Edri parlava con una voce che pareva venire da lontano. Le parole giungevano a Trehearne a ondate confuse come da oltre la nebbia di stanchezza che lo avvolgeva.
«… così l’unico modo che ci restava per individuare la posizione della nave di Orthis era di triangolarla da due direzioni. Una di esse era rappresentata dalla rotta di quella scialuppa che Orthis spedì col suo ultimo messaggio, calcolando le eventuali deviazioni causate dal campo gravitazionale delle stelle. L’altra direzione era la rotta di Orthis nel suo ultimo volo. Non riuscimmo a individuarle finché io non trovai quella parte del manoscritto di Lankar che Arrin non aveva.»
Trehearne udì qualcuno chiedere: «Chi era Lankar?»
«Uno degli ultimi inseguitori di Orthis che lasciò un diario di bordo segreto sull’inseguimento per alleggerirsi la coscienza. Ne è rimasto abbastanza…»
Joris disse: «Al diavolo Lankar.»
«Dovemmo rintracciare le astromappe per riportarle alle condizioni di quel tempo: moto galattico, flusso stellare, un milione di complicati problemi di moto relativo e moto assoluto indietro di cinquecento anni e di altri cinquecento, e infine compararle. Trovandoci di fronte a un numero quasi illimitato di variabili come questo, si poteva raggiungere il risultato prefisso soltanto servendoci delle più grandi macchine di precisione e calcolatrici elettroniche di Llirdis. E ciò significa che si doveva agire segretamente e per gradi. Si è lavorato per lungo, lungo tempo.»
Edri trasse un profondo sospiro a cui si accompagnò uno sbadiglio di stanchezza.
«Le mappe risultanti indicano un’oscura stella sconosciuta che segue la sua orbita qui, fuori dalla corrente principale della Galassia.» Tracciò una linea con un dito. «Queste mappe rappresentanti le stelle del margine estremo della Galassia non sono complete, come sapete. Non c’è nulla che possa guidarci fino a queste regioni abbandonate da Dio che nessuno ha mai veramente esplorato. Ma secondo i nostri calcoli, questa stella oscura, era esattamente qui un migliaio di anni fa e la scialuppa di Orthis si lanciò da essa. Ora la Galassia ha compiuto un movimento di rotazione in questo senso trascinando le stella oscura con sé…»
Posò la mano sull’intersezione di due linee tracciate sulla mappa, osservandole.
«Ecco la nostra destinazione, Joris. Se abbiamo ragione, la nave di Orthis si trova qui. Se abbiamo torto… ebbene, qualcun altro dovrà ritentare tra un migliaio d’anni.»
Rimase ritto e silenzioso, le mani appoggiate al tavolo, troppo stanco per muoversi. Joris si strofinò gli occhi affaticati e cominciò a leggere ad alta voce le coordinate sulla mappa. Meccanicamente il secondo ufficiale riportò la combinazione sul telescopio.
Joris ritornò pesantemente al posto di pilotaggio. Quando il telescopio segnalò con uno scatto secco la nuova rotta, egli vi diresse la Mirzim. Poi parlò attraverso il microfono alla sezione radar. «In che posizione si trova ora il caccia?»
Gli rispose una voce rauca. Ascoltò, poi si volse agli altri. «Più vicino» disse. «Sempre più vicino.»
La mente di Trehearne ricadde nel suo costante dormiveglia d’incubo. Il caccia, lanciato all’inseguimento, incalzante, accanito, persistente, implacabile. Riviveva penosamente ogni manovra, ogni stratagemma per mezzo dei quali Joris aveva cercato di ritardare la corsa dei loro inseguitori, di guadagnare un poco più di tempo, un poco più di distanza.
Ricordava il disperato tuffo in un’oscura nebulosa quando il caccia era così vicino che quasi li raggiungeva. Ricordava come avevano vagato, girandosi e rigirandosi dentro l’oscurità della nebulosa, dove l’impalpabile polvere cosmica annebbiava il radar. Là dentro avevano perduto le tracce del caccia. Ne erano usciti e per un poco avevano sperato. Avevano raggiunto la zona di confine, e allora la scintilla rossa era riapparsa sullo schermo sempre più vicina.
Vi erano momenti in cui Trehearne dimenticava che il caccia era un’entità fisica, un’astronave di comune metallo il cui equipaggio era composto semplicemente di uomini e di ufficiali Vardda. In quei momenti gli sembrava che la Mirzim fosse inseguita da una nemesi demoniaca, una nemesi che aveva il volto di Kerrel e le mani di Kerrel stese a ghermirli.
Talvolta il viso di Shairn appariva accanto a quello di Kerrel, pallido, ermetico, densa nuvola che oscurava le stelle.
La voce rauca dell’addetto al radar si faceva udire a intervalli. L’astronave proseguiva il suo volo verso la stella oscura.
Joris finalmente si mosse. La tavola era stata portata altrove, le mappe e i laboriosi calcoli arrotolati e messi da parte. Arrin giaceva sul ponte accanto alla paratia di prua, addormentato. Non voleva lasciare il ponte finché non avesse saputo se la sua vita e il suo lavoro erano stati spesi invano. Edri sedeva vicino a lui. Non dormiva.
Joris disse: «Non riuscirà.»
Edri non rispose. Aspettava.
Joris proseguì, come se gli ripugnasse parlare ma vi fosse costretto: «Senti. Non appena inizierò la manovra di decelerazione, il caccia comincerà a intralciarci la strada. E hanno un tempo di decelerazione minore di quello che io posso ottenere senza mandare in pezzi la Mirzim. Che cosa accadrà? Piomberanno su di noi prima che possiamo iniziare la nostra ricerca.»
Edri annuì. Si appoggiò contro la paratia e chiuse gli occhi. Disse: «Ora sanno che cosa cerchiamo. Che cosa supponi farebbe Kerrel se trovasse l’astronave di Orthis?»
Nessuno rispose. Non ce n’era bisogno. Seguì un pesante silenzio, durante il quale Trehearne pensò ai messaggi che si erano succeduti per la Galassia, trasmessi dall’ultrasonico del caccia, messaggi calcolati che tradivano nella loro stessa laconicità il carattere disperato di quella missione, richieste urgenti che altri astrocaccia del Consiglio venissero inviati a tutta velocità. Ma questi altri erano ancora troppo lontani per destare preoccupazioni. Qualunque cosa fosse accaduta sarebbe accaduta prima che sopraggiungessero. Kerrel avrebbe finito la sua impresa da solo.
Edri chiese: «Che cosa faremo?»
Joris si passò la grande mano sul volto arido, sbatté gli occhi e disse: «L’unica cosa che ci resta da fare se l’astronave e il segreto di Orthis sono realmente là, è di trasportarvi il nostro equipaggiamento ultrasonico in tempo per fare quanto abbiamo stabilito.» Continuò lentamente: «Penso che la nostra lancia sia in grado di trasportare l’equipaggiamento. Se cariamo la lancia essa potrebbe volare con velocità costante per un certo periodo di tempo prima di dover iniziare la manovra di decelerazione. Nel frattempo io potrei far deviare la Mirzim su un’altra rotta ritornando lungo l’orlo della Galassia, lontano dalla stella oscura. Il caccia seguirebbe me. Esiste la possibilità che concentrando il radar su di me per cogliere l’entità della mia deviazione di rotta, non notino affatto la lancia nel momento in cui inizierà la decelerazione.»
Sospirò. «Ci prenderebbero naturalmente. Ma la Mirzim non potrebbe continuare per sempre dopo la batosta che ha subito. I generatori sono in cattive condizioni, potremmo però resistere abbastanza da darvi tempo.»
Edri meditò. «Non mi va» commentò. «Ma sembra che sia l’unica soluzione possibile.»
Joris stava mormorando qualcosa tra sé riguardo al massimo carico e capacità.
«L’essenziale equipaggiamento ultrasonico» disse «e tre uomini. L’astrolancia può farcela. Noi terremmo naturalmente l’impianto ultrasonico ausiliario a bordo.»