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«Bevi solo una sorsata», disse, dando l’acqua a Dirk.

Dirk prese la bottiglia di metallo coperta di tela, girò il tappo e trasse un unico sorso, poi la restituì. Il liquido era tiepido e leggermente amaro, ma era piacevole sentirlo scendere giù per la gola secca.

Vikary inumidì una striscia di tela grigia e cominciò a pulire il sangue raggrumato sulla nuca di Gwen. Tamponò piano l’incrostazione marrone, continuando ad inumidire più volte lo straccio, finché i suoi sottili capelli neri furono sufficientemente puliti, aperti come un lucido ventaglio sul materasso, luccicanti per l’opportuna luce proveniente dalle figure murali. Quando ebbe finito, la bendò e fissò Dirk. «La veglio io», disse. «Va nell’altra stanza e cerca di dormire».

«Dovremmo parlare», disse Dirk esitante.

«Più tardi, allora. Non adesso. Va a dormire».

Dirk non aveva la forza per discutere; il suo corpo era disfatto e la testa aveva ripreso a pulsare. Andò nell’altra stanza e cadde scompostamente sul materasso dall’odore acido.

Ma il sonno non venne facilmente, malgrado la stanchezza. Forse era colpa del mal di testa; forse era il fastidioso movimento della luce che correva sulle pareti, che lo braccava anche se teneva gli occhi chiusi. Ma soprattutto era la musica. Che non lo abbandonava e pareva echeggiare più forte quando chiudeva gli occhi, come se fosse rimasta intrappolata tra le ossa del suo cranio: sibili acuti e sottili, gemiti e fischi ed ancora — sempre — il rombare di un tamburo solitario.

Pochi sogni attraversarono quella notte senza fine… visioni intense e surreali, piene di ansia bollente. Dirk per tre volte fu costretto a mettersi a sedere sul letto, risvegliato da un sonno agitato… tremava, aveva la pelle umida e fredda… e si trovava di fronte la solita canzone di Lamiya-Vailis, senza mai ricordarsi di ciò che lo aveva svegliato. Una volta, credette di sentire delle voci nella stanza vicina. Un’altra volta fu quasi certo di vedere Jaan Vikary seduto contro la parete più lontana che lo osservava. Nessuno dei due parlò e Dirk impiegò quasi un’ora per riaddormentarsi. Solo per risvegliarsi di nuovo, nella stanza echeggiante, piena di luci mobili. Si chiese per un momento se lo avessero abbandonato per la sua strada; più ci pensava e più era spaventato e tremava sempre di più. Ma chissà perché non poteva alzarsi, non aveva il coraggio di andare nella stanza vicina a vedere. Invece chiudeva gli occhi e cercava di allontanare tutti i ricordi.

E poi venne l’alba. Grasso Satana era a mezzo cielo e da una finestra alta con un vetro colorato (al centro era prevalentemente chiara, ma tutto attorno c’era un sobrio disegno marrone e rosso e grigio fumo) si riversava una luce rossa e febbrile, fredda come gli incubi di Dirk e batteva sul suo volto. Si allontanò rotolando e cercò di mettersi a sedere. In quel momento apparve Jaan Vikary che gli offrì la borraccia.

Dirk bevve parecchi lunghi sorsi, quasi soffocandosi con l’acqua fredda. Un po’ d’acqua si versò fuori dalle sue labbra secche e screpolate e gli ruscellò sul mento. Quando Jaan gliela aveva data, la borraccia era piena e lui gliela restituì mezza vuota. «Hai trovato l’acqua», disse.

Vikary chiuse di nuovo la borraccia ed annui. «Le stazioni di pompaggio sono state chiuse da anni, per cui non c’è acqua fresca nelle torri di Kryne Lamiya. Però ci sono ancora i canali. Sono sceso questa notte, mentre tu e Gwen dormivate».

Dirk si alzò in piedi barcollando e Vikary allungò una mano per aiutarlo ad uscire dal letto incassato. «Gwen è…?».

«Ha ripreso conoscenza nelle prime ore della notte, t’Larien. Abbiamo parlato e le ho detto ciò che avevo fatto. Penso che si riprenderà abbastanza presto».

«Posso parlarle?».

«Si sta riposando adesso, dormendo normalmente. Più tardi sono sicuro che vorrà parlarti, ma per il momento non credo che dovresti svegliarla. Questa notte ha cercato di mettersi a sedere, ma barcollava e le veniva la nausea».

Dirk annuì. «Capisco. E tu? Hai dormito?». Parlando guardava verso la loro stanza. La musica di Cupalba era un po’ diminuita. Si sentiva ancora, gemeva e si lamentava e permeava l’atmosfera di Kryne Lamiya; ma le orecchie la percepivano debole e distante, forse perché cominciavano ad abituarsi ed imparavano ad escluderla dalla coscienza. I murali luminosi, come le pietreluci di Larteyn, erano sbiaditi e morivano nei punti dove batteva il sole; i muri erano grigi e vuoti. I mobili che erano nella stanza — poche sedie dall’aspetto scomodo — uscivano dalle pareti e dal pavimento: estrusioni contorte che si adattavano al colore e ai toni della camera talmente bene da risultare quasi invisibili.

«Ho dormito abbastanza», stava dicendo Vikary. «È una cosa senza importanza. Ho pensato alla nostra posizione». Fece un gesto con la mano. «Vieni»

Andarono in un’altra stanza, una stanza da pranzo vuota, poi uscirono su uno dei molti balconi che si affacciavano sulla città Cupalba. Vista di giorno, Kryne Lamiya era diversa, meno disperata; anche il debole sole di Worlorn era sufficiente a far scintillare la veloce acqua che riempiva i canali e nell’eterno crepuscolo le pallide torri apparivano meno sepolcrali.

Dirk era debole ed aveva molta fame, ma il suo mal di testa era andato via ed il vento frizzante contro il volto lo faceva star bene. Si allontanò i capelli dagli occhi — i capelli erano tutti annodati e stopposi — e aspettò di sentire Jaan.

«Ho guardato da qui durante la notte», disse Vikary, con i gomiti sulla fredda ringhiera e gli occhi che frugavano l’orizzonte. «Ci stanno cercando, t’Larien. Per due volte ho visto delle macchine sulla città. La prima volta era solo una luce, alta e distante, per cui può darsi che mi sia sbagliato. Ma la seconda volta non posso essermi sbagliato. Era la macchina a testa di lupo di Chell che volava rasoterra sui canali, con un faro attaccato. È passato vicinissimo. C’era anche un cane. Ho sentito che abbaiava come impazzito per la musica di Cupalba».

«Non ci hanno trovati», disse Dirk.

«Vero», rispose Vikary. «Penso che qui siamo abbastanza al sicuro, per un po’. A meno che… Non so bene come hanno fatto a trovarvi a Sfida e la cosa mi spaventa. Se seguono la nostra pista fino a Kryne Lamiya e setacciano la città con i cani Braith, siamo in un grosso pericolo. Ormai non abbiamo più annulla-scia». Guardò Dirk. «Come hanno fatto a sapere dove eravate fuggiti? Hai qualche idea?».

«No», disse Dirk. «Non lo sapeva nessuno. Certamente non ci ha seguiti nessuno. Può darsi che l’abbiano semplicemente indovinato. Era la scelta più logica, dopotutto. La vita era più comoda a Sfida che in qualsiasi altra città. Più facile. Capito?».

«Si, lo so. Ma non accetto la tua teoria, però. Ricordati, t’Larien, che anche Garse ed io abbiamo preso in considerazione questo problema, quando tu ci hai svergognati abbandonandoci al quadrato della morte. Sfida era la scelta più ovvia, e quindi la meno logica, abbiamo pensato. Sembrava più probabile che sareste andati a Musquel vivendo con il pesce che riuscivate a pescare, oppure che Gwen avesse pensato per tutti e due procurando cibo nella foresta che lei conosceva così bene. Garse aveva anche suggerito che potevate semplicemente aver nascosto la macchina per rimanere in qualche altra sezione di Larteyn, in modo da poterci far fessi mentre vi cercavamo per tutto il pianeta».

Dirk si innervosì. «Si. Be’, immagino che la nostra scelta sia stata stupida».