Edri spalancò la bocca dallo stupore: «Shairn?»
«Sì, purtroppo, Shairn.» Spiegò rapidamente come la passeggera involontaria fosse salita a bordo. Edri parlò a voce bassa e dura. «Questo non semplificherà certo le cose. Non possiamo lasciarla a Thuvis e non possiamo fermarci da nessun’altra parte.»
«Non si è potuto farne a meno» borbottò Joris.
«Ah, no. Bene, penso sia meglio che io venga con te, Trehearne. Non credo sia prudente che tu ci vada solo.»
La trovarono chiusa nella cabina di un ufficiale, nella quale, per quel viaggio improvvisato, non vi era nessuno. Era ancora legata e imbavagliata. Dallo sguardo che lanciò loro, Trehearne pensò che li avrebbe uccisi entrambi se ne avesse avuto la possibilità.
La liberò e lei sedette sulla cuccetta, strofinandosi i polsi. Due segni rossi partendo dagli angoli della bocca le attraversavano le guance pallide là dove era passato il bavaglio. Le davano un’espressione comica come quella della maschera di un clown. Ma non vi era nulla di comico nel suoi occhi.
Ella non disse parola. Si sedette e lo guardò, semplicemente.
Edri disse: «Andiamo, Shairn. Un bicchiere di vino ti farà bene.»
Lo ignorò. Silenzio e i verdi occhi terribili fissi su Trehearne.
Le si avvicinò e le mise una mano su una spalla. «Sii ragionevole, Shairn. So che cosa senti, ma non abbiamo fatto nulla con intenzione. E siamo tutti tuoi amici, tu sia o meno d’accordo con noi.»
Si ritrasse, ma non in tempo. Le unghie di lei gli graffiarono la guancia. Si allontanò. Ella sedette e rimase immobile.
Trehearne girò sui tacchi e uscì. Edri lo seguì e serrò la porta. «Forse Joris riuscirà a parlarle» disse. Nella sua voce non c’era molta speranza.
«Oh, ne uscirà» replicò Trehearne. «Nessuno può insistere per sempre in una simile pazzia.»
Edri scosse il capo. «La conosco più di te. Non ci conterei.»
Il segnale di chiamata rimbombò sopra le loro teste. Era Joris che li convocava alla cabina di comando.
«Edri, tu e Trehearne salireste un momento quassù? C’è una brutta notizia.» I servizi di comunicazione erano sul ponte di poppa. Joris aveva lasciato i comandi al secondo ed era nel ristretto spazio alle spalle dell’operatore, intento ad ascoltare la sottile voce metallica che proveniva dal ricevitore ultrasonico.
"Linea Uno-Attenzione. Tutte le navi in Zona M 29… chiedono conferma radar su nave creduta in navigazione come segue…"
«Il radar della base avrà individuato le nostre coordinate al momento della partenza, naturalmente» osservò Joris. «Stanno solo controllando.»
«Ascolta» disse Edri.
La voce metallica finiva di ripetere le coordinate. Continuò: "Tutte le navi la identificheranno immediatamente se richieste. Tutte le navi la identificheranno…".
«Un astrocaccia» concluse Edri.
Joris si accigliò. «Ne possono equipaggiare almeno uno di fretta. Ve l’ho detto che dovevamo prenderci un buon vantaggio.»
Ritornò sul ponte per dare un’occhiata ai quadranti e dar ordine di accelerare i generatori.
«Dovremo raggiungere il culmine dell’accelerazione in metà del tempo normale o sarà come se fossimo rimasti a Llirdis. Vado a vedere che indicazioni dà il radar.»
Trehearne lo seguì; preoccupato dall’idea dei caccia. I Vardda non avevano navi da guerra vere e proprie, essendo nell’invidiabile posizione di non averne bisogno. Ma il Consiglio manteneva una flottiglia di apparecchi armati con un massimo di velocità notevolmente superiore a quello dei cargo, allo scopo di reprimere qualche occasionale manifestarsi di traffici illegali tra i Vardda stessi o di proteggere gli agenti inviati su pianeti barbari e pericolosi.
Sugli schermi del radar tridimensionale appariva il solito numero di piccole scintille rosse, gli impulsi di energia più veloci della luce, dei generatori dall’astronave. Joris li esaminò con occhio esperto.
«Ancora nulla di preoccupante. È troppo presto per dire qualcosa. La zona immediatamente alle nostre spalle è troppa gremita di astronavi provenienti dalla base.» Si volse a Quorn, l’ufficiale addetto ai servizi di comunicazione.
«In guardia, a poppa. Chiamatemi quando vedrete qualcosa di anormale. Possiamo sostituirvi di tanto in tanto, ma avrete ben poco tempo libero.»
La libertà era un problema in quel viaggio. Nessuno poteva goderne molta. Il numero degli uomini superava di poco la metà di quello normalmente richiesto da un equipaggio al completo in circostanze normali e alcuni non erano tecnici addestrati. Trehearne si trovò a dover fare un turno di otto ore nella cabina di comando a interpretare i quadranti e un altro ai servizi di comunicazione. Poiché, evidentemente, non c’erano trasmissioni da fare, poteva manovrare il ricevitore abbastanza bene da cavarsela.
La Linea Uno che era la voce ufficiale di maggior autorità del Consiglio dei Vardda continuò a chiedere conferma sulla loro rotta e a ottenerla.
Non passò molto che Quorn riferì che il radar indicava un punto rosso a poppa che sembrava seguire la rotta.
Calcolando la distanza dall’intensità era possibile stabilire la velocità media con cui si avvicinava. Joris ordinò che si aumentasse l’impulso dei generatori, incurante del fremito d’agonia dello scafo e delle reazioni ugualmente penose dei suoi uomini.
«Finché non caricheremo Arrin» disse «bisogna filare alla massima velocità. Thuvis è il primo posto che bloccheranno e solo una puntata diretta da parte nostra impedirà loro di farlo.»
Raggiunsero il culmine dell’accelerazione, la punta massima sopportabile dalla struttura dell’astronave. Joris la superò. Si raccomandarono a Dio.
Dall’oblò d’osservazione si cominciò a scorgere un diradarsi di astri più avanti. Sempre più vaste si fecero le zone d’oscurità e le colonie di soli meno numerose e più sparse. Le rosse scintille sullo schermo dei radar tremolarono e svanirono, finché rimasero soltanto due o tre mercantili isolati diretti a quei remoti sistemi planetari. Quei due o tre: e quell’unico che balenava costantemente a poppa.
Le ore divennero una lenta monotona continuità di osservazione, di tensione. Intontito per il sonno, Trehearne sbrigava meccanicamente le sue mansioni, dimenticandosi perfino di arrovellarsi su quanto stava per accadere. Ieri era lontano un’eternità, domani perduto nel nulla. C’era soltanto l’oggi ed egli era stanco.
La stessa cosa accadeva a tutti gli altri. Joris non era particolarmente provato e Trehearne si meravigliava della forza del vecchio.
Shairn era chiusa nella cabina. Non rivolgeva la parola a nessuno tranne al giovane che le portava da mangiare, ed era solo per mormorargli un secco grazie.
Davanti a loro l’oscurità si faceva più fonda. L’asse maggiore della Via Lattea passava sotto di loro. Al di là dei sistemi isolati si intravedeva il gorgo spento del vuoto assoluto. La sua buia inconsistenza riempiva Trehearne di un sottile orrore. Era come vedere il Caos originario prima della creazione.
Infine un nebuloso sole rosso apparve nel centro e cominciò a ingrandire. Gli schermi del radar rimanevano vuoti tranne che per l’implacabile scintilla rossa che era divenuta quasi una fiamma, paurosamente lucente.
Joris fece i suoi calcoli e di nuovo si raccomandarono a Dio.
In un tempo un poco minore del nonnaie compirono la manovra di decelerazione. Durante quel tempo nessuno mangiò e solo quelli che vi erano obbligati rimasero in piedi.
Thuvis apparve nel cielo, dinanzi a loro: un sole malato, che consumava le sue ultime forze, fissando con un vacuo occhio rosso la cosmica presenza della morte. Un solo pianeta ruotava intorno a esso.
«Dobbiamo fare in fretta» disse seccamente Joris. «Tienti pronto, Edri.»
La Mirzim atterrò su un arido tavolato battuto da rigidi venti. Quorn rimase in assidua vigilanza accanto agli schermi del radar ma tutti gli altri uscirono, lieti di calpestare il terreno, sia pure per pochi minuti.