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«No, e non mi sento tranquillo neanche adesso, non dico bugie. Ma questo non cambia niente. Può darsi che io sia korariel, però i Braith sono peggiori dei Ferrogiada, e Jaan usa la violenza per arrestare la violenza. Può darsi. È giusto? Ah, non lo posso certo dire io. Sano esempio di morale, assolutamente vero! Può darsi che i duelli di Jaan abbiano un loro scopo, eh, per la sua gente, per noi. Ma i duelli che fa lei sono assolutamente una follia, non servono a niente, solo a trasformarla in cadavere. Così Gwen rimarrà per sempre con Jaan e Garse, fino a che perderanno anche loro un duello, forse, e la cosa non sarà certo piacevole».

Ruark fece una pausa e terminò il vino, poi roteò sullo sgabello per riempire un altro bicchiere. Dirk era immobile, gli occhi di Gwen lo fissavano, quello sguardo paziente era talmente concreto da risultare tangibile. La testa gli martellava. Pensò di nuovo che Ruark stesse confondendo tutto. Doveva fare la cosa più giusta, ma qual’era? All’improvviso tutte le cose che aveva pensato e che aveva deciso erano evaporate. Nel laboratorio era sceso un silenzio pesante.

«Non voglio scappare», disse alla fine Dirk. «Non voglio. Ma non voglio neanche duellare. Andrò là e dirò che ho deciso, che rifiuto di combattere».

Il Kimdissi fece dondolare il vino e ridacchiò. «Be’, ci vuole un certo coraggio morale. Assolutamente vero. Gesù Cristo, Socrate, Erika Stormjones e adesso Dirk t’Larien, grandi martiri della storia, sì. Può darsi che il poeta Rossacciaio scriva qualche cosa su di lei».

Gwen rispose in maniera più seria. «Questi sono Braith, Dirk, Braith altolegati della vecchia scuola. Su Alto Kavalaan non avrebbero mai potuto sfidarti a duello. I consigli degli altolegati stabiliscono che gli abitanti di altri mondi non sono soggetti al loro codice. Ma qui è diverso. L’arbitro assegnerà un verdetto di forfait, così Bretan Braith e i suoi fratelli di granlega ti uccideranno o ti daranno la caccia. Se rifiuti di fare il duello, secondo loro, fornirai la prova di essere un falsuomo».

«Non posso scappare», ripeté Dirk. Le sue argomentazioni erano improvvisamente scomparse; non gli era rimasto niente tranne le emozioni, la determinazione di affrontare l’alba per vedere cosa capitava.

«Lei sta dando un calcio alla sua unica possibilità di salvezza, sì, vero. Non si tratta di codardia, Dirk. La pensi in questo modo, la scelta più coraggiosa di tutte consiste nel rischiare il loro disprezzo per essere fuggito. Anche in questo caso si troverebbe di fronte al pericolo. Probabilmente le darebbero la caccia, Bretan Braith, se sopravvive, sennò gli altri, chi lo sa? Ma lei sarà vivo, magari dovrà cercare di evitarli, potrà aiutare Gwen».

«Non posso», disse Dirk. «L’ho promesso, l’ho promesso a Jaan e Garse».

«Promesse? Quali? Di morire?».

«No. Sì. Cioè, Jaan mi ha fatto promettere di essere fratello di Janacek. Non si sarebbero trovati neanche loro in questo duello se non avessero cercato di tirarmi fuori dai guai».

«Dopo che Garse ti ci aveva spinto», disse Gwen amara e Dirk sussultò sentendo la velenosità del suo tono tranquillo.

«Possono morire anche loro domani», disse Dirk incerto. «Ed io ne sono responsabile. Adesso mi venite a dire che io devo abbandonarli».

Gwen si fece vicinissima a lui e sollevò le mani. Gli accarezzò leggermente le guance con le dita allontanandogli dalla fronte i capelli grigi e bruni ed i grandi occhi verdi lo fissarono. Improvvisamente lui si ricordò di altre promesse: la gemma mormorante, la gemma mormorante. Ed epoche passate da tanto tempo gli si accesero nella mente ed il pianeta prese a vorticare e la ragione e il torto cominciarono a mescolarsi girando velocemente.

«Dirk, ascoltami», disse lentamente Gwen. «Jaan ha fatto sei duelli per causa mia. Garse, che non mi ama nemmeno, ha partecipato a quattro di quei duelli. Hanno ucciso per me, per il mio orgoglio, per il mio onore. Io non l’avevo chiesto, come tu non avevi chiesto la loro protezione. Si trattava del loro concetto del mio onore, non era il mio concetto. Eppure quei duelli furono per me la stessa cosa che questo è per te. Malgrado ciò tu mi chiedi di lasciarli, di ritornare con te, per amarti di nuovo».

«Sì», disse Dirk. «Ma… non so. Ho lasciato dietro una traccia, fatta di promesse spezzate». La sua voce era tormentata. «Jaan mi ha nominato keth».

Ruark sbuffò. «Se l’avesse nominato pranzo, lei salterebbe nel forno, eh?».

Gwen si limitò a scuotere il capo tristemente. «Ma tu che cosa senti? Come un dovere? Un obbligo?».

«Direi di si», disse lui riluttante.

«Allora ti sei risposto da solo, Dirk. Tu mi hai detto quale deve essere la risposta che io ti devo dare. Se senti con tanta forza di dover soddisfare dei doveri per un termine da poco conto come keth, un legame che in realtà non esiste nemmeno su Alto Kavalaan, come mi puoi chiedere di rinunciare alla giada-e-argento? Betheyn è molto più importante di keth».

Le mani morbide di lei si allontanarono dal suo viso. Fece un passo indietro.

La mano di Dirk scattò in avanti e l’afferrò per un polso. Il polso sinistro. La sua stretta si serrò attorno al freddo metallo e alla giada levigata. «No», disse lui.

Gwen non parlò. Aspettava.

Per Dirk, Ruark non esisteva, il laboratorio si era riempito di tenebre. C’era solo Gwen, che lo osservava, occhi verdi e grandi e pieni di… che cosa? Promesse? Minacce? Sogni perduti? Lei aspettava, in silenzio, e lui cercava di mettere assieme delle parole, senza sapere cosa dire. E la giada-e-argento era fredda nella sua mano e Dirk stava ricordando:

Rosse gocce piene di amore, avvolte nell’argento e nel velluto, che bruciavano ferocemente fredde.

La faccia di Jaan: zigomi alti, la mascella quadrata, i capelli neri, facile al sorriso. La sua voce era calma come l’acciaio, sempre dello stesso tòno: ma io esisto.

La bianca torre fantasma di Kryne Lamiya, che ululava, derideva, cantava una luminosa disperazione mentre un lontano tamburo batteva i suoi rombi bassi senza senso. In mezzo a tutto questo, la sfida, la soluzione. Per un istante, seppe che cosa dire.

La faccia di Garse Janacek: distante (gli occhi azzurro fumo, il capo tenuto rigido, la bocca dura), ostile (ghiaccio nelle orbite, un sorriso selvatico che giocava sulla sua barba), pieno di amaro umorismo (gli occhi che si spalancavano, i denti snudati nel suo ghigno mortale).

Bretan Braith Lantry: un tic ed un occhio di pietraluce, una figura di terrore e di pietà con un bacio freddo e terribile.

Vino rosso nei calici di ossidiana, vapori che facevano piangere gli occhi, bevendo in una stanza piena di cannella e di una strana compagnia.

Parole. Un tipo nuovo e speciale di fratello di granlega, aveva detto Jaan.

Parole. Sarà falso, aveva predetto Garse.

La faccia di Gwen, una Gwen più giovane, più sottile, con occhi chissà perché più grandi. Gwen che rideva. Gwen che piangeva. Gwen in orgasmo. Che lo stringeva, coi seni caldi e rossi, mentre il rossore le si spargeva per tutto il corpo. Gwen che gli sussurrava, ti amo, ti amo. Jenny!

Una solitaria ombra nera, che spingeva con un palo una barca bassa lungo un infinito canale buio.

Ricordi.

La mano gli tremava mentre stringeva Gwen. «Se io non duello», disse lui, «tu lascerai Jaan, allora? E verrai con me?».

Il suo cenno di risposta fu penosamente lento. «Sì. È tutto il giorno che ci penso, ne ho parlato con Arkin. Avevamo stabilito che lui ti avrebbe portato qui ed io avrei detto a Jaan e Garse che avevo del lavoro da fare».