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«Di chi puoi fare a meno? Avrai bisogno di tutti i tecnici di volo.»

«Di me» disse Trehearne. «Sono il meno necessario. Posso ancora resistere se ce n’è bisogno.»

Joris annuì. «Sì. Quorn deve andare per azionare l’ultrasonico, naturalmente, e può anche pilotare la lancia.»

«Chi altro?»

«Tu» disse Joris.

Edri guardò Arrin che dormiva. «Dovrebbe andare lui al mio posto. Ha lavorato per questo assai più di me.» Era evidente che Arrin non era in grado di muoversi e Edri sospirò. Si drizzò in piedi. «Benissimo, allora. Andiamo, Trehearne. Cominciamo a caricare.»

La lancia si trovava in una cella apposita, ricavata nel fianco della Mirzim: un’astronave in miniatura con un’autonomia di volo tale da dare all’equipaggio di una nave disarmata la possibilità di mettersi in salvo. Ma superata questa autonomia non c’era speranza di salvezza.

Trehearne chiamò a raccolta tutti gli uomini che erano disponibili e potevano tenersi in piedi. Seguendo gli ordini di Edri liberarono la lancia da tutto quanto non era strettamente necessario. Quorn si occupò di far rimuovere il pesante apparato radio ultrasonico dalla Mirzim e di farlo caricare sulla lancia.

Si dimostrò in questo eccessivamente pedante. Trehearne imprecò e sudò, ma finalmente tutto fu pronto. Poi ritornò sul ponte con Edri e Quorn. Joris studiava i suoi strumenti.

«Tra poco.» Diede a Quorn le istruzioni di volo «Trehearne è ancora un principiante» osservò «ma ormai ne sa abbastanza da darvi una mano se è necessario.»

Edri disse: «Arrenditi appena te lo intimano, Joris.»

Joris rise, un pallido fantasma della sua antica risata sonora. «Certamente. In questo momento sono stanco da morire.» Gettò ancora un’occhiata agli strumenti. «È tempo di muoversi.»

Si guardarono l’un l’altro, questi uomini dagli occhi stanchi, ubriachi di fatica, che un sogno aveva trascinato ai margini dell’Universo, e nel momento della separazione non riuscirono a trovare nulla da dirsi.

«Buona fortuna» mormorò Edri e si volse.

«Siete voi che andate, ad averne bisogno» gridò loro Joris.

Trehearne salì dopo Quorn e Edri nella lancia.

Azionarono la chiusura ermetica e poi Quorn prese i comandi e attese, gli occhi fissi al cronometro. La sua mano toccò lievemente un bottone rosso su cui era scritto LANCIO.

Lo premette.

Ci fu un sibilo e un vibrare di macchine, una sensazione di forze ultraveloci al lavoro, mentre il complicato congegno di lancio compiva il suo lavoro, un attimo di estrema pressione, e la lancia aveva lasciato la Mirzim. Dall’interno non potevano vedere nulla, ma si accorsero che lancia e astronave si erano già separate a incredibile velocità.

Quom teneva gli occhi fissi sugli strumenti mentre Trehearne e Edri sedevano guardando nel vuoto, con il timore di addormentarsi e di non potersi più risvegliare. Rimasero seduti, agitandosi irrequieti ad aspettare, finché Quorn diede finalmente l’avvio al generatore e iniziò la decelerazione.

Trehearne perdette il senso delle cose. Per la maggior parte del tempo che seguì rimase privo di coscienza o pressappoco, per il resto vide svolgersi tutto come in un sogno continuo. Pensava come un tempo era stato posseduto dal selvaggio desiderio di volare tra le stelle. Ma riuscì a eseguire quanto Quorn gli chiedeva.

L’oblò si schiarì, non c’era amplificatore, e funzionava da oblò solo a velocità visive. Ora, Trehearne poté distinguere nel buio un’imponente mole di oscurità solo debolmente illuminata dal riflesso della Galassia.

«Eccoci» dissi Edri. «La stella oscura.» La voce gli tremava un po’.

Vi si avvicinarono, sempre rallentando. «Ha un pianeta» disse Quorn «Eccolo, che si scalda al lume delle stelle…»

«Due» lo corresse Trehearne. «Ne vedo due.»

Due corpi dalla fiacca luminosità, mondi morti stretti attorno a un astro morto da tempo, oltre i confini della Galassia. Il bagliore della Via Lattea li sfiorava, un fantomatico lume di candele, riuscendo solo a rendere anche più evidente la loro tetra oscurità e il loro isolamento.

Edri mormorò: «Ebbene, punta sul pianeta esterno per primo. Dammi una mano, Trehearne.»

Strisciarono a poppa tra i mucchi degli attrezzi in cerca di un rivelatore Geiger proveniente dalla stiva della Mirzim. Edri lo afferrò nervosamente.

«Ai tempi di Orthis usavano combustibile radioattivo, naturalmente» mormorò Edri. «Nei nostri calcoli ne abbiamo dimezzato la durata. Anche supponendo che le riserve fossero quasi finite, ne dovrebbe essere rimasto abbastanza da essere registrato dal contatore. Una manciata sarebbe sufficiente.»

Trehearne aiutò Edri a sistemare la copertura protettiva sul meccanismo finché l’indice si fermò.

«E i depositi radioattivi dei pianeti stessi?» chiese.

«Abbiamo pensato anche a questo. Troppo antichi. L’ultimo elemento radioattivo dovrebbe essersi praticamente esaurito milioni di anni fa.» Alzò la voce. «Tieni la lancia più bassa che puoi, Quorn. Lo strumento ha il massimo raggio in estensione. Fallo funzionare lentamente.»

Si curvò sull’indice indicatore. Trehearne si affacciò di nuovo a guardare.

Il pianeta era piccolo, meno di duemila miglia di diametro. Tra le fitte tenebre e il movimento della lancia, non riusciva a veder nulla se non una nera informe desolazione, rotta qua e là da un biancore che pensò fossero i residui gelati di un’atmosfera. Immaginò che cosa sarebbe stato atterrare laggiù, e rabbrividì.

Perlustrarono e ispezionarono accuratamente il pianeta. L’indice del contatore non si mosse. Edri disse gravemente: «Continueremo. Pregate il cielo che lo troviamo sull’altro pianeta. Pregate che Orthis non sia approdato sulla stella oscura. Ci vorrebbe un’eternità a rintracciarlo là.»

Quom aumentò la potenza di volo e si allontanò. L’oblò si offuscò di nuovo, ed Edri gemette.

«Edri sta per crollare» osservò Quorn. «Sembra che qualunque cosa si faccia, dovremo sfruttare al massimo le nostre forze.»

Il secondo pianeta era più grande del primo circa di tre volte. Non soltanto era informe. Vi si innalzavano catene montuose accidentate e corrose, nudi scheletri di montagne avvolti in gelidi vapori. Vi si stendevano desolate pianure coperte di bianca aria congelata, debolmente balenanti alla luce della grande ruota galattica.

Esso mostrava agli osservatori i fondi vuoti dei suoi oceani scomparsi, riassorbiti fino al golfo più profondo. Rivelava le cicatrici della sua lunga agonia, le ferite brutali dell’esplosione interna, le profonde incisioni della sua crosta contratta. Un mondo orrendo che ancora pareva rammentare l’antica bellezza e risentire la crudeltà della morte.

Edri sussurrò: «Pregate, pregate che questo dannato affare si muova.» Ma invece lanciò un’imprecazione all’indirizzo dell’indice che non si muoveva.

«Continuiamo» disse Trehearne.

Continuarono.

L’indice ebbe una lieve oscillazione.

Edri emise un grido roco. «Rallenta! Rallenta!» Le lacrime cominciarono a scorrergli per le guance. Scoppiò in singhiozzi. L’indice era ancora immobile.

«Voliamo in circoli!» gridò Trehearne a Quorn. «Voliamo in circoli finché non individuiamo il punto esatto.»

Si passò la lingua sulle labbra. Sentì un sapore di sale e si chiese meravigliato che cosa fosse mai.

Quorn fece descrivere alla lancia una spirale restringentesi, finché Edri disse: «Ora scendi.»

Poi si avvicinò all’oblò e vi premette il viso contro cercando di vedere. Quorn accese uno dei fari d’atterraggio. Il bagliore bianco-azzurro illuminò un’area circolare al di sotto, che si staccò netta dalla fitta oscurità. Il fascio di luce perforò nitidamente lo spazio.