«Non lo so», disse lei.
«Io sì», disse lui, mentendo.
«Ma tu lo pensi davvero?… Pensi che possiamo nuovamente ricominciare? Meglio di prima?».
«Tu non sarai più Jenny», promise lui. «Mai più».
«Non so», ripeté lei in un sussurro bassissimo.
Lui le prese il viso con entrambe le mani e glielo sollevò in modo che lei lo fissasse negli occhi. La baciò, pianissimo, le toccò appena appena le labbra. Kryne Lamiya gemette. Il corno suonò basso e dolorosamente tutto attorno a loro, le distanti torri strillarono e si lamentarono lugubremente ed il tamburo solitario mantenne il suo rombo sordo ed insignificante.
Dopo il bacio rimasero in piedi in mezzo alla musica e si guardarono. «Gwen», disse lui alla fine, ma la sua voce non era nemmeno la metà sicura e forte come prima. «Non lo so nemmeno io, direi. Ma forse vale la pena di tentare…».
«Forse», disse lei ed i suoi grandi occhi verdi guardarono altrove e di nuovo in basso. «Sarà dura, Dirk. E poi si deve pensare a Jaan e a Garse, ci sono tanti problemi. E poi non sappiamo nemmeno se ne varrà la pena. Non sappiamo se le cose cambieranno anche di poco».
«No, non lo sappiamo», disse lui. «In questi ultimi anni avevo deciso un mucchio di volte che non importava, che era inutile provarci. Adesso non mi sento meglio, soltanto stanco, di una stanchezza infinita. Gwen, se non ci proviamo non lo sapremo mai».
Lei annuì. «Forse», disse e non aggiunse altro. Il vento soffiava forte e gelato; la musica creata dalla follia dei Cupoli si alzava e si abbassava. Entrarono nell’edificio, poi scesero le scale che si staccavano dal balcone, superarono le pareti con luci bianco-grige che sparivano e giravano e giunsero dove era posata la loro aerauto, solida e vera, che aspettava di riportarli a Larteyn.
5
Volarono dalle torri bianche di Kryne Lamiya fino ai fuochi fuggenti di Larteyn in un mutismo solitario, senza toccarsi, ognuno seguendo i suoi propri pensieri. Gwen lasciò la macchina al suo solito posto sul terrazzo e Dirk la seguì giù per le scale fino alla sua porta. «Aspetta», disse lei in un rapido sussurro, anche se lui si aspettava che semplicemente gli dicesse buona notte. Gwen sparì all’interno; lui aspettò, perplesso. Dall’altra parte della porta si sentivano dei rumori… voci… poi improvvisamente Gwen ritornò e gli premette nelle mani uno spesso manoscritto, una massa di carta davvero impressionante, rilegata a mano in pelle nera. La tesi di Jaan. Se ne era quasi dimenticato. «Leggila», disse lei, appoggiandosi contro la porta. «Vieni su domani mattina e parleremo ancora un po’». Lo baciò appena appena sulla guancia, poi chiuse la pesante porta con uno scatto. Dirk rimase lì, in piedi per qualche istante, rigirando il pesante manoscritto rilegato tra le mani, poi si voltò verso le cabine.
Si era allontanato solo di pochi passi, quando udì il primo grido. Poi, per qualche ragione, non ce la fece più a proseguire; i rumori lo fecero tornare indietro e rimase lì, accanto alla porta ad ascoltare.
Le pareti erano spesse e trapelava molto poco di ciò che veniva detto all’interno. Dirk perse interamente il senso delle parole, ma si sentivano le voci ed il tono. Quella che dominava era la voce di Gwen: alta, acuta — a volte urlava — vicina al limite dell’isteria. Dirk riusciva ad immaginarsela che camminava su e giù per la stanza davanti alle cariatidi, nel modo suo solito di quando era arrabbiata. Dovevano essere presenti entrambi i Kavalari, che la rimbrottavano… Dirk era sicuro di udire due altre voci… una era tranquilla e sicura, senza rabbia, che continuava a domandare inflessibilmente. Doveva trattarsi di Jaan Vikary. La sua cadenza era chiara, il ritmo del suo discorso si poteva facilmente distinguere anche attraverso le pareti. La terza voce, Garse Janacek, all’inizio parlava solo raramente, poi si senti sempre di più, il volume di voce continuava ad aumentare ed anche la rabbia. Dopo un po’ la voce maschile tranquilla era praticamente assente, mentre Gwen e Garse urlavano tra di loro. Poi la voce disse qualcosa, un ordine deciso. E Dirk udì un colpo. Un pugno. C’era qualcuno che aveva colpito qualcun altro, non poteva essere nient’altro.
Alla fine Vikary diede degli ordini e ne seguì il silenzio. Le luci nella stanza si spensero.
Dirk rimase in piedi tranquillo, con il manoscritto di Vikary in mano, chiedendosi cosa dovesse fare. Pareva che non ci fosse proprio niente che potesse fare, tranne parlare con Gwen la mattina successiva per scoprire chi era stato a colpirla e perché. Doveva essere stato Janacek, pensò.
Ignorando la cabina dell’ascensore, decise di prendere le scale per raggiungere la camera di Ruark.
Una volta a letto, Dirk scoprì di essere immensamente stanco e malamente scosso da ciò che era capitato quel giorno. Tante cose in un solo giorno, si potevano affrontare ben difficilmente. I cacciatori Kavalari ed i loro falsuomini, la vita strana e amara che Gwen conduceva con Vikary e Janacek, l’inebriante possibilità di poter ritornare assieme. Pensò a queste cose per lungo tempo, incapace di prender sonno. Ruark dormiva già; non c’era nessuno con cui si potesse parlare. Alla fine Dirk decise di prendere il manoscritto che gli aveva dato Gwen e cominciò a sfogliare le prime pagine. Non c’era niente come un buon mattone scientifico per addormentarsi, pensò.
Quattro ore e mezza dozzina di tazze di caffè dopo, lui posò il manoscritto, sbadigliò e si sfregò gli occhi. Quindi chiuse la luce e fissò l’oscurità.
La tesi di Jaan Vikary — Mito e Storia: Origini della società di granlega, sulla scorta di un’interpretazione del ciclo di Demoncanti di Jamis-Leone Taal — era il peggiore atto d’accusa verso il suo popolo. Peggio delle cose che avrebbe potuto dire Arkin Ruark, pensò Dirk. Aveva messo giù tutto, con scritte le fonti e la documentazione ricavata dalle banche di dati di Avalon, con lunghe citazioni ricavate dal poeta Jamis-Leone Taal ed anche più lunghe dissertazioni su ciò che Jamis Taal voleva dire. Tutto ciò che lui e Gwen gli avevano detto quella mattina, era lì, ben dettagliato. Vikary forniva teorie su teorie, cercando di spiegare tutto. Spiegava perfino i falsuomini, più o meno. Pensava che durante il Tempo del Fuoco e dei Demoni, alcuni sopravvissuti avessero raggiunto i campi minerari per cercar rifugio. Tuttavia, una volta accolti si rivelarono pericolosi. Alcuni erano rimasti vittime della malattia da radiazioni; morirono lentamente ed in maniera orribile e forse passarono l’avvelenamento a quelli che li avevano assistiti. Altri, che parevano in buona salute, continuarono a vivere, diventando membri della proto-granlega, finché si sposarono ed ebbero dei figli. Allora la contaminazione da radiazione divenne ben visibile. Da parte di Vikary erano solo congetture, confermate solo da un paio di vefsi tratti da Jamis-Leone, eppure pareva un modo convincente e plausibile per razionalizzare il mito dei falsuomini.
Vikary aveva anche scritto parecchio sull’avvenimento che i Kavalari chiamavano Peste Dolorosa… e che lui chiamava per la precisione «il passaggio ai modelli della contemporanea famiglia sessuale».
Secondo la sua ipotesi, gli Hrangani erano ritornati su Alto Kavalaan approssimativamente un secolo dopo la loro prima sortita. Le città che avevano bombardato erano ancora radioattive; non c’era alcun segno di nuove costruzioni da parte degli umani. Eppure le tre razze schiave che loro avevano mandato per conquistare il pianeta non si vedevano da nessuna parte: decimate, estinte. Indubbiamente la Mente che comandava gli Hrangani dovette concludere che alcuni degli umani dovevano vivere ancora. Per fare una pulizia definitiva, gli Hrangani fecero cadere delle bombe pestilenziali. Questa era la teoria di Vikary.
Le poesie di Jamis-Leone non facevano alcun cenno agli Hrangani, ma parlavano spesso della malattia. Tutti i resoconti dei Kavalari superstiti concordavano su questo punto. Ci fu una Peste Dolorosa, un lungo periodo in cui le granleghe furono soggette ad un’epidemia dopo l’altra. Ogni cambio di stagione portava una malattia più tremenda di quella che l’aveva preceduta… era il demone definitivo, quello che i Kavalari non sapevano né combattere, né uccidere.