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Si udì un urlo a bordo…

Trovarono Torin disteso accanto al boccaporto che immetteva nella stiva. Era arrivato fin lì. La sua pelle era già livida per l’emorragia sottocutanea, il corpo era contorto e contratto, il viso quasi irriconoscibile. E gridava, e non si riusciva a farlo tacere.

Trehearne lo prese tra le braccia e lo guardò morire.

Parve non dovesse mai finire. Non fu una morte pura e semplice. Fu una dissoluzione. Trehearne ricordava la propria angoscia e non poteva far nulla. Anche gli altri guardavano con pallidi visi stravolti. Alla fine fu la guardia che andò a prendere un lenzuolo per avvolgervi il corpo e v’erano lacrime sulle sue guance.

Trehearne depose Torin sul lenzuolo. La sua carne non era più soda. Egli non era più diritto e ben fatto. Non era neppure il cadavere di un ragazzo. Era un cencio, una cosa informe, oscena. Trehearne pensò in un baleno come era stato vicino a morire della stessa morte.

Si alzò, ritornò nella sua cabina si strappò gli abiti di dosso e si ripulì in una specie di frenesia. Gettò con un calcio gli abiti insudiciati nel corridoio perché qualcun altro se ne occupasse. Non avrebbe più potuto toccarli. E continuamente udiva la voce di Torin gridare: «Certo sono abbastanza forte da avventurarmi tra le stelle!»

Gli altri sopraggiunsero più tardi e dissero a Trehearne che avevano scoperto dove Torin si era nascosto: sotto l’involucro di una balla che doveva essere portata a bordo con il carico.

«Non è stata colpa tua» lo consolarono. «In nessun modo avresti potuto vedere il ragazzo.»

Trehearne non riusciva a darsi pace.

Seppellirono Torin negli spazi profondi a cullarsi per sempre tra i soli di Ercole. E Trehearne pensava a una capanna, a un uomo e una donna che attendevano il ritorno del figlio. Desiderava che Torin avesse seguito i saggi consigli del padre.

La Saarga proseguiva il suo viaggio tra gli astri della Costellazione. Il tempo e gli avvenimenti distrassero Trehearne. Era uno Stellare, ora, provato e indurito, uno strumento efficiente del suo mondo. I suoi orizzonti erano sconfinati e le stelle non avevano perduto il loro fascino, ma in qualche modo anche così, il primo meraviglioso splendore eroico era svanito.

Ricordava l’amarezza della donna che aveva detto: "Voi siete liberi e io sono incatenata, e così i miei figli dopo di me, per sempre". Ricordava gli innumerevoli giovani che anelavano al volo, gli occhi dei fanciulli dilatati dai sogni. Ogni qualvolta vedeva le ferite appena rimarginate sul suo corpo, ricordava il ragazzo che fasciandole aveva scoperto che la carne dei Vardda non era così differente dalla sua, un inganno troppo sottile per la sua intelligenza.

Nel sonno, sempre, gli pareva di tenere Torin tra le braccia e di vederlo morire. Si diceva che era tutta pietà sprecata. Qualunque cosa fosse accaduto a Orthis tempo prima, non era affar suo. Le cose stavano come stavano e non c’era rimedio. Egli era uno dei fortunati e doveva esserne contento. Per la maggior parte del tempo era contento. Ma di quando in quando lo assalivano quei piccoli dubbi insistenti, quell’insinuante senso di colpa.

Se solo Torin non fosse venuto a bordo dell’astronave per morirvi!

Sentiva il bisogno di parlare con Edri. Sentiva il bisogno di alleggerirsi il cuore, di chiarire i propri pensieri e sapeva che Edri l’avrebbe capito.

Si sentì lieto quando iniziarono il lungo volo di ritorno a Llirdis. Scoprì che se desiderava vedere Edri, ancor più desiderava vedere Shairn. Si chiedeva se l’avesse ormai dimenticato o se attendesse il momento del suo arrivo. La Saarga discese infine sotto il bagliore rosso cupo di Aldebaran. Trehearne osservò il pianeta dorato precipitarsi, sempre più grande, verso l’astronave. Si rallegrò con gli altri al primo apparire della patria e non gli parve strano di aguzzare la vista con la stessa ansia degli altri per distinguere le familiari torri della città emergenti dalla pianura chiusa tra le montagne.

Quando l’astronave individuò il suo dock e vi si adagiò, Joris era lì vicino a osservare l’arrivo. Si era tenuto in contatto con la Saarga per mezzo di una radio a ultraonde e ora salì a bordo prima ancora che tutti gli sportelli si aprissero.

Il capitano gli aveva dato buone notizie dell’impresa ed egli era di buon umore, batteva sulle spalle a tutti, dando un’occhiata ai bollettini, facendo un fuoco di fila di domande, informandosi come s’era trovato Trehearne.

«Bel viaggio, eh» gridò. «Triste la faccenda di Yann, ma un viaggio nella costellazione si può dir buono se soltanto uno ci lascia la pelle.»

Trehearne disse amaramente: «C’è anche qualcun altro.»

Joris lo fissò senza capire.

«Oh, non uno dell’equipaggio. Un ragazzo indigeno, pazzo di fare un volo interstellare. Si era nascosto nella stiva.»

Tutta la luce scomparve dal volto di Joris, lasciandolo opaco. Passò un po’ di tempo prima che parlasse e fu solo per dare i consueti ordini riguardo all’astronave. Pareva aver perduto tutto il suo gioioso interesse. Trehearne si stupì dell’effetto che quelle poche parole intorno a un ragazzo sconosciuto avevano fatto sul vecchio.

Joris se ne andò subito dopo. Disse a Trehearne: «Ci vedremo domani o dopo. Ora penso che Shairn ti aspetti all’uscita.» Parlò come se la sua mente fosse lontana da quanto diceva. Si volse, poi esitò e chiese: «Quanti anni aveva quel ragazzo Trehearne?»

«Sedici circa.»

Joris annuì, si allontanò per la piattaforma come portasse sulle spalle massicce un grave peso. Trehearne firmò i suoi bollettini davanti all’ufficiale incaricato dello scarico e andò in cerca di Shairn. Ella stava al di là del grande cancello a sbarre, in attesa. Era bella proprio come la ricordava e le disse: «Non mi hai ancora dimenticato, allora?»

«Non te lo aspettavi?»

«Non ne sarei stato sorpreso!»

Rise, la sua dolce risata familiare venata d’ironia. «Sei saggio.» Piegò un poco la testa all’indietro e lo osservò attentamente. «Sei cambiato. Sei così abbronzato e duro, e un po’ più vecchio. Mi piaci ancor di più adesso. Ma bisognerà che impari a conoscerti di nuovo.» Lo guidò a lungo, lucente veicolo che attendeva lì accanto. «Sarà bello» disse «questo conoscersi da capo!»

La grande strada li condusse a nord lungo la costa, lontano dal frastuono della base e dalla città gli scogli emergevano dal mare dorato, selvaggi e impervi.

Lei chiese improvvisamente: «Come hai fatto?»

La manica gli era scivolata indietro e guardava le cicatrici sul suo polso.

«Qualcuno mi ha aizzato contro dei segugi» rispose Trehearne con indifferenza. Poi: «Per passare ad altro, come sta Kerrel?»

«Non l’ho più visto.» Guardò di nuovo le cicatrici. «Come v’è riuscito?»

«Come è riuscito chi a far che cosa?»

«Oh, smettila di fare il furbo! Sentivo che Kerrel avrebbe tramato qualcosa per questo viaggio. Non è uomo da accettare tranquillamente una sconfitta.»

Trehearne le raccontò in breve la storia di Yann e dei segugi. E concluse: «Voglio vedere Kerrel.»

«Certo!» Gli occhi di Shairn scintillavano. «E voglio essere presente quando lo vedrai!»

La macchina percorse una curva e là, sulla grande rupe scoscesa, apparve la massa indistinta della Torre d’argento, l’avita dimora di Shairn costruita da generazioni di uomini e donne vardda che si erano tesi con tutte le loro forze alla conquista delle stelle.

Per qualche tempo, con Shairn, si dimenticò di Kerrel e di Torin e di tutte le cose che gli turbavano lo spirito. Sapeva solo che era bello essere in quel luogo. Era sera quando se ne ricordò. Sedevano nella galleria, sorseggiando i frizzanti vini freddi e Shairn chiese: «Sei felice Michael?»

Egli rammentò che un’altra volta gli aveva fatto quella domanda, la notte in cui Edri si era allontanato solo per il viale alberato. Rammentò Edri che gridava nel buio contro l’ingiustizia e d’un tratto la vecchia inquietudine lo riassalì. «Sì» rispose. «Sì, sono felice.» Rigirò il bicchiere tra le mani, assorto. «Shairn, potresti far venir qui Edri? Mi piacerebbe vederlo.»