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«Tu ci sei andata?».

«No. Ma l’ho sentito dire. Kirak Rossacciaio Cavis, il poeta che abita a Larteyn, è stato qui una volta, ha girovagato un po’ ed ha scritto delle canzoni».

Dirk si guardò attorno, ma non c’era niente da vedere. Mattoni che svanivano e strade vuote, finestre senza vetri come le orbite di migliaia di occhi ciechi, tende di bancarelle dipinte che svolazzavano rumorosamente nel vento. Niente. «Un’altra città di fantasmi», commentò.

«No», disse Gwen. «No, io non la penso così. La Gente Perduta non ha mai dato la sua anima a Musquel, o a Worlorn. I loro fantasmi se ne sono tutti andati a casa con loro».

Dirk rabbrividì ed improvvisamente la città gli parve anche più vuota di prima. Più vuota del vuoto. Era una strana idea. «Ma l’unica città in cui c’è della vita è Larteyn?», chiese.

«No», disse lei, voltandosi dall’altra parte. Camminarono assieme per i viali, ritornando verso la costa. «No, ti mostrerò della vita, adesso, se vuoi. Vieni».

Erano di nuovo in aria e correvano nell’oscurità che si andava addensando. Avevano consumato quasi tutto il pomeriggio per raggiungere Musquel e per visitarla. Grasso Satana era basso sull’orizzonte occidentale ed uno dei suoi quattro attendenti gialli era già sceso fuori vista. Era di nuovo il tramonto, di fatto oltre che nell’apparenza.

Questa volta prese i comandi Dirk, inarrestabile, mentre Gwen se ne stava seduta accanto a lui con la mano in quella di lui e gli indicava la direzione. Il giorno se ne era quasi andato tutto e lui aveva ancora tante cose da dire, tante cose da decidere. Eppure non aveva ancora fatto niente. Tra poco, però, promise a se stesso mentre volavano, tra poco.

L’aerauto ronzava pianissimo, quasi non si sentiva, rispondeva al suo tocco leggero. La terra sotto si faceva scura ed i chilometri passavano. Avanti, gli aveva detto Gwen, avrebbero trovato gente viva, ad ovest, sempre ad ovest, verso il tramonto.

La città della sera era un’unica costruzione d’argento, con i piedi ancorati sulle colline ondulate, lontano ed il capo tra le nuvole, due chilometri più su. Era una città di luci, coi fianchi metallici e privi di finestre che scintillavano di una luminosità al calor bianco. La luce si arrampicava lungo il fuso svettante, corruscante, lampeggiante, ad ondate. Cominciava dal lontano fondo, dove la città era profondamente ancorata alla roccia primeva, poi saliva, si arrampicava e diventava sempre più decisamente brillante man mano che la città si innalzava e si affusolava come un ago gigantesco. L’onda di luce saliva più in fretta e più in alto, su per quell’incredibile salita, fino a raggiungere quella spira coronata di nuvole in un bagliore di gloria accecante. Ed in quel momento altre tre ondate avevano già ricominciato a salire.

«Sfida», Gwen disse il nome della città mentre si avvicinavano. Il suo nome e le sue intenzioni. Era stata costruita dalle urbanità dei di-Emereli, sul cui pianeta le città sono nere torri d’acciaio incastonate in pianure ondulate. Ogni città Emereli era una nazione, tutta in una sola torre e la maggior parte degli Emereli non abbandonava mai la torre in cui era nata. Ma Gwen disse anche che quelli che lo facevano diventavano sovente i più grandi vagabondi dello spazio. Sfida era tutte le torri degli Emereli in una, bianco-argentea invece di nera, due volte più altezzosa e tre volte più alta… Era la filosofia arcologica dei di-Emereli fatta diventare metallo e plastica… Energia di fusione, tutta automatica, computerizzata ed autoriparante. Gli Emereli la vantavano immortale, la prova finale della gloria tecnologica del Margine (o almeno della tecnologia degli Emereli) scintillava come la tecnologia di Newholme, o di Avalon, o addirittura di Vecchia Terra.

C’erano dei tratti scuri orizzontali nel corpo della città: ponti di atterraggio, ognuno a dieci livelli dall’altro. Dirk attraccò ad uno di quelli e quando lui si avvicinò la fessura scura si illuminò. L’apertura era almeno dieci metri d’altezza; non ebbe alcuna difficoltà a scendere sul vasto ponte del centesimo livello.

Appena uscirono, una voce bassa e profonda parlò loro venendo da nessun luogo particolare. «Benvenuti», disse. «Io sono la Voce di Sfida. Vi posso far da guida?».

Dirk guardò indietro da sopra la spalla e Gwen rise. «Il cervello della città», gli spiegò. «Un supercomputer. Te lo avevo detto che questa città è ancora viva».

«Posso farvi da guida?», ripeté la voce. Veniva dalle pareti.

«Può darsi», disse Dirk per provare. «Direi che abbiamo un po’ fame. Ci puoi dare da mangiare?».

La voce non rispose, ma un pannello sulla parete si spostò di parecchi metri e ne uscì un silenzioso veicolo pneumatico che si fermò presso di loro. Salirono su ed il veicolo si mosse attraverso un’altra parete che si apriva compiacente.

Correvano su morbidi pneumatici a pallone attraverso una successione di corridoi bianchi ed intatti, superarono innumerevoli porte numerate, mentre la musica suonava conciliante attorno a loro. Dirk fece una breve osservazione sullo stridente contrasto delle luci bianche con la debole luce del cielo serale di Worlorn ed immediatamente i corridoi divennero di un debole azzurro attenuato.

L’auto con le grosse ruote, li lasciò ad un ristorante ed un robocameriere che aveva una voce uguale a quella della Voce offrì loro il menù e la lista dei vini. Tutte e due le liste erano ampie, non limitate alla cucina di di-Emereli, o ai mondi esterni, ma comprendeva piatti famosi o vini di vendemmie pregiate provenienti da tutti i mondi sparsi della razza umana, compresi alcuni di cui Dirk non aveva mai sentito parlare. Ogni piatto aveva il suo nome originale stampato in caratteri piccoli sul menù. Guardarono la lista per un bel po’. Alla fine Dirk scelse drago di sabbia arrostito nel burro, proveniente dal Mondo di Jamison e Gwen ordinò caviale azzurro in formaggio, proveniente da Vecchio Poseidone.

Il vino che scelsero era bianco, liscio. Il robot lo portò ghiacciato, in un cubo di ghiaccio che ruppe davanti a loro. Il vino era ancora liquido e freddissimo. Questo, insistette la Voce, era il modo giusto di servirlo. La cena fu portata su piatti caldi fatti di osso e d’argento. Dirk staccò una gamba artigliata dalla sua portata, pelò le squame ed assaggiò la carne bianca e burrosa.

«È incredibile», disse, annuendo in direzione del piatto. «Sono stato per un certo tempo sul Mondo di Jamison ed i Jamisiani adoravano il loro drago di sabbia arrostito. Questo è buono proprio come quelli che ho assaggiato laggiù. Surgelato? Surgelato e poi portato qui? Diavolo, deve essere stata necessaria una flotta agli Emereli per trasportare tutto il cibo che doveva servire quaggiù».

«Non è surgelato», risposero. Non era Gwen, benché lei osservasse Dirk con un sorriso divertito. La Voce gli rispose: «Prima del festival la nave commerciale Piatto Azzurro Speciale ha visitato quanti più mondi ha potuto, raccogliendo e conservando dei campioni del loro cibo migliore. Il viaggio, programmato da lungo tempo, richiese quarantatré anni standard, sotto la guida di quattro capitani ed altrettanti equipaggi. Alla fine la nave arrivò su Worlorn e gli esemplari raccolti furono clonati e riclonati nelle cucine e nei bioserbatoi di Sfida per poter dare il cibo a molte persone. Così si ebbe la moltiplicazione dei pani e dei pesci, non fatta da un falso profeta, ma dagli scienziati di di-Emereli».