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Torin ruppe il silenzio. «Ucciderete anche l’altro?» Accennò con il capo alla porta.

Al di là di essa, nella radura, Kurat chiamava a gran voce i suoi segugi latranti.

Trehearne rifletté rapidamente e chiaramente, ed era strano perché sentiva un malessere allo stomaco e una specie di tremito in tutta la persona. Dopo un momento disse: «No. C’è un modo migliore.»

Andò a raccogliere il disgregatore che era appartenuto a Yann. Poi si curvò e con la mano libera afferro Yann per il colletto e lo trascinò fuori. Era molto pesante e la testa ricadeva contro il polso di Trehearne.

Kurat si voltò e si avvicinò alla capanna. C’era un’espressione allegra sul suo viso. Era un uomo felice. Aveva fatto un bel lavoro per una buona paga. E poi vide Trehearne e il disgregatore e Yann che giaceva sul terreno dove Trehearne l’aveva lasciato cadere. Qualcosa di strano e di grottesco si dipinse sul viso di Kurat.

Trehearne fece segno con un dito. «Ha un coltello da cacciatore infisso nel cuore. Tu l’hai ucciso, Kurat. Ti ho visto.»

Kurat emise un suono come di un animale che abbia messo il piede in una trappola e la senta richiudersi. «Non è vero. Menti. Io so che…»

«Hai ucciso un Vardda» disse Trehearne. «Discutevate, ubriachi e tu l’hai colpito con il coltello, a questo modo. È stato un errore, Kurat. Penso che agli altri Vardda la cosa non piacerà. Me ne andrei, se fossi in te. Prenderei i miei segugi e la mia famiglia e me ne andrei lontano nella foresta.»

Kurat fissò per un momento lo sguardo negli occhi di Trehearne. Poi lo volse a Yann. Infine si girò e chiamò i segugi sanguinanti, senza pronunciare parola, ma urlando con una curiosa nota stridula nella voce, e si allontanò con essi di corsa nella foresta.

Non era uno stupido, pensò Trehearne, sapeva che cosa sarebbe stata la vendetta dei Vardda e sapeva che valore avrebbe avuto la sua parola contro quella di un Vardda. Era convinto che per un bel numero di anni, Kurat non si sarebbe fatto vedere alla base, e ne era contento. La scomparsa di Kurat avrebbe evitato a Trehearne molte spiegazioni. Non intendeva per ora rivelare ad alcuno la verità su come e perché Yann era morto. Non voleva parlarne con nessuno eccetto che con una persona.

14

I genitori di Torin ritornarono nella radura qualche minuto dopo. La donna trascinava al guinzaglio tre dei segugi, tutti sanguinanti; uno di essi zoppicava. In mano per la collottola l’uomo portava il quarto, morto. Lo gettò ai piedi di Torin.

«Ecco che cosa hai fatto» disse. «Due degli altri non saranno in grado di cacciare per giorni. Patiremo la fame perché mio figlio è uno stupido.»

Poi vide il corpo di Yann e arretrò, volgendo un rapido sguardo a Trehearne.

«Kurat l’ha ucciso» spiegò Trehearne. «Riporterò il corpo all’astronave. Non vi saranno seccature.»

«Vi aiuterò» disse Torin.

L’uomo non parlò. Rimase dov’era passandosi nervosamente le mani sul torso nudo, immagine di una creatura oppressa dal destino. La donna si allontanò silenziosamente per legare i segugi. Trehearne si tolse la cintura e ne trasse due pietre preziose. Non erano delle migliori, ma per quella gente rappresentavano una ricchezza. Avrebbe dato loro la cintura di Yann che aveva più valore, ma temeva che avrebbero passato dei guai se avessero tentato di venderla. Mise le due pietre in mano all’uomo.

«Questo per i danni ai segugi. Farò sapere alla gente che non sono stati rubati. Non fate nulla finché l’astronave non sarà partita.» Sollevò il corpo di Yann e se lo caricò sulle spalle. «Vieni, amico Torin, andiamo.»

Uscì dalla radura e Torin lo seguì indicandogli il sentiero. Quando fu sicuro che la sua voce non poteva più essere udita, disse a Trehearne: «Vorrei che perdonaste i miei genitori. Con me sono buoni e gentili, ma non capiscono i Vardda.»

«Forse li capiscono» replicò Trehearne «meglio di quanto tu sappia.»

Era mattina quando raggiunsero il centro, una verde mattina soffocante. Trehearne si sentiva mancare, e anche il ragazzo era stanco. Benché si fossero aiutati l’un l’altro, Yann era un grave peso. Ma per tutta la strada Torin aveva parlato della grande astronave. Non voleva accettare altro regalo che questo, visitare la nave, e tanto supplicò che Trehearne non ebbe cuore di rifiutare. Dopo tutto era una ben piccola ricompensa per quanto il ragazzo aveva fatto.

«Dovrai aspettare, però, forse a lungo. Avrò da parlare molto di lui.»

«Aspetterò» disse Torin, sorridendo. «Ho aspettato tutta la vita.»

Era l’ultimo grande giorno di mercato e tutti i Vardda erano dentro il centro, tranne un uomo incaricato di custodire la Saarga. Gli oblò erano chiusi. Solo la camera di compressione era aperta e la guardia sedeva di fronte a essa, sbadigliando nel gran caldo. Smise di sbadigliare quando vide il cadavere di Yann. Per un poco la situazione parve poco chiara per Trehearne. Fece il suo racconto e poi sopportò pazientemente la lavata di capo che il capitano gli diede. Fu severa, quale l’avrebbe meritata un tale che fosse andato a bere con un compagno e si fosse ubriacato lasciando che il suo compagno venisse ucciso dagli indigeni. Ma quando fu finita non restò altro che dar ordini per il seppellimento di Yann e continuare nelle ultime trattative. Trehearne fu contento che Rohan e Perri avessero troppo da fare in quel momento per porgli domande. Quando tutto fu finito, andò in cerca di Torin, s’avvicinò con lui alla porta ermetica della camera di compressione e si rivolse alla guardia.

«Mi è stato di grande aiuto laggiù. Forse mi ha salvato la vita. Gli ho promesso di fargli fare una visitina sull’astronave.»

La guardia lo guardò dubbioso. «È contro le regole. Il Vecchio mi farebbe tagliar la testa se lo scoprisse.»

«Come può scoprirlo? Ha da fare. Non preoccuparti, mi assicuro io che il ragazzo scenda dalla nave. Tu puoi guardare dall’altra parte.»

La guardia non poté sostenere lo sguardo avido di Torin. Era un padre di famiglia con figli. «Bene, accettato. Soltanto assicuratevi che il ragazzo torni a terra, presto!»

Trehearne stette ai patti. Mostrò a Torin quanto poté, dal ponte ai generatori, e il ragazzo lo seguì con passo lieve come fosse in un luogo sacro, toccando ogni cosa, sospirando, meravigliandosi. Trehearne era quasi pentito di averlo portato, faceva pena vedere tutto quel gran desiderio che non sarebbe mai stato soddisfatto. Diede a Torin i pochi oggetti che aveva acquistato su altri mondi e poi lo condusse fuori dall’astronave e rimase con la guardia a osservare il ragazzo che si allontanava lentamente attraverso il campo, volgendosi indietro, sempre indietro, finché si perdette oltre le mura della base.

«Poveretto» commentò la guardia. «Pazzo per le stelle, come tutti loro. Bene, gli passerà.»

«Suppongo» disse Trehearne e si rallegrò all’idea che non avrebbe più rivisto Torin.

Cercò il dottore e si fece medicare e dopo ciò si occupò del controllo della merce in partenza. Moriva dal sonno e gli parve fosse passata un’eternità quando, verso mezzanotte, il carico fu tutto a bordo e gli sportelli si chiusero. La Saarga si librò nel cielo gremito di stelle.

Trehearne disse a Rohan e a Perri che era troppo esausto per parlare di ciò che era accaduto e si gettò sulla cuccetta. Si addormentò quasi istantaneamente e quasi istantaneamente si risvegliò.