«Capisco. Ma come farai ad avvicinarlo?».
«Se riesco a raggiungere sano e salvo Larteyn, lo posso chiamare al visifono. Per lo meno lo spero». Diede una spallucciata, vaga e fatalistica.
«Ed io?».
«Resta qui con Gwen. Fagli dà infermiere, proteggila. Ti lascerò uno dei fucili di Roseph. Se lei si ristabilisce un po’, faglielo usare. Probabilmente lei è più capace di te. Sei d’accordo?».
«D’accordo. Non ci vuol molto a fare ciò che mi chiedi».
«No», disse Vikary. «Spero che tu sappia restare nascosto, al sicuro, fino a quando io ritornerò con il Kimdissi. Spero di trovarti come quando ti ho lasciato. Se fosse necessario scappare, per te, hai sempre a disposizione quell’altra aerauto. C’è una caverna da queste parti che Gwen conosce benissimo. Lei ti mostrerà la strada. Va alla caverna se sei costretto ad abbandonare Kryne Lamiya».
«Che cosa faccio se tu non torni indietro? È anche questa una possibilità, sai».
«in questo caso sarai di nuovo per conto tuo, come quando sei scappato la prima volta da Larteyn. Allora avevi dei progetti. Segui quelli, se ti sarà possibile». Fece un sorriso, ma non c’era il minimo divertimento. «Comunque, conto di ritornare. Ricordatelo bene, t’Larien. Ricordatelo».
C’era una nota sottile di acciaio acuminato nella voce di Vikary, un’eco che gli fece venire in mente un’altra conversazione fatta nello stesso vento algido. Le vecchie parole di Jaan, gli ritornarono alla mente con improvvisa chiarezza: ma io esisto. Ricordalo… Questo adesso non è Avalon, t’Larien ed oggi non è ieri. È un mondo di festival morente, un mondo senza leggi, per cui ognuno di noi deve aggrapparsi strettamente ai suoi propri codici, quelli che si è portato dentro. Ma Jaan Vikary, pensò violentemente Dirk, aveva portato due codici con sé quando era venuto su Worlorn.
Invece Dirk non se ne era portato nessuno, non aveva portato niente, tranne il suo amore per Gwen Delvano.
Gwen dormiva ancora quando i due uomini rientrarono dal balcone. I due camminarono assieme verso la terrazza d’atterraggio, senza disturbare la donna. Vikary aveva completamente spacchettato la macchina dei Braith. Roseph ed il suo teyn avevano preparato tutto per una spedizione di caccia, ovviamente breve, all’interno della foresta, ma poi tutto era andato all’aria. Dirk pensò che era un peccato che non avessero previsto un viaggio più lungo.
Comunque, Vikary aveva trovato solo quattro dure barrette di proteina al posto del cibo, più i due laser da caccia e qualche vestito che era stato messo sopra i sedili, Dirk mangiò immediatamente una delle barrette — era affamato — e fece scivolare le altre tre nella tasca del pesante giaccone che aveva indossato. Gli stava un po’ largo, ma non gli andava male; il teyn di Roseph aveva approssimativamente la taglia di Dirk. E poi era caldo… di cuoio spesso, tinto di rosso porpora, con il colletto, i polsi e le bordure di pelliccia bianca maculata. Entrambe le maniche del giaccone avevano dei disegni vorticanti disegnati sopra. La manica destra era rossa e nera, la sinistra argento e verde. Una giacca simile, ma più piccola (indubbiamente di Roseph), fu presa da Dirk con l’intenzione di farla usare a Gwen.
Vikary prese due dei fucili a laser, lunghi tubi di plastica nerissima con incisi sul calcio dei lupi bianchi che latravano. Si mise il primo sulla spalla; il secondo lo diede a Dirk, assieme a brevi spiegazioni di come funzionava. L’arma era leggerissima, leggermente oleosa al tatto. Dirk la tenne in mano goffamente.
I saluti furono brevi e senza formalità. Quindi Vikary si chiuse dentro la grande macchina Braith. la fece sollevare da terra e si lanciò nel cielo vuoto. Quando partì si sollevarono grandi nubi di polvere e Dirk si ritrasse tossendo, con una mano sulla bocca e l’altra sul fucile.
Quando ritornò nell’appartamento, Gwen aveva incominciato a muoversi. «Jaan?», disse, sollevando il capo dal materasso di cuoio per vedere chi era entrato. Gemette e ricadde subito all’indietro, massaggiandosi le tempie con tutte e due le mani. «La mia testa», disse con un sussurro piagnucoloso.
Dirk appoggiò il laser contro la parete, appena oltre la porta e si sedette accanto al letto incassato. «Jaan è appena andato via», disse. «Sta volando verso Larteyn a prendere Ruark».
L’unica risposta di Gwen fu un altro gemito.
«Posso fare qualcosa per te?», chiese Dirk. «Acqua? Cibo? Abbiamo un paio di queste». Tirò fuori dalla tasca le barrette di proteina, gliele diede e lei le guardò.
Gwen, dopo averle osservate un momento, fece una smorfia disgustata. «No», disse. «Mettile via. Non sono affamata sino a quel punto».
«Dovresti mangiare qualcosa».
«L’ho fatto», disse lei. «Questa notte. Jaan ha spezzato un paio di queste barrette nell’acqua ed ha fatto una specie di pasta». Gwen abbassò le mani dalle tempie e si voltò a guardarlo. «Non sono riuscita a tenerne giù granché», disse lei. «Non mi sento tanto bene».
«Mi sembra logico», disse Dirk. «Non potevi aspettarti di star bene dopo ciò che è capitato. Probabilmente hai avuto una commozione cerebrale e sei fortunata a non essere morta».
«Jaan me lo ha detto», disse lei un po’ aspramente. «Mi ha parlato anche di ciò che è successo dopo… ciò che ha fatto a Myrik». Aggrottò la fronte. «Pensavo di averlo colpito piuttosto forte quando siamo caduti. Tu hai visto, non è vero? Mi è sembrato di rompergli la mascella, o quella o le mie dita. Ma lui non se ne è nemmeno accorto».
«No», disse Dirk.
«Parlami di… tu lo sai, di quello che è successo poi. Jaan mi ha fatto un accenno. Voglio saperlo». La sua voce era affaticata e piena di dolore, ma non si poteva ignorarla.
Così Dirk glielo disse.
«Ha puntato il fucile a Garse?», disse lei ad un certo punto. Dirk annuì e lei si lasciò di nuovo andare.
Quando lui ebbe finito, Gwen rimase nel silenzio più assoluto. I suoi occhi si chiusero un momento, si riaprirono, poi si richiusero e non li riaprì. Se ne stava tranquilla su di un fianco, ripiegata in una specie di posizione fetale, con le mani chiuse in piccoli pugni sotto il mento. Osservandola, Dirk fece scivolare lo sguardo fino al suo braccio sinistro, con il freddo metallo della giada-e-argento che lei continuava a portare.
«Gwen», disse lui piano. La donna riapri gli occhi… solo per un istante… poi scosse il capo violentemente, come un urlo silenzioso: no! «Ehi», disse lui, ma le palpebre di Gwen erano di nuovo chiuse strettamente, e lei era perduta in se stessa e Dirk era solo con le gemme e le sue paure.
La stanza era inzuppata di luce, ciò che su Worlorn era il sole; le tinte del tramonto a mezzogiorno entravano dalla finestra e particelle di polvere galleggiavano pigramente attraverso l’ampia striscia luminosa. La luce colpiva solo un lato del materasso; Gwen era sdraiata per metà al sole e per metà all’ombra.
Dirk — lui non parlò più con Gwen, né la guardò — si mise ad osservare i disegni luminosi sulla parete.
Al centro della camera tutto era caldo e rosso ed era qui che la polvere danzava, uscendo fuori dall’oscurità e diventando cremisi per un momento, dorata per un momento, creava minuscole ombre, ma poi si allontanava galleggiando e subito dopo spariva. Dirk alzò una mano, la tenne sollevata — minuti? ore? — per un po’. Diventò calda, sempre più calda; la polvere vorticava attorno; le ombre scivolavano come l’acqua quando lui faceva scattare le dita e le voltava; il sole era amichevole e familiare. Ma improvvisamente si rese conto che i movimenti della sua mano, come l’infinito vorticare della polvere, non avevano scopo, né schema e nemmeno significato. Fu la musica a dirglielo; la musica di Lamiya-Bailis.