Galder buttò via l’arco con un sorrisetto.
— Naturalmente, ci metterà almeno un’ora per arrivare là — disse. — Quindi l’incantesimo tornerà qui seguendo il sentiero ionizzato. Qui da me.
— Notevole — commentò Trymon. Ma una persona dotata di telepatia che passasse lì per caso, avrebbe letto in lettere alte dieci metri: "Se puoi farlo tu, perché non io?". Il giovane mago abbassò gli occhi sul bancone da lavoro ingombro, dove un coltello lungo e affilato sembrava fatto apposta per quello che a un tratto gli era venuto in mente.
Non gli piaceva essere coinvolto nella violenza eccetto che a distanza. Ma la Piramide di Tsort aveva parlato chiaro a proposito delle ricompense per colui che avesse messo insieme tutti gli Otto Incantesimi al momento giusto. E Trymon non intendeva sprecare anni di faticoso lavoro solo perché un vecchio pazzo aveva avuto un’idea brillante.
— Ti piacerebbe del cacao mentre aspettiamo? — gli chiese Galder e attraversò zoppicando la stanza per suonare agli inservienti.
— Certo — rispose Trymon. Prese il coltello e lo soppesò per verificarne l’equilibrio e la precisione. — Mi devo congratulare con te, maestro. Vedo che dobbiamo alzarci tutti molto presto la mattina per ottenere il meglio da te.
Galder rise. E il coltello lasciò la mano di Trymon a una velocità tale che (data la natura piuttosto pigra della luce sul Disco) diventò un po’ più corto e un po’ più pesante mentre si dirigeva, con mira infallibile, verso il collo di Galder.
Ma non lo raggiunse. Invece, scartò di lato e prese a tracciare rapidamente un’orbita… tanto rapidamente che parve a un tratto che Galder portasse un collare di metallo. Il vecchio mago si voltò. A Trymon sembrò improvvisamente cresciuto di parecchi centimetri e diventato molto più potente.
Il coltello si sganciò dall’orbita e s’infilò vibrando nella porta mancando per un pelo l’orecchio di Trymon.
— La mattina presto? — disse Galder affabile. — Mio caro ragazzo, avrai bisogno di restare alzato tutta la notte.
— Prendi un altro pezzetto di tavolino — disse Scuotivento.
— No, grazie, il marzapane non mi piace — rispose Duefiori. — E comunque, sono sicuro che non sia giusto mangiarsi i mobili altrui.
— Non preoccuparti — lo rassicurò Swires. — Sono anni che la vecchia strega non è più stata vista. Dicono che sia stata fatta fuori da un paio di giovani scapestrati.
— I ragazzi d’oggi — commentò Scuotivento.
— Io biasimo i genitori — disse Duefiori.
Ridimensionata mentalmente la cosa, il cottage di marzapane era proprio un posticino gradevole. La magia residua lo teneva in piedi ed era al sicuro da quegli animali selvaggi che ancora non erano morti per avere perduto tutti i denti. Un bel fuoco di ciocchi di liquerizia brillava nel caminetto, anche se con qualche inconveniente. Scuotivento aveva provato a raccogliere fuori della legna, ma ci aveva rinunciato. È difficile bruciare legna che ti parla. Ruttò.
— Queste cose non fanno molto bene alla salute — disse. — Voglio dire, perché i dolci? Perché non cracker e formaggio? Oppure insaccati… un bel panino imbottito mi piacerebbe proprio.
— Chiedilo a me — disse Swires. — Nonnina Whitlow faceva dolci. Avresti dovuto vedere le sue meringhe…
— L’ho fatto — ribatté Scuotivento. — Ho esaminato i materassi…
— Il pan di zenzero è più tradizionale — asserì Duefiori.
— Cosa, per i materassi?
— Non dire sciocchezze. Chi ha mai sentito parlare di un materasso di pan di zenzero? — replicò Duefiori.
Il mago brontolò. Lui stava pensando al cibo. Più precisamente al cibo di Ankh-Morpork. Strano come il posto gli sembrasse più attraente quanto più se ne allontanava. Gli bastava chiudere gli occhi per rivedere in dettaglio, con l’acquolina in bocca, i banchi di cibarie di un centinaio di culture diverse nella piazza del mercato. Lì uno poteva mangiare squishi o zuppa di pinne di pescecane così fresche che i nuotatori non ci si sarebbero avvicinati, e…
— Pensi che potrei comprare questo posto? — chiese Duefiori. Scuotivento esitò. Aveva imparato che gli conveniva sempre riflettere bene prima di rispondere alle domande le più sorprendenti del suo amico.
— Perché mai? — domandò cauto.
— Be’, si sente un’atmosfera.
— Oh!
— Che cos’è atmosfera? — chiese Swires, annusando guardingo e con l’aria di dire che lui non l’aveva fatto, qualunque cosa fosse.
— Mi pare che sia una specie di rospo — affermò Scuotivento. — A ogni modo, non puoi comprare questo posto perché non c’è nessuno da cui comprarlo…
— Probabilmente potrei sistemare la cosa, per conto del consiglio della foresta, certo — lo interruppe Swires, cercando d’ignorare l’occhiataccia del mago.
— …e ad ogni modo non potresti portartelo via. Voglio dire non potresti mica riporlo nel Bagaglio, non ti pare? — Scuotivento accennò al Bagaglio, che se ne stava accanto al fuoco e si sforzava, senza successo, di sembrare una tigre soddisfatta ma vigile. E poi riportò lo sguardo su Duefiori. Fece una smorfia di disappunto.
— Non ti pare? — ripeté.
Non si era mai potuto rassegnare al fatto che l’interno del Bagaglio non sembrava appartenere al medesimo mondo dell’esterno. Certo, questo non era che uno degli aspetti minori della sua natura bizzarra. Ma lo sconcertava vedere Duefiori riempirlo di camicie sporche e vecchi calzini e poi riaprire il coperchio su una pila di bucato fresco, leggermente odoroso di lavanda. L’ometto comprava pure un sacco di prodotti dell’artigianato locale (porcherie, le definiva Scuotivento). E perfino una lancia cerimoniale per la caccia al cinghiale, alta più di due metri, ci entrava dentro con la massima facilità senza sporgere da nessuna parte.
— Non so — disse Duefiori. — Tu sei un mago e sai tutto di queste cose.
— Sì, be’, certo. Ma la magia da bagaglio è un’arte altamente specializzata — obiettò Scuotivento. — Comunque, sono sicuro che agli gnomi non piacerebbe venderlo. È, è… — cercò il termine tra quanto sapeva del pazzo vocabolario di Duefiori — …è un’attrazione turistica.
— Che cos’è? — Swires era interessato.
— Significa che un sacco di persone come lui verranno a guardarlo — spiegò Scuotivento.
— Perché?
— Perché… — di nuovo il mago cercò le parole — è bizzarro. Uhm, da vecchio mondo. Folcloristico. Ehm, uno stupendo esempio di un’arte popolare scomparsa, che affonda le sue radici nelle tradizioni di un’epoca remota.
— Davvero? — Swires guardò stupefatto il cottage.
— Sì.
— È tutto questo?
— Ho paura di sì.
— Vi aiuterò a riporlo.
E la notte trascorre, sotto una coltre di nuvole basse che nasconde il Disco quasi per intero. Per fortuna perché, quando rischiara e gli astrologi possono vedere bene il cielo, li aspetta una vista che li mette in collera e li sconvolge.
Intanto, in varie parti della foresta, gruppi di maghi si perdono, girano in tondo, si nascondono gli uni dagli altri e sono sconvolti perché, ogni volta che sbattono contro un albero, questo si scusa. Ma, anche se procedono a tentoni, parecchi di loro arrivano molto vicino al cottage.
E tempo ormai di tornare alle costruzioni irregolari dell’Università Invisibile e in particolare agli appartamenti di Greyhald Spold, il mago più vecchio che viva sul Disco e deciso a continuare ad esserlo.
Ha appena avuto una grossa sorpresa ed è turbato.
Nelle ultime ore ha avuto molto da fare. Può essere pure sordo e un po’ lento di comprendonio; ma i maghi anziani sono dotati di un istinto di sopravvivenza molto ben allenato e sanno che quando un’alta figura con una tunica nera e il più moderno arnese agricolo comincia a fissarti pensierosa, è tempo di agire in fretta. Gli inservienti sono stati congedati. Le porte sigillate con pasta di effimere in polvere e sulle finestre sono stati tirati gli ottogrammi protettivi. Oli rari e alquanto puzzolenti sono stati sparsi sul pavimento a formare complessi disegni che fanno male agli occhi, tali da suggerire che il disegnatore fosse ubriaco o venisse da un’altra dimensione. O, forse, entrambe le cose. Proprio nel mezzo della stanza c’è l’ottuplice ottogramma di Witholding, circondato da candele verdi e rosse. E al centro una cassa di legno di pino della varietà felce, una pianta centenaria; la cassa è tappezzata all’interno di seta rossa e altri amuleti protettivi. Perché Greyhald Spold sa che la Morte lo cerca, e pertanto ha impiegato lunghi anni a disegnare un nascondiglio inespugnabile.