«Ha un tono fin troppo tronfio», disse Gwen con un risolino.
«Sembra un discorso già preparato», disse Dirk. Poi si strinse nelle spalle e continuò a mangiare, come pure Gwen. Mangiarono da soli fatta eccezione per il robocameriere e per la presenza della Voce. Erano in mezzo al grande ristorante fatto per contenere centinaia di persone. Tutto attorno a loro, vuoti ma immacolati, c’erano gli altri tavoli in attesa con le loro tovaglie rosso cupo e le posate d’argento scintillante. I clienti erano usciti dieci anni prima; ma la Voce e la città avevano pazienza infinita.
Più tardi, dopo il caffè (nero e spesso con panna e spezie, una miscela proveniente da Avalon di nostalgica memoria), Dirk si senti rilassato e turgido, forse nella forma migliore da quando era sceso su Worlorn. Jaan Vikary e la giada-e-argento — brillava cupa e splendida nella luce smorzata del ristorante, lavorata in maniera squisita eppure stranamente svuotata dal suo senso di minaccia e dal suo significato — non gli parevano più tanto importanti adesso che era di nuovo con Gwen. Era di fronte a lui, che beveva dalla sua tazza di porcellana cinese bianca e sorrideva con il suo sorriso di tanto tempo fa. Pareva così vicina, così simile a quella Jenny che lui aveva conosciuto ed una volta aveva amato, la signora della gemma mormorante.
«Bello», lui disse ed annuì, per indicare con un cenno tutto ciò che li circondava.
Ed anche Gwen annuì. «Bello», convenne lei, sorridendo, e Dirk sentì dolore per lei. Ginevra dai grandi occhi verdi e i neri capelli senza fine, per lei a cui aveva voluto bene, la sua perduta anima amica.
Dirk si piegò in avanti e fissò il fondo della sua tazza. Non c’erano presagi da trarre con i fondi del caffè. Lui doveva parlarle. «Questa sera è stato tutto bello», disse. «Come su Avalon».
Quando lei mormorò qualcosa con cui si dichiarava d’accordo, lui continuò. «Abbiamo lasciato qualcosa laggiù, Gwen?».
Lei lo guardò dappertutto e sorseggiò il caffè. «Non è una bella domanda, Dirk e tu lo sai. Si lascia sempre qualcosa. Se si trattava di qualcosa con cui incominciare. Se non lo era, be’, allora poco male. Ma se si trattava di qualcosa di autentico, un pezzo d’amore, una coppa di odio, di disperazione, risentimento, brama. Una cosa qualsiasi. Ma doveva essere qualcosa».
«Non lo so», disse Dirk t’Larien sospirando. I suoi occhi guardarono giù e più in basso. «Allora, forse, tu sei l’unica realtà che io ho avuto».
«Triste», disse lei.
«Sì», disse lui. «Immagino di sì». Alzò gli occhi. «Io ho lasciato un mucchio di cose, Gwen. Amore, odio, risentimenti, tutto questo. Come hai detto tu. Brama». Rise.
Lei sorrise appena. «Triste», disse di nuovo.
Lui non voleva lasciar cadere l’argomento. «E tu? Hai lasciato qualcosa, Gwen?».
«Sì. È inutile negarlo. Qualcosa. Ed è continuato a crescere sempre di più».
«Amore?».
«Sei pressante», disse lei gentilmente, abbassando la tazza. Il robocameriere al suo fianco gliela riempì di nuovo, di nuovo con panna e spezie. «Ti avevo chiesto di non farlo».
«Ma devo», disse lui. «È abbastanza difficile starti così vicino e parlare di Worlorn, o dei costumi dei Kavalari, o dei cacciatori. Io non voglio parlare di queste cose!».
«Lo so. Due vecchi amanti che stanno assieme e parlano. È una situazione comune, una tentazione comune. Tutti e due hanno paura e non sanno se devono provare a riaprire le vecchie porte e non sanno se quell’altro vuole risvegliare i pensieri sonnolenti di un tempo o se li voglia lasciare andare. Tutte le volte che penso a qualche cosa di Avalon e sto quasi per dirlo, mi chiedo: "chissà se lui vuole che ne parli, o forse sta pregando perché io non ne faccia cenno?"».
«Immagino che dipenda da ciò che tu stai per dire. Una volta ho cercato di far ricominciare tutto. Te ne ricordi? Subito dopo che te ne sei andata. Ti ho mandato la mia gemma mormorante. Tu non hai mai risposto, non sei mai venuta». La sua voce era piatta, con un sapore leggero di rimprovero e di dispiacere, ma non c’era rabbia. Aveva perduto la sua rabbia in qualche posto, da poco.
«Non hai mai pensato perché?», chiese Gwen. «Io ricevetti la gemma e piansi. In quel periodo ero ancora sola, non avevo ancora incontrato Jaan e desideravo ardentemente qualcuno. Sarei ritornata se tu mi avessi chiamata».
«Ma io ti ho chiamata. Tu non sei venuta».
Un sorriso cattivo. «Ah, Dirk. La gemma mormorante arrivò in una scatoletta con allegata un’annotazione. "Per piacere", diceva l’annotazione, "ritorna da me subito. Ho bisogno di te, Jenny". Ecco che cosa diceva. Ho pianto, ho pianto a lungo. Se tu avessi scritto "Gwen", se tu avessi amato soltanto Gwen, cioè me… Ma no, si trattava sempre di Jenny, anche dopo, anche adesso».
Dirk se ne ricordò e batté gli occhi. «Sì», ammise dopo un breve silenzio. «Credo di aver scritto proprio così. Mi dispiace. Non l’avevo mai capito. Ma adesso sì. È troppo tardi?».
«L’ho già detto. Nei boschi. Troppo tardi, Dirk, è tutto morto. Ci faremmo solo del male se tu insisti».
«Tutto morto? Tu hai detto di aver lasciato qualcosa, qualcosa che è cresciuto. L’hai detto un momento fa. Ti devi convincere, Gwen. Io non voglio farti male, o farmi male. Quello che voglio…».
«Io lo so cosa vuoi. Non può essere. Se ne è andato».
«Perché?», chiese lui. Allungò un dito attraverso il tavolo ed indicò il suo braccialetto. «Per quello? Giada-e-argento nei secoli dei secoli, non è così?».
«Forse», disse lei. Le mancò la voce, come se fosse incerta. «Non lo so. Noi… cioè, io…».
Dirk si ricordò tutte le cose che gli aveva detto Ruark. «So che non è facile parlarne», disse lui dolcemente, con attenzione. «Ed avevo promesso di aspettare. Ma ci sono cose che non possono aspettare. Tu avevi detto che Jaan è tuo marito, giusto? Ma che cos’è Garse? Che cosa significa betheyn?».
«Moglie acquisita», disse lei. «Ma tu non capisci. Jaan è diverso dagli altri Kavalari, più forte, più saggio e più modesto. Lui sta facendo cambiare le cose, lui da solo. I vecchi vincoli, di betheyn verso l’altolegato, i nostri vincoli non sono così. Jaan non ci crede in queste cose, come non crede che si debbano cacciare i falsuomini».
«Lui crede in Alto Kavalaan», disse Dirk, «e nel codice del duello. Può darsi che sia atipico, ma è pur sempre un Kavalar».
Era la cosa più sbagliata che potesse dire. Gwen si limitò a ridere e si risollevò. «Pfui», disse. «Adesso mi pari Arkin».
«Davvero? Magari Arkin ha ragione, dopo tutto. Un’altra cosa. Tu dici che Jaan non crede in molte delle vecchie superstizioni, giusto?».
Gwen annuì.
«Bene. Allora, che mi dici di Garse? Non ho avuto molte possibilità per parlargli assieme. Indubbiamente, Garse è ugualmente illuminato».
Lei rimase immobile. «Garse…», cominciò. Si fermò e scosse il capo dubbiosa. «Be’, Garse è più conservatore».
«Sì», disse Dirk. Parve che improvvisamente avesse capito tutto. «Sì, penso che lo sia e questa è una grossa fetta del tuo problema, non è così? Su Alto Kavalaan non si fa uomo e donna. No, là si usa uomo e uomo con magari una donna, ma in questo caso la donna non è tremendamente importante. Tu magari ami, Jaan, ma non te ne importa poi molto di Garse Janacek, non è vero?».
«Sono molto affezionata a…».
«Ma dav-vero?».
Il viso di Gwen si indurì. «Piantala», disse.
La sua voce lo spaventò. Si tirò indietro, improvvisamente e malinconicamente conscio del modo in cui si era quasi sdraiato sul tavolo, pressando Gwen, spingendola, colpendola, attaccandola e tentandola, eppure era venuto per volerle bene e per aiutarla. «Mi dispiace», borbottò.