«Ma è divertente. Io come Garse. Non mi stupisce che Jaan…». «Ritornerai con lui?».
«Forse. Non ne sono sicura. Mi sarebbe assai difficile lasciarlo a questo punto. Capisci? Lui ha scelto finalmente. Quando ha puntato il laser contro Garse. Dopo di che, dopo che lui si è rivolto contro il suo teyn, contro la granlega ed il mondo, non posso limitarmi a… Tu lo sai. Ma non voglio essere di nuovo una betheyn per lui, mai più. Deve diventare qualcosa di più della giada-e-argento».
Dirk si sentì svuotato. Si strinse nelle spalle. «Ed io?».
«Tu sai bene che non avrebbe funzionato. È sicuro. Tu avresti dovuto sentirlo, invece non hai mai smesso di chiamarmi Jenny».
Lui sorrise. «Davvero? Forse no. Può darsi che non abbia mai smesso».
«Mai», disse lei. Si soffregò la testa. «Adesso mi sento un po’ meglio», continuò. «Hai ancora quelle barrette di proteine?».
Dirk ne tirò fuori una dalla tasca e gliela diede. Lei l’afferrò al volo, con la mano sinistra, gli sorrise, la spacchettò e cominciò a mangiare.
Dirk si alzò improvvisamente in piedi, sprofondando le mani nelle tasche del giubbotto e camminò verso la finestra alta. Le vette delle torri bianche come ossa portavano ancora un leggero tocco rossastro… forse Occhiodaverno ed i suoi attendenti non erano ancora completamente tramontati nel cielo occidentale. Ma giù, nelle strade, la città Cupalba era ebbra di notte. I canali erano nastri neri ed il paesaggio essudava la leggera fosforescenza purpurea del muschio luminoso. Dirk vide attraverso quelle tenebre scintillanti il suo barcaiolo solitario, come già gli era capitato di vederlo su quelle stesse acque cupe. Era piegato sul suo palo, come sempre, lasciandosi trasportare dalla corrente, e andava e andava, con facilità, inesorabilmente. Dirk sorrise. «Benvenuto», mormorò, «benvenuto».
«Dirk?». Gwen aveva finito di mangiare. Si stava di nuovo allacciando stretta la tuta e si delineava nelle tenebre luminose. Dietro di lei le pareti erano animate da danzatori bianchi e grigi. Dirk udiva tamburi e sussurri, e promesse. E sapeva che le ultime erano menzogne.
«Una domanda, Gwen», disse con difficoltà.
Lei lo fissò.
«Perché mi hai mandato a chiamare?», disse lui. «Perché? Se davvero pensavi che tutto fosse morto tra noi, tra te e me, perché non mi hai lasciato stare da solo?».
Il suo viso era pallido e vuoto. «Mandato a chiamare?».
«Sì, sai», disse lui. «La gemma mormorante».
«Già», disse lei incerta. «Si trova a Larteyn»,
«Naturalmente», disse lui. «Nel mio bagaglio. Tu me l’hai mandata».
«No», disse lei. «No».
«Ma mi sei venuta incontro!».
«Ci avevi mandato un segnale laser dalla nave. Ma io… Credimi, quella era la prima volta che ho sentito parlare del tuo arrivo. Io non sapevo che cosa pensare. Pensavo che prima o poi me l’avresti spiegato, anche se naturalmente non c’era nessuna fretta».
Dirk disse qualcosa, ma la torre pianse la sua nota bassa e le sue parole furono portate lontano. Dirk scosse il capo. «Tu non mi avevi mandato a chiamare?».
«No».
«Ma io ho ricevuto la gemma mormorante. Su Braque. La stessa gemma, esperincisa. Impossibile da falsificare». Poi si ricordò qualcos’altro. «Ed Arkin ha detto…».
«Sì», disse lei. Si stava mordendo le labbra. «Non capisco. Deve essere stato lui a mandarla. Eppure era mio amico. Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Non capisco». Lei piagnucolò.
«La testa?», chiese Dirk in un soffio.
«No», disse lei. «No».
Lui la guardò in faccia. «È stato Arkin a mandarla?».
«Sì. Era l’unico. Deve essere stato lui. Ci siamo incontrati su Avalon, subito dopo che tu ed io… sai. Arkin mi ha aiutata. Sono stati tempi difficili. C’era anche lui quando tu hai mandato la tua gemma a Jenny. Io piangevo eccetera eccetera. Ne ho parlato con lui e ne abbiamo discusso. Anche più tardi, quando io ho incontrato Jaan, Arkin ed io eravamo vicini. Era come un fratello!».
«Un fratello», ripeté Dirk. «Perché avrebbe dovuto…».
«Non lo so!».
Dirk era pensoso. «Quando tu mi sei venuta incontro allo spazioporto, Arkin era con te. Eri tu che gli avevi chiesto di venire? Io contavo sul fatto che tu fossi sola, ricordo».
«È stata un’idea sua», disse lei. «Be’, gli avevo detto che ero nervosa. Per il fatto di rivederti. Lui… lui si è offerto di venire con me per sostenermi moralmente. E poi ha detto che voleva conoscerti. Sai, del resto gli avevo parlato di te su Avalon».
«E quel giorno quando tu e lui ve ne siete andati nella foresta… sai, quando mi sono messo nei guai con Garse e con Bretan… cosa è successo?».
«Arkin aveva parlato di… una migrazione di scarabei corazzati. Invece non c’era niente, ma siamo dovuti andare a controllare. Siamo scappati fuori di corsa».
«Perché non mi hai lasciato detto dove andavi? Io credevo che Jaan e Garse ti avessero picchiata, che ti tenessero lontana da me. La notte prima, tu avevi detto…».
«Lo so, ma Arkin mi aveva detto che te lo avrebbe riferito lui».
«E poi mi ha convinto a scappare», disse Dirk. «E a te, immagino che ti abbia detto che per convincermi avresti dovuto…».
Gwen annuì.
Lui si voltò verso la finestra. L’ultima luce era scomparsa dalle vette delle torri. In alto c’era una manciata di stelle che scintillava. Dirk le contò. Dodici. Una dozzina esatta. Si chiese se alcune di loro fossero davvero delle galassie dall’altra parte del Grande Mare Nero. «Gwen», disse lui, «Jaan se ne è andato questa mattina. Da qui a Larteyn e ritorno, con l’aerauto… quanto ci vorrà?».
Lei non rispose, e Dirk si voltò a guardarla di nuovo.
Le pareti erano piene di fantasmi e Gwen tremava alla loro luce.
«Avrebbe dovuto essere già di ritorno a quest’ora, non è vero?».
Lei annuì e si sdraiò di nuovo sul pallido materasso.
La Città Sirena cantava la sua ninna nanna, il suo inno al riposo finale.
11
Dirk attraversò la stanza.
Il fucile a laser era appoggiato alla parete. Lo sollevò ancora una volta, sentì il materiale vagamente oleoso che in realtà era plastica nera. Passò il pollice sulla testa di lupo. Sollevò l’arma all’altezza della spalla, prese la mira e sparò.
Il lampo di luce durò per lo meno un secondo, sospeso nell’aria. Mosse leggermente il fucile e la penna luminosa si mosse anche lei. Quando la luce sparì e sparì anche l’immagine che continuava a persistere sulla retina, vide che aveva aperto un buco irregolare nella finestra. Il vento vi si riversava soffiando forte, in una strana dissonanza con la musica di Lamiya-Bailis.
Gwen si alzò barcollando dal letto. «Che cosa? Dirk?».
Lui si strinse nelle spalle ed abbassò il fucile.
«Che cosa?», ripeté lei. «Che stai facendo?».
«Volevo essere sicuro di saperlo fare funzionare», spiegò lui. «Io… io vado».
Gwen aggrottò la fronte. «Aspetta», disse. «Cerco gli stivali».
Lui scosse il capo.
«Anche tu?». Lei aveva una faccia dura, brutta. «Non mi serve protezione, accidenti».
«Non è questo», disse lui.
«Se questa è una qualche mossa idiota per farti apparire un eroe ai miei occhi, ti dico subito che non ha funzionato», disse lei mettendo le mani sui fianchi.
Lui sorrise. «Per la verità, Gwen, questa è una qualche mossa idiota per farmi apparire un eroe ai miei occhi. I tuoi occhi… i tuoi occhi non hanno ormai più nessuna importanza».
«Ma allora perché?».
Lui bilanciò incerto il fucile. «Non lo so», ammise lui. «Forse perché mi piace Jaan e gli sono debitore. Forse perché debbo ripagargli il torto di essere scappato, dopo che lui aveva avuto fiducia in me e mi aveva nominato keth».
«Dirk», cominciò lei.
Lui gli fece cenno di star zitta. «Lo so… ma questo non è tutto. Forse è perché Kryne Lamiya ha più suicidi di qualsiasi altra città del festival, ed io sono uno di quelli. Scegli tu il motivo che preferisci, Gwen. Uno qualsiasi di quelli detti sopra». Un debole sorriso gli si dipinse sul viso. «Forse è perché qui ci sono solo dodici stelle, lo sai? Per cui che differenza può fare, che ne dici?».