del respiratore non si fosse mai verificato. Faceva nascere tante riflessioni. Gli faceva attribuire a se stesso l’implicita minaccia, anche se ogni membro dell’equipaggio poteva avere almeno un nemico che non avrebbe esitato a ucciderlo. Tutti ci pensavano una volta o l’altra. Egli stesso aveva pensato di uccidere Kerrel, ma una cosa era pensare e un’altra fare.

Kerrel. Poteva avere assoldato qualcuno per fare in modo che un certo Terrestre non ritornasse dalla costellazione di Ercole?

Supponiamo che l’avesse fatto. E chi. Rohan? Perri? Yann? No, Yann gli aveva salvato la vita e non poteva immaginare nessun altro dei ragazzi nella parte dell’assassino. Qualcun altro, allora. Volse lo sguardo intorno ai visi familiari, irritati ora, risentiti. Chi? Non avrebbe saputo indicarne uno. Li conosceva uno per uno. Erano i suoi camerati. Potevano fare di tutto, ma… uccidere?

Il primo ufficiale disse una parolaccia. «Si può penetrare il subcosciente di un uomo e trovarvi un impulso a uccidere. Non ci vuole un medium per saperlo. Cercavano un pretesto.»

«Già» concordò Yann. «Vadano al diavolo. Bene, prendiamo la nostra roba e andiamocene.»

Trehearne pensò che il primo ufficiale aveva ragione. Era la spiegazione più confortante. Vi si attaccava. Con ogni probabilità, se qualcuno aveva avuto realmente intenzione di uccidere e aveva tentato una volta, avrebbe ritentato. Aveva visitato tanti pianeti e fatto tante cose.

Le occasioni non erano mancate.

O lo erano? Chi sapeva quale occasione poteva sembrare adatta a un assassino? E poi questi non poteva semplicemente uccidere. Doveva simulare un incidente. Non era poi così facile.

Oh, al diavolo, dimentichiamo. Era stato un incidente.

Lo dimenticò, deliberatamente, per quanto poté. Ma in lui rimase un certo disagio. E più spesso si sognava della foresta di funghi e della spaventosa sensazione di respirare senza aria. Cominciò a desiderare un cambiamento. Non ci avrebbe creduto pochi mesi prima, ma s’accorgeva di essere sempre più stufo della nave, dell’isolamento, delle anguste cabine, dell’aria condizionata e del cibo gradevole, ma sintetico. Non era il solo. I più induriti veterani di bordo soffrivano per la noia del lungo viaggio. Attendevano con ansia sempre maggiore di far scalo anche su pianeti poco accoglienti, e si lagnavano della brevità delle soste. Quando la Saarga raggiunse il sistema della stella verde, il punto di arrivo da cui avrebbe iniziato l’altrettanto lungo viaggio di ritorno, Trehearne era così avido di metter piede a terra che perfino quel suo segreto malessere si dissipò nel suo spirito per la semplice gioia di sbarcare.

Yann era tutto eccitato: «Questo è il sistema di cui ti ho parlato, Trehearne, quello su cui sono stato agente per tanto tempo. Conoscevo gli abitanti come fratelli.» Rise e diede una pacca sulle spalle di Trehearne. «Ci fermiamo qui un bel po’, e quando avremo sbrigato le nostre faccende ti mostrerò qualcosa!»