Dirk sedette quasi immobile. Udì in distanza il tintinnare dei piatti e delle pentole, ma non ci fece caso. Continuava a sudare con la fronte aggrottata per pensare, ma la cosa gli riusciva stranamente difficile. La logica pareva eluderlo, ed anche la cosa più chiara svaniva nel momento in cui gli pareva di afferrarla. Tremava, mentre sogni morti ricominciavano a vivere, mentre i boschi di soffocatori avvizzivano nella sua mente e la Ruota riprendeva a bruciare calda e fiera sui boschi fioriti di un caldo mezzogiorno a Worlorn. Lui poteva farlo capitare, costringere la natura, far risvegliare tutto, metter fine al lungo crepuscolo e riavere Jenny, la sua Ginevra, sempre al suo fianco. Si. Sì!
Quando Ruark ritornò con le forchette, le tazze di formaggio molle e dei tuberi rossi con carne calda, Dirk era più calmo, di nuovo freddo. Prese una scodella e mangiò, un po’ in trance, mentre il suo ospite cicalava. Domani, promise a se stesso. Li avrebbe incontrati a colazione, avrebbe parlato con loro, avrebbe cercato di capire quale fosse la verità. Poi avrebbe agito. Domani.
«…non è inteso alcun insulto», stava dicendo Vikary. «Tu non sei uno sciocco Lorimaar, ma in questo caso direi che ti comporti in modo sciocco».
Dirk rimase impietrito presso la porta, la pesante porta di legno che egli aveva aperto senza pensare di bussare. Tutti si voltarono a guardarlo, quattro paia di occhi. C’ultimo a voltarsi fu Vikary, e non prima di aver terminato ciò che stava dicendo. Gwen gli aveva detto di venire a far colazione con loro quando si erano salutati la sera prima (lui da solo, perché Ruark ed i Kavalari preferivano non incontrarsi se era possibile). Questa era proprio l’ora giusta, appena dopo l’alba. Ma la scena non era quella che lui si sarebbe aspettato di vedere.
Ce n’erano quattro nella stanza di soggiorno cavernosa. Gwen stava seduta sul bordo del divano di legno e cuoio posto di fronte al caminetto ed alle cariatidi che gli facevano la guardia ed aveva i capelli scarmigliati e gli occhi pieni di sonno. Garse era in piedi accanto a lei con le braccia incrociate ed il viso corrucciato, mentre Vikary ed un altro si tenevano testa presso la cappa. Tutti e tre gli uomini erano vestiti in maniera molto formale ed erano armati. Janacek indossava gambali e camicia larga di color grigio antracite, con il colletto largo ed una doppia fila di neri bottoni di ferro lungo il torace. La manica destra della camicia era stata tagliata per far vedere il pesante braccialetto di ferro e di pietraluce che brillava debolmente. Anche Vikary era tutto vestito di grigio, ma non aveva le file di bottoni; la parte davanti della camicia era a forma di V che arrivava fin quasi alla cintura ed aveva un medaglione di giada appeso ad una catena di ferro che scintillava contro i peli neri del petto.
Quello nuovo, lo stranièro, fu il primo a parlare con Dirk. Aveva la schiena voltata verso la porta, ma si voltò quando gli altri voltarono gli occhi da quella parte e corrugò la fronte. Era più alto di tutta la testa sia di Vikary, che di Janacek e torreggiava al di sopra di Dirk, anche se era distante parecchi metri. Aveva la pelle molto scura, soprattutto pareva scura in confronto all’abito bianco latte che indossava al di sotto di un corto mantello pieghettato di color violetto. Aveva capelli grigi striati di bianco, che gli ricadevano sulle larghe spalle ed i suoi occhi… erano schegge di ossidiana incastonate nel volto bruno che aveva centinaia di piccole rughe e rughette… Quegli occhi non erano amichevoli. Nemmeno la sua voce. Lanciò un rapido sguardo a Dirk, poi disse, molto semplicemente: «Se ne vada».
«Come?». Non ci poteva essere una risposta più stupida, pensò Dirk dopo aver detto quella parola, ma non gli venne in mente altro.
«Ho detto di uscire», ripeté il gigante vestito di bianco. Aveva tutti e due gli avambracci scoperti, come Vikary, per far vedere i due braccialetti quasi gemelli: giada-e-argento al braccio sinistro e ferro-e-fuoco sul destro. Ma la forma e le incastonature dei braccialetti dello straniero erano molto differenti. L’unica cosa che era uguale a quella di Vikary, esattamente, era la pistola che aveva al fianco.
Vikary intrecciò le braccia, come aveva già fatto Janacek. «Qui è casa mia, Lorimaar alto-Braith. Non hai alcun diritto di fare il prepotente con quelli che vengono perché io li ho invitati».
«Non credo che tu sia stato invitato, Braith», aggiunse Janacek con un sottile sorriso velenoso.
Vikary fissò il suo teyn, poi scosse il capo decisamente e vigorosamente. No. Ma perché? Si chiese Dirk.
«Vengo da te con grande mestizia, Jaantony alto-Ferrogiada, per parlare seriamente», ruggì il Kavalar vestito di bianco. «Dobbiamo proprio trattare davanti ad uno che viene da altri mondi?». Fissò ancora Dirk, sempre con la fronte aggrottata. «Un falsuomo, per quel che ne so».
La voce di Vikary era tranquilla ma decisa quando rispose. «Abbiamo finito di trattare, amico. Ti ho già dato la mia risposta. La mia betheyn è sotto la mia protezione, così come il Kimdissi, ed anche quest’uomo»… indicò Dirk con un gesto della mano, poi incrociò di nuovo le braccia… «e se prendi una di queste persone, allora preparati a prendere anche me».
Janacek sorrise. «Lui non è nemmeno un falsuomo», disse asciutto l’uomo con la barba rossa. «Si tratta di Dirk t’Larien, korariel di Ferrogiada, che ti piaccia o no». Janacek si voltò di pochi centimetri verso Dirk ed indicò lo straniero vestito di bianco. «t’Larien, questo è Lorimaar Reln Volpebianca alto-Braith Arkellor».
«Uno dei nost’ri vicini», disse Gwen dal divano, parlando per la prima volta. «Anche lui abita a Larteyn».
«Lontano da voi, Ferrogiada», disse l’altro Kavalar. Non pareva felice. Il cipiglio che aveva sul viso era profondamente incavato e gli occhi neri si muovevano da uno all’altro, pieni di rabbia gelida, poi si posarono su Vikary. «Tu sei più giovane di me, Jaantony alto-Ferrogiada, ed il tuo teyn è più giovane ancora e non ho nessuna voglia di fronteggiarvi in duello. Del resto il codice ha le sue regole, come tu ed io sappiamo bene e nessuno di noi desidera andare troppo oltre. Voi, giovani altolegati, vi spingete sovente un po’ troppo vicini a questi limiti, mi pare, e la cosa capita soprattutto agli altolegati di Ferrogiada, e…»
«E, tra quelli di Ferrogiada, succede soprattutto a me», disse Vikary, terminando la frase al posto dell’altro.
Arkellor scosse il capo. «Un tempo, quando io ero appena un bambinetto nella granlega di Braith, si faceva un duello quando solamente uno interrompeva un altro, come hai fatto adesso tu. È vero: i vecchi tempi sono andati. Gli uomini di Alto Kavalaan si fanno dei mollaccioni davanti ai miei occhi»:
«Tu pensi che io sia un mollaccione?», chiese calmo Vikary.
«Sì e no, alto-Ferrogiada. Tu sei strano. Possiedi una certa durezza che nessuno può negare, e questa è una buona cosa, ma Avalon ti ha lasciato il puzzo da falsuomo, ti ha toccato con la debolezza e la stoltezza. Non mi piace la tua vacca-betheyn e non mi piacciono i tuoi "amici". Se fosse capitato quando ero più giovane… sarei venuto da te furibondo e ti avrei mostrato l’antica saggezza della granlega, quella che tu pari aver tanto facilmente dimenticato».
«Ci chiami ai duello?», chiese Janacek. «Dici cose forti».
Vikary districò le braccia e fece un gesto vago con la mano. «No, Garse. Lorimaar alto-Braith non ci sta chiamando al duello. Che ne dici, amico altolegato?».