La chiusura ermetica si spalancò lassù, nel grande fianco indistinto, dell’astronave. Bianca luce piovve da essa. Una scala pieghevole di metallo fu calata giù e poi la gente cominciò a discendere, mescolandosi tra quella che stava a terra. Uno sportello più grande s’aprì con un secco clangore, più in basso. S’irradiò altra luce. Si udì un fragore di macchine e uomini; andavano e venivano vociando. Tutto quanto era stato preparato nelle rimesse cominciò a venir trasportato a bordo. Trehearne si accostò ai piedi della scala.
Guardò verso l’alto. L’enorme massa strana della nave incombeva su di lui. Lo sovrastava come la fine del mondo. Era uscita dall’oscurità degli spazi interstellari e vi sarebbe ritornata ed egli sarebbe partito con essa. Voci risonavano tutto attorno e qualcuna si rivolgeva a lui, ma egli non le udiva. Non vedeva facce. Non vedeva altro che la curva immensità dello scafo che aveva compiuto tali viaggi. C’erano lacrime nei suoi occhi. Non lacrime di terrore o di autocompassione. Erano lacrime di esaltazione. Gli uomini avevano creato questo. Gli uomini si erano avventurati negli spazi alla conquista delle stelle. Non erano uomini della Terra, ma appartenevano alla sua stessa razza. E avevano fatto questo.
Cominciò a salire la scala. I cavi metallici echeggiavano cupamente nel vuoto sotto i suoi piedi.
In alto. In alto nel vento freddo, saturo dell’intenso profumo della brughiera. Una rotonda camera di compressione si aprì dinanzi a lui. Egli vi entrò, avanzando su un ponte di metallo reso più lucido dal passaggio di tanti piedi. Altri lo seguivano e lo spingevano, lungo un corridoio trasversale, dalle pareti lucide. I segni del tempo e dell’uso continuo erano visibili in esso. Di tanto in tanto attraverso una porta intravedeva una cabina o un ufficio. Erano reali. Uomini vivevano e lavoravano in essi. Qualcuno — Edri — lo indusse a voltarsi sospingendolo verso il salone dalle comode poltrone fissate al piancito. «Sedete» disse Edri ed egli sedette, ubbidiente. Ed Edri disse: «Avete una possibilità di successo ma dovrete lottare, La prima volta è duro anche per…» Si interruppe e Trehearne finì la frase per lui.
«Anche per un vero Vardda.»
«Anche» assentì Edri gentilmente «per un Vardda. Trehearne, siamo soli nella Galassia. Secoli fa la nostra stirpe fu fondata da un uomo a nome Orthis, il cui sistema di mutazione controllata ci rese quel che siamo, i Vardda: gli Stellari. Esiste in noi una diversità, una condizione particolare della carne. Per noi non c’è dubbio. Per voi… il vostro sangue è misto. Ma sotto ogni altro aspetto siete in possesso di tutti i nostri caratteri ancestrali. E può anche darsi che la mutazione sia riuscita in voi.»
La sua voce era piena di speranza, ma non di convinzione. Trehearne aggrottò la fronte, nel tentativo di afferrare il senso di quelle parole. Era difficile riflettere, difficile credere razionalmente, malgrado quanto i suoi sensi gli dicevano. Tutto era accaduto troppo in fretta. Troppo in fretta e troppo stranamente. Intravide il volto di Shairn. Era pallida e comprese che d’improvviso ella cominciava ad aver paura.
«Lottate» ripeté Edri. «Ricordatevi di questo.»
In tutta la nave i campanelli risonarono acuti.
Trehearne si aggrappò ai braccioli della sedia su cui si era adagiato. Per un breve attimo di panico desiderò alzarsi e fuggire, ma udì il sonoro fragore degli sportelli che si chiudevano e capì che non c’era più nulla da fare. Tutti ora erano seduti. I campanelli echeggiarono di nuovo. Si strinse le braccia attorno al corpo tenendo lo sguardo fisso su Shairn.
Rapida, lieve e maestosa come la mano di Dio, l’accelerazione lo schiacciò. Emettendo un tuono immenso, ma sopportabile, la nave si lanciò nel cielo e per la prima volta nella storia orecchie terrestri udirono il fantomatico sibilo dell’atmosfera contro lo scalo saettante.
5
Quel grido lamentoso salì in un crescendo e poi si spense. La Terra era sparita. Se ne erano allontanati. Anche il suo cielo era ormai dietro di loro. Un peso come una montagne opprimeva Trehearne, ed egli aveva terribilmente paura.
Attese che la pressione diminuisse. Le tempie gli scoppiavano, respirare era un’agonia e pensava: non può continuare così, bisogna che finisca. Ma non finiva. Ci fu un mutamento di tono nella vibrazione dei motori. Lo sentì salire, sempre più in alto, finché superò la barriera del suono e, mentre saliva, la pressione aumentava. La cassa toracica gli comprimeva i polmoni. Ogni cosa intorno a lui cominciò a ondeggiare e ad annebbiarsi, a svanire in un crepuscolo rossastro.
E la pressione cresceva.
Qualcosa gli stava accadendo. Qualcosa di strano e di inumano. Era un aviatore, un pilota provetto. Gli era già capitato di sperimentare gli effetti della pressione. Aveva affrontato tutti i rischi che un potente apparecchio può affrontare e non gli era mai capitato di venir meno. Ma questo era diverso. Questo se lo sentiva nelle fibre, negli atomi stessi del suo essere. Questa era una velocità di fronte a cui le velocità dei razzi più rapidi erano nulla. Questa era la velocità di un volo interstellare. Ed egli la sentiva lacerargli le cellule della sua propria carne, strapparle, fendere il tessuto della sua esistenza fisica. Una diversità, una condizione particolare della carne. "Per noi non c’è dubbio, ma per voi…".
L’angoscia divenne terrore, il terrore si mutò in panico cieco. Il suo corpo era sul punto di scindersi, di dissolversi in un’informe rovina, in un mucchio di brandelli sanguinolenti. Quel corpo di cui era stato tanto orgoglioso, questo essere stellare che era solo una beffa, un inganno. La mutazione non era riuscita. Sarebbe morto, avrebbe finito di essere. Sarebbe…
Lontano, lontano una voce, la voce di Shairn gridava: «Io l’ho ucciso. Povero Michael, non volevo che morisse!»
Povero Michael. Un bastardo, un simulacro vivente. Orgoglioso Michael, che pensava di essere così dannatamente in gamba e non valeva nulla. Idiota di un Michael che era corso dietro a una strega. Ed ella non aveva inteso farlo morire. Non si era adirata fino a questo punto perché egli l’aveva trattata da pari; non era stato bello forse, ma l’aveva trattata da pari a pari, benché non lo fosse. Era gentile da parte sua non desiderare realmente che morisse. Incominciò di nuovo a distinguere il suo viso. Non era sicuro se si trattasse di una visione reale o solo del ricordo di come gli era apparsa prima di entrare in agonia. Ma poteva vederla pallida, sconvolta. Era contento di poterla vedere. Sedeva di fronte a lui e non era molto lontana. In qualche modo, pressione o non pressione, l’avrebbe raggiunta. Avrebbe stretto le mani intorno al suo bianco collo e poi avrebbero dimenticato il volo interstellare e non sarebbe importato nulla che lui fosse un bastardo e lei no. Cominciò di nuovo a lottare contro la pressione.
Desiderava così poco! Solo alzarsi e percorrere la breve distanza che li separava e serrare le dita intorno alla nuca di lei premendo i pollici sulle grandi arterie. Così poco. Ed era rabbiosamente deciso a farlo. Lottò. Non aveva nulla con cui battersi se non la forza di volontà e l’istintivo impulso dell’organismo ad aggrapparsi alla vita sinché ne rimaneva anche un solo barlume. Voleva alzarsi, e lottava, una lotta interna senza suoni, né gesti, una cieca battaglia per riconquistare il controllo del proprio corpo. Il suo volto si contorceva come quello di un uomo che sollevi qualcosa di estremamente pesante e il sudore colava su di esso. Lentamente, le sue mani si mossero lungo i braccioli della poltrona, si contrassero, si serrarono a pugno. I muscoli delle braccia si tesero e poi anche i grandi fasci del torace e dell’addome in uno strenuo sforzo di movimento e i polmoni ripresero faticosamente a sollevarsi, inspirando, espirando e inspirando ancora e il debole battito del suo cuore si arrestò per un attimo, riprese vigore e tornò a farsi sentire con maggiore regolarità. La rossa nebbia che l’avvolgeva si dissipò un poco e riuscì a vedere Shairn più distintamente. Ella lo fissava con intensità, la bocca e gli occhi spalancati, comicamente sbalordita. Poi la testa di Edri si frappose tra loro, celandola al suo sguardo, e Edri gridava ma il sangue pulsava così violento nelle orecchie di Trehearne che non riusciva a distinguere le parole. Alzò una mano e cercò di respingere Edri. Non voleva perder di vista Shairn. Una terribile esaltazione lo possedeva. Stava per vincere. Stava per alzarsi e per fare ciò che desiderava. I tendini delle sue gambe si contorsero e si tesero. La pressione non lo opprimeva più così forte e le terribili vibrazioni della velocità non lo sconvolgevano più con tanta violenza. Si piegò un poco in avanti, traendo profondi, affannosi respiri e il suo corpo si irrigidiva e si tendeva…