Formavano una strana coppia, decise Dirk osservandoli. Bretan Braith era giovanissimo e Chell era vecchio… Bretan non era sicuramente più vecchio di Garse Janacek e probabilmente era più giovane di Gwen, Jaan e lui stesso. Come era possibile che fosse diventato teyn di un Kavalar tanto più vecchio di lui? Comunque non era un alto, cioè non aveva dato delle betheyn ai Braith; il braccio sinistro era coperto da una fine peluria rossastra che scintillava ogni tanto quando veniva colpita dal sole e sul braccio non era posto alcun braccialetto di giada-e-argento.
Il suo viso, la sua strana mezza-faccia, era più brutta di qualsiasi altra cosa che Dirk avesse mai visto, ma quando il giorno sbiadì ed il falso crepuscolo diventò autentico, scoprì di essersi ormai abituato. Quando Bretan Braith camminava in una direzione, pareva assolutamente normale: un giovanotto teso come una corda, pieno di energia nervosa talmente raggruppata che quasi pareva che Bretan dovesse rompersi. Il suo volto da quel lato era privo di macchie e sereno; corti riccioli neri gli giravano attorno all’orecchio e capelli ondulati gli cadevano sulla spalla, ma non aveva il minimo accenno di barba. Anche il suo sopracciglio non era che una debole linea al di sopra di un occhio verde. Appariva quasi innocente.
Poi, voltandosi, dopo aver raggiunto il bordo della terrazza, ripeteva la stessa strada che aveva fatto all’andata e tutto cambiava. Il lato sinistro della sua faccia era inumano, un paesaggio di piani contorti e di angoli che nessuna faccia poteva avere. La pelle era stata ricucita in cinque o sei punti e altrove era lucida e unta come se fosse di smalto. Da questa parte, Bretan non aveva affatto capelli e nemmeno orecchie — solo un buco — e la parte sinistra del naso era solo un pezzettino di plastica del colore della pelle. La bocca era un taglio senza labbra, ma la cosa peggiore era che si muoveva. Aveva uno scatto, un tic grottesco, che gli prendeva all’angolo sinistro della bocca ad intervalli e si ripercuoteva sulla parte calva del cranio sui montarozzi della pelle cicatrizzata.
Durante il giorno l’occhio di pietraluce del Braith era come un pezzo di ossidiana scura. Ma man mano che scendeva la notte e tramontava Occhiodaverno, nell’orbita vuota i fuochi si agitavano. In piena notte sarebbe stato Bretan Occhiodaverno e non lo stanco sole supergigante di Worlorn; la pietraluce avrebbe bruciato di luce robusta, di rosso incontaminato e la mezza faccia che la circondava sarebbe diventata una nera parodia di cranio scheletrito, un posto adatto per un occhio di quel tipo.
La cosa sarebbe parsa ancora più impressionante se si pensava — come infatti pensò Dirk — che tutto questo doveva essere stato intenzionale. Bretan Braith non aveva nessuna ragione di mettere una pietraluce al posto dell’occhio; lo aveva fatto per delle ragioni sue e quelle ragioni non erano certo difficili da comprendere.
La mente di Dirk ritornò indietro alla prima parte del pomeriggio ed alla conversazione presso l’aerauto a forma di testa di lupo. Bretan era rapido e furbo, su questo non c’erano dubbi, ma Chell avrebbe anche potuto già trovarsi in un periodo di senilità. Era stato tremendamente lento ad afferrare il senso delle cose ed il suo giovane teyn lo aveva condotto per mano verso le sue conclusioni, per quanto si ricordava Dirk. Improvvisamente i due Braith gli parvero assai meno temibili e Dirk si chiese perché mai ne fosse stato, in un primo momento, così terribilmente spaventato. Erano quasi divertenti. Qualsiasi cosa avesse detto Jaan Vikary quando fosse tornato dalla Città nella Palude Senzastelle, certamente non sarebbe successo niente; certamente non avrebbero potuto fare niente di davvero dannoso questi due.
Come se avesse voluto sottolineare quel punto, Chell cominciò a borbottare, parlando tra sé e senza rendersene conto. Dirk lo guardò e cercò di sentire. Il vecchio tremolava un po’ mentre parlava, con gli occhi che fissavano il vuoto. Le sue parole non avevano nessun senso. Ci vollero parecchi minuti a Dirk per riuscire a pensare qualcosa, ma poi gli venne come un’ispirazione improvvisa e capì che Chell stava parlando in Antico Kavalar. Una lingua che si era sviluppata su Alto Kavalaan durante i lunghi secoli di Interregno, quando i Kavalari sopravissuti non avevano più nessun contatto con gli altri mondi umani. Era una lingua che in breve tempo venne a mescolarsi con il linguaggio standard della Terra che però risultò arricchito da parole che altrimenti non avrebbero avuto un equivalente. Garse Janacek gli aveva detto che quasi nessuno parlava più l’antico Kavalar eppure ecco che Chell, un anziano proveniente dalla più tradizionalista delle condizioni di granlega, borbottava delle cose che doveva senz’altro aver sentito in gioventù.
E poi c’era anche Bretan, che aveva schiaffeggiato Dirk sonoramente solo perché aveva usato una forma di indirizzo scorretto, una forma ammessa solo per i kethi. Un’altra abitudine in via di estinzione, gli aveva detto Garse; anche gli altolegati stavano diventando mollaccioni. Ma sicuramente non Bretan Braith, giovane e nemmeno alto, che rimaneva appiccicato alle tradizioni che uomini di generazioni più vecchie della sua avevano già scartate perché inopportune.
Dirk quasi lo compiangeva. Erano dei disadattati, decise, più sballati e più soli dello stesso Dirk, in un certo senso erano dei privi di patria, perché Alto Kavalaan si stava muovendo in avanti e non avrebbe potuto essere il loro mondo per molto altro tempo. Non era affatto strano che fossero venuti su Worlorn; essi appartenevano a qui. Essi stessi ed i loro modi stavano morendo.
Bretan, in particolare, era una figura pietosa, Bretan che cercava in tutti i modi di apparire terrificante. Era giovane, forse era l’ultimo dei veri credenti e poteva vivere fino a vedere il giorno in cui nessuno l’avrebbe pensata come lui. Era forse per questo che si era fatto teyn di Chell? Perché i suoi pari lo rifiutavano assieme alle sue idee da vecchio? Probabile, pensò Dirk, e ciò era triste e brutto.
C’era ancora un sole giallo che scintillava verso ovest. Il Mozzo si era trasformato in una vaga, rossa memoria sull’orizzonte e Dirk era immerso nei suoi pensieri, perfettamente controllati, al di là di ogni paura, quando udirono le macchine che si avvicinavano.
Bretan Braith si gelò e alzò lo sguardo. Tirò fuori le mani dalle tasche. Una mano si posò, quasi automaticamente, sulla fondina della sua pistola laser. Chell si alzò lentamente in piedi, sbattendo gli occhi, ed improvvisamente parve ringiovanito di dieci anni. Anche Dirk si alzò.
Arrivarono le macchine. Erano due e assieme, la macchina grigia e la macchina verdeoliva, in formazione quasi militare, fianco a fianco.
«Vieni qui», gracchiò Bretan e Dirk si avviò verso di lui. Chell si unì al gruppo e rimasero tutti e tre assieme, con Dirk al centro come un prigioniero. Il vento lo sferzava. Tutt’intorno le pietraluci della città di Larteyn erano radianti e sanguigne e l’occhio di Bretan — ora vicinissimo — brillava selvaggiamente nella sua incastonatura di cicatrici. Il tic si era arrestato, per qualche ragione; ora la faccia era calmissima.
Jaan Vikary fece scendere la manta grigia che galleggiò nell’aria molto lentamente, poi superò con un salto il bordo e si avvicinò a loro a lunghi passi. La macchina militare brutta ed angolosa, era ricoperta da un’armatura ed il pilota non era visibile. Anche questa macchina atterrò quasi simultaneamente. Si aprì una spessa porta di metallo su di un lato e ne emerse Garse Janacek, che spinse fuori per prima la testa per cercare di vedere che cosa fosse successo. Vide, si irrigidì e sbatté la porta con clangore risonante, poi venne a mettersi accanto a Vikary.