Gwen lanciò di nuovo a tutta velocità la macchina e la velocità riprese ad aumentare. «Adesso», disse lei, «vuoi ancora che io li schivi la prossima volta che li incontriamo? Adesso che sai che cosa sono loro?».
Lui non rispose.
Pochissimo tempo dopo i rumori ripresero sotto di loro, gli ululati e le grida, echeggiando lungo la strada altrimenti deserta. Superarono un altro veicolo capovolto, con i pneumatici di gomma morbida gonfi e strappati e Gwen dovette girargli attorno per superarlo. Un po’ dopo c’era uno scafo vuoto fatto di metallo nero che bloccava la discesa, un robot gigantesco con quattro braccia tese in posizione grottesca sopra la testa. La parte superiore del torace era un cilindro scuro in cui erano stati incastonati degli occhi di vetro; la parte inferiore era una base delle dimensioni dell’aerauto, montata su ruote. «Un controllore», disse Gwen mentre passavano accanto al silenzioso cadavere meccanico e Dirk vide che le mani erano state tagliate via dalle braccia una per una e che il corpo era pieno di buchi provocati dal laser.
«Avrà combattuto con loro?», chiese lui.
«Probabilmente», rispose lei. «Il che significa che la Voce è ancora viva e controlla ancora alcune funzioni. Forse è per questo che non abbiamo più sentito niente da Bretan Braith. Può darsi che abbiano dei guai laggiù. La Voce, naturalmente, ammasserà i suoi controllori per proteggere le funzioni vitali della città». Si strinse nelle spalle. «Ma non importa. Gli Emereli non sanno come comportarsi per difendersi dalle violenze. I controllori sono strumenti di prevenzione. Sparano dardi narcotici e credo che possano emettere dei gas lacrimogeni dalle griglie che hanno alla base. I Braith vinceranno. Sempre».
Dietro di loro il robot era già scomparso e la strada era di nuovo vuota. I rumori davanti si fecero più forti.
Questa volta Dirk non disse niente quando Gwen si chinò in avanti e riaccese le luci e le grida e gli impatti si susseguirono uno dopo l’altro. Gwen colpi entrambi i cacciatori Braith, anche se dopo disse che non era sicura di aver ucciso il secondo. Era stato colpito di striscio e buttato da una parte, finendo contro uno dei cani.
E Dirk era rimasto senza voce, perché mentre l’uomo cadeva e roteava contro la loro ala destra, aveva perduto la presa e si era schiantato contro la vetrina di un negozio lasciando una traccia sanguinante sul vetro mentre scivolava dentro. La cosa che aveva in mano, fino a quel momento, lui la stava tenendo per i capelli, notò Dirk.
La strada a cavatappi continuava a girare attorno alla torre che era stata Sfida, affondando lentamente, ma continuamente. Ci volle più tempo di quanto immaginasse Dirk per sprofondare dal livello 388 — dove avevano sorpreso la seconda banda di Braith — fino al livello uno. Un lungo volo nel silenzio grigio.
Non incontrarono nessun altro, né Kavalari, né Emereli.
Al livello 120 un controllore solitario bloccò loro la strada, facendo roteare i suoi occhi debolmente luminosi e comandando loro di fermarsi con la voce — sempre tranquilla e cordiale — della Voce di Sfida. Ma Gwen non rallentò e quando lei fu vicina, il controllore roteò via spostandosi, senza sparare dardi e senza emettere gas. I suoi ordini echeggianti li inseguirono lungo la strada.
Al livello cinquantasette le deboli luci sopra di loro oscillarono e si spensero e per un istante volarono nel buio assoluto. Poi Gwen accese i fari e rallentò appena un po’. Nessuno dei due parlava, ma Dirk pensava a Bretan Braith e si chiese per un momento se le luci si fossero rotte o fossero state spente. Forse era più probabile quest’ultima ipotesi; un sopravvissuto di sopra doveva certamente aver avvertito i confratelli di granlega di sotto.
Al livello uno la strada finiva in un grande viale e in una rotonda. Riuscivano a vedere pochissimo; solo dove i raggi dei fari battevano formavano ombre che spuntavano improvvisamente fuori dall’oceano di pace che li circondava. Il centro del viale pareva essere costituito da un unico albero. Dirk credette di distinguere un massiccio tronco rugoso, praticamente una parete di legno e riuscirono a sentire il fruscio delle foglie sopra di loro. La strada curvava attorno al grande albero e ritornava su se stessa. Gwen la percorse tutta seguendo l’ampio cerchio.
Dall’altra parte dell’albero c’era un cancello che si apriva verso la notte e Dirk percepì il tocco del vento sul viso e capì perché le foglie stormissero. Appena oltre il cancello, sempre restando sul cerchio, lui guardò fuori. Al di là della porta c’era una strada simile ad un nastro bianco che si allontanava da Sfida.
E c’era una macchina che si muoveva bassa sulla strada, ma veniva velocemente verso la città. Verso di loro. Dirk riuscì a distinguerla per un solo istante. Era scura — ma tutto era scuro nella debole luce delle stelle dei mondi esterni — e metallica. Una specie di bestia Kavalar deforme, che lui non poteva nemmeno tentare di identificare.
Non erano i Ferrogiada, di questo era sicuro.
9
«Ce l’abbiamo fatta», disse Gwen seccamente dopo aver superato il cancello. «Ci stanno inseguendo».
«Ci hanno visti?».
«Dovrebbero. Avevamo le luci accese quando abbiamo superato il cancello. Difficile che non le abbiano viste».
Una spessa oscurità fluiva da entrambi i lati della macchina e le foglie continuavano a stormire sopra di loro. «Scappiamo?», disse Dirk.
«La loro macchina avrà i laser funzionanti, mentre i nostri non funzionano. L’unico punto in cui possiamo andare è la strada esterna. La macchina dei Braith ci darà la caccia ed i cacciatori ci aspettano nascosti lassù, da qualche parte. Noi ne abbiamo uccisi solo due, forse tre. Devono essere di più. Siamo in trappola».
Dirk ci pensò. «Dobbiamo fare di nuovo il giro della rotonda ed uscire dal cancello dopo che loro sono entrati».
«Sì. È un’idea molto logica. Anche se fin troppo logica. Ci sarà un’altra macchina fuori ad aspettarci, suppongo. Io ho un’idea migliore». Mentre parlava fece rallentare la manta fino a farla fermare. Immediatamente davanti a loro la strada si biforcava, illuminata dai fari. A sinistra c’era la rotonda che ritornava su se stessa; a destra c’era la strada esterna, che qui iniziava la sua salita di due chilometri.
Gwen spense le luci e loro vennero inghiottiti dall’oscurità. Quando Dirk fece per parlare, lei gli impose il silenzio con uno sssh! deciso.
Il mondo era nerissimo. Dirk si sentiva come cieco. Gwen, la macchina, Sfida… tutto era scomparso. Sentiva le foglie che sfregavano tra di loro e gli parve di sentire l’altra macchina, quella dei Braith che veniva verso di loro, ma doveva essere la sua immaginazione, perché prima avrebbe dovuto vederne le luci.
C’era un leggero movimento dondolante, come se stessero seduti all’interno di una barca. Qualcosa di duro gli toccò il braccio e Dirk sobbalzò, e qualcos’altro gli graffiò la faccia.
Foglie. Si stavano sollevando, proprio dentro la chioma dell’albero Emereli, che si estendeva da tutte le parti.
Un ramo gli si premette contro, poi si allontanò frustandolo dolorosamente sulla guancia e facendogli uscire il sangue. Le foglie erano tutto attorno a loro. Alla fine ci fu un debole urto, quando le ali della macchina raggiunsero l’altezza dei rami più grossi. Non potevano sollevarsi più di così. Rimasero sospesi, ciechi, avviluppati dal buio e dal fogliame invisibile.
Pochissimo tempo dopo una lama di luce lampeggiò dietro di loro, andando verso destra, su per la strada. Era appena scomparsa che subito ne spuntò un’altra — da sinistra — voltò velocemente alla biforcazione e seguì la prima. Dirk fu molto contento che Gwen avesse ignorato il suo suggerimento.
Rimasero sospesi in mezzo al fogliame per un tempo indeterminabile, ma non apparve nessun’altra macchina. Finalmente Gwen si abbassò di nuovo al livello della strada. «Questo scherzo non li ingannerà in eterno», disse lei. «Quando chiuderanno le trappole e si accorgeranno che noi non ci siamo dentro, cominceranno a farsi delle domande».