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«Ci saranno dietro abbastanza presto, t’Larien», disse Jaan Vikary. «Puoi anche fare a meno di cercarli».

Dirk riportò la sua attenzione agli strumenti. «Dove andiamo? Non possiamo volare alla cieca sul Comune per tutta la notte, senza andare in nessun posto particolare, Larteyn?».

Non possiamo rischiare di ritornare a Larteyn adesso», rispose Vikary. Aveva rinfoderato il laser, ma aveva la faccia feroce come quando aveva arrostito Myrik a Sfida. «Sei così stupido da non capire ciò che ho fatto? Ho infranto il codice, t’Larien. Ormai sono un fuorilegge, un criminale, un infrangi-duello. Ora mi inseguiranno e mi uccideranno come un qualsiasi falsuomo». Si mise le mani annodate sotto il mento, pensando. «La cosa migliore… non lo so. Forse non abbiamo speranze di nessun genere».

«Parla per te. Io ho un bel po’ di speranze in più di quante ne avevo un minuto fa, laggiù.

Vikary lo guardò e sorrise malgrado tutto. «Vero. Anche se questo è un punto di vista piuttosto egoistico. Non è stato per te che ho fatto ciò che ho fatto».

«Per Gwen?».

Vikary annui. «Lui… lui non le ha concesso nemmeno l’onore di rifiutare. Come se si trattasse di un animale. Eppure… eppure per il codice aveva ragione lui. Il codice per cui ho vissuto. Per difendere il codice lo avrei anche ucciso. Intendo Garse come forse avevi capito. Lui era arrabbiato perché Myrik aveva… aveva danneggiato la sua proprietà, aveva oscurato il suo onore. Lui avrebbe vendicato l’offesa, se glielo avessi lasciato fare». Sospirò. «Ma hai capito perché non ho potuto t’Larien? Davvero? Io avevo vissuto su Avalon ed avevo amato Gwen Delvano. E lei era là, viva solo per un caso fortuito. A Myrik Braith non sarebbe importato un accidenti se lei viveva o moriva e lo stesso valeva per gli altri. Eppure Garse aveva promesso a quell’uomo che per questa cosa lui si era meritata una morte soddisfacente e gli avrebbe dato il bacio dell’onore condiviso prima di prendersi la sua misera vita… Io… io voglio bene a Garse. Ma non lo potevo proprio lasciar fare. t’Larien, non con Gwen in quelle condizioni, così… così immobile ed ignorata. Non era cosa che potevo lasciar passare».

Vikary rimase zitto, a rimuginare. Nei momenti di quiete, Dirk riusciva a sentire i gemiti dei venti di Worlorn all’esterno.

«Jaan», disse Dirk dopo un po’, «dobbiamo ancora decidere dove andare. Dobbiamo portare Gwen in un posto coperto. Un posto dove possa starsene comoda e dove non sia disturbata. Magari sarebbe bene trovare un dottore e farla visitare».

«Non conosco dottori su Worlorn», disse Vikary. «Comunque, dobbiamo portare Gwen in una città». Considerò la situazione. «La più vicina è Esvoch, ma la città è tutta una rovina. Il posto migliore è allora Kryne Lamiya, direi, dato che è la seconda città in ordine di vicinanza a Sfida. Volta a sud».

Dirk fece fare un ampio arco alla macchina, scivolando verso l’alto e dirigendosi verso la lontana linea di montagne. Si ricordava vagamente la strada che Gwen aveva fatto per andare dalla scintillante torre di di-Emerel, fino alla città-foresta di Cupalba con la sua musica lugubre.

Mentre volavano verso le montagne, Vikary riprese a rimuginare tra sé, fissando con gli occhi ciechi il buio della notte di Worlorn. Dirk riusciva a capire abbastanza bene ciò che doveva provare il Kavalar in quel momento e non fece niente per spezzare la sua malinconia, ma si ritirò invece nella sua personale sfera di silenzio. Si sentiva assai debole; il mal di testa era ritornato a tormentarlo e sentiva chiaramente una specie di ruvida aridità nella gola e sulla bocca. Cercò di ricordare quando aveva bevuto o mangiato, ma non ci riuscì; per qualche ragione aveva perso il computo del tempo.

I grandi picchi di Worlorn, che parevano antracite, apparvero vicinissimi e Dirk fece salire più in su la macchina dei Braith per superarli, ma né lui né Jaan Vikary dissero una parola. Solo dopo aver superato le montagne, mentre sorvolavano la foresta, il Kavalar parlò ancora, ma solo per fornire delle lucide indicazioni sulla rotta da seguire. Dopo di che ricadde nei suoi pensieri e volarono in silenzio per desolati chilometri, verso la loro meta.

Questa volta Dirk sapeva cosa doveva aspettarsi, così stette in ascolto. Gli giunse alle orecchie la musica di Kryne Lamiya, un pianto sottile nel vento, parecchio tempo prima che la città sorgesse dalle foreste per sommergerli. Fuori dal loro rifugio corazzato non c’era nient’altro che il vuoto: le intricate foreste notturne sotto di loro, il cielo povero di stelle, vuoto, in alto. Note di cupa disperazione vennero parlando, tintinnando e raggiungendo Dirk nel suo sedile.

Anche Vikary sentì la musica. Guardò Dirk. «Questa è proprio una città adatta per noi, in questo momento, t’Larien».

«No», disse Dirk, troppo forte, perché non voleva crederci.

«Be’, per me allora. Tutto il mio lavoro è andato in fumo. La gente che speravo di salvare, adesso non la salverà più nessuno. I Braith adesso li potranno cacciare tutti quanti, korariel di Ferrogiada, o no. Non potrò fermarli. Forse Garse, ma cosa potrà mai fare un uomo da solo? È addirittura inutile provarci. Ero io che insistevo, non lui. Anche Garse è perduto. Dovrà ritornare da solo ad Alto Kavalaan, penso, e scenderà da solo nelle granleghe di Ferrogiada e il consiglio degli altolegati cancellerà i miei nomi. Dovrà trovare un coltello per scalzare le pietraluci dalla loro incastonatura e portare il ferro vuoto alla destra. Il suo teyn è morto».

«Magari su Alto Kavalaan», disse Dirk. «Ma tu hai vissuto anche su Avalon, ricordi?».

«Sì», disse Vikary. «Purtroppo, purtroppo».

La musica si fece più forte e rimbombò attorno a loro e sotto prese forma la Città Sirena: il cerchio esterno di torri pareva formato di mani senza carne in un’agonia ghiacciata, i ponti pallidi attraversavano canali scuri, i prati formati da muschio che scintillava leggermente, le spirali sibilanti che si conficcavano nei venti. Una città bianca, una città morta, una foresta di ossa acuminate.

Dirk volò in cerchio, fino a ritrovare lo stesso edificio in cui era già stato con Gwen e cominciò a scendere. Sulla terrazza c’erano ancora i due apparecchi abbandonati, che giacevano indisturbati, sprofondati nella polvere. A Dirk parevano i frammenti d’un sogno da tempo dimenticato di qualcun altro. Una volta, per qualche ragione, gli erano sembrati importanti; ma allora lui, Gwen ed il mondo erano stati ben diversi, allora, ed ora era difficile ricordarsi perché erano stati importanti quei due spettri di metallo.

«Tu sei già stato qui prima», disse Vikary e Dirk lo guardò ed annuì. «Allora, fa strada», ordinò il Kavalar.

«Io non…».

Ma Vikary era già in piedi. Aveva preso gentilmente Gwen tra le braccia, sollevandola da dove era sdraiata e stava aspettando. «Fa strada», disse di nuovo.

Così Dirk lo guidò lontano dalla terrazza, nelle stanze dove delle figure murali danzavano alla sinfonia di Cupalba, bianco e grigie. Provarono tutte le porte, finché riuscirono a trovare una stanza con dei mobili. In effetti era un insieme di quattro stanze diverse, desolate e con i soffitti alti e tutt’altro che pulite. I letti — due delle stanze erano camere da letto — erano dei fori circolari, profondamente infossati nel pavimento; i materassi erano ricoperti da una pelle oleosa, senza cuciture, che aveva un odore sgradevole, simile a latte acido. Comunque erano letti, abbastanza soffici ed un posto adatto per riposare. Vikary sistemò il corpo di Gwen con attenzione. Vedendo che riposava tranquilla — pareva quasi serena — Jaan lasciò Dirk presso il letto, con le gambe ripiegate sotto di sé, sul pavimento ed uscì a controllare l’aerauto che avevano rubato. Ritornò dopo poco con una coperta per Gwen ed una borraccia.