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«Che cosa credi di ppter fare?».

«Chi lo sa? E poi che importa? A te importa qualcosa, Gwen? Pensaci bene». Lui scosse il capo ed il movimento gli fece andare i capelli sulla fronte ancora una volta, così dovette interrompere il gesto e tirarsi indietro i capelli. «A me non importa che a te importi», disse con uno sforzo. «Tu hai detto, o sottinteso, che abitare a Sfida era stata una scelta egoista. Be’, può darsi. E forse lo sono ancora. Comunque ti voglio dire qualcosa. Qualsiasi cosa io voglia fare, non ti chiederò mai di guardarti le braccia prima, capisci cosa voglio dire?».

Era una buona battuta finale, ma arrivato vicino alla porta lui si intenerì un poco, esitò e si voltò indietro. «Rimani qui, Gwen», le disse. «Soltanto questo. Tu non sei ancora guarita. Se tu dovessi scappare, Jaan ha parlato di una caverna. Conosci qualche caverna?». Lei annuì. «Bene, allora vai là, se è necessario. Altrimenti resta qui». Agitò la mano in un goffo addio fatto con il fucile, poi si girò e se ne andò via troppo in fretta.

Giù sulla terrazza d’atterraggio le pareti erano pareti e basta… non c’erano spettri, né murali, né luci. Dirk raggiunse a tentoni l’aerauto che cercava, poi attese al buio che gli occhi si abituassero. Il suo relitto non era un prodotto della tecnologia Kavalar: era una piccola macchina a due sedili, una goccia di plastica un po’ nera e un po’ d’argento e di metallo leggero. Non era corazzata, si capisce, e l’unica arma che portava era il fucile laser che Dirk teneva sulle ginocchia.

Era solo un po’ meno morta di tutto il resto di Worlorn, ma quel po’ era sufficiente. Quando lui batté sul manometro dell’energia, la macchina si svegliò e gli strumenti illuminarono la cabina con i loro raggi pallidi. Mangiò in fretta una barretta di proteine e studiò i quadranti. La scorta di energia era bassa, troppo bassa, ma avrebbe dovuto bastare. Non avrebbe dovuto usare i fari; ce l’avrebbe fatta con la pallida luce stellare. E si poteva anche risparmiare sul riscaldamento, almeno finché avesse avuto il giubbotto di pelle che lo avrebbe riparato dal freddo.

Dirk abbassò la porta, chiudendosi all’interno e diede un colpetto al controllo di gravità. L’aerauto si sollevò, oscillò un po’ incerta, ma si sollevò. Afferrò la barra e la tirò a sé e subito si trovò fuori, in aria.

Ebbe un breve attimo di terrore. Se la griglia fosse stata troppo debole, lui lo sapeva benissimo, non si sarebbe affatto alzato, ma avrebbe ottenuto solo un debole rollio sul terreno soffocato dal muschio. La macchina oscillò e cadde in picchiata in maniera allarmante, una volta che si era sollevata. Tra l’altro, lui non era affatto ansioso di incontrare qualche viaggiatore notturno. In alto, con le luci spente, lui avrebbe visto qualsiasi altra aerauto che fosse passata sotto di lui, ma aveva buone possibilità di sfuggire al loro controllo.

Non abbassò lo sguardo per guardare Kryne Lamiya, ma sentiva la città sotto di sé, che lo guidava avanti, che gli lavava tutte le paure. La paura era una cosa stupida; non c’era niente di importante, meno di tutte la morte. La musica continuò anche quando la Città Sirena con le sue luci bianche e grigie era scomparsa. Scompariva la musica poco per volta e diventava più debole, ma era sempre con lui, sempre potente. Una nota, un sibilo sottile oscillante, durò più di tutte le altre. A più di trenta chilometri dalla città si sentiva ancora, mescolata al più profondo soffiare del vento. Alla fine si accorse che il suono veniva direttamente dalle sue labbra.

Smise di fischiare e cercò di concentrarsi sul volo.

Dopo aver volato per quasi un’ora, la montagna torreggiava su di lui, o piuttosto sotto di lui, perché si era portato piuttosto in alto e gli pareva di essere più vicino alle stelle ed alle galassie puntiformi che alle foreste in basso. Il vento era diventato penetrante e furioso e cercava di penetrare attraverso le fessure sottilissime dei portelli, ma Dirk ignorava il suono.

Nel punto in cui le montagne raggiungevano le foreste, Dirk vide una luce.

Fece virare la macchina, in un’ampia curva, e cominciò a scendere. Non avrebbero dovuto esserci luci in questa parte della montagna, lui lo sapeva; chiunque fosse, bisognava controllare.

Scese a spirale finché si trovò direttamente al di sopra della luce, poi fermò la macchina a mezz’aria e rimase sospeso per un breve istante, facendo scendere il controllo di gravità. Atterrò con infinita lentezza, oscillando avanti e indietro leggermente nei refoli di vento in una lenta caduta.

Era circondato da parecchie luci. L’illuminazione principale veniva da un fuoco. Adesso riusciva a distinguerlo; lo vedeva spostarsi ed oscillare a seconda di come il vento soffiava sulle fiamme, un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Ma c’era un’altra zona con delle luci più piccole… erano immobili ed artificiali, messe in cerchio nel buio, non troppo distanti dal fuoco. Forse un chilometro, stimò, forse meno.

Nella piccola cabina la temperatura cominciò ad alzarsi e Dirk sentì di sudare, aveva tutti i vestiti inzuppati sotto il giubbotto pesante. Vide anche il fumo; arrivava a nuvole, nere e caliginose, si sollevava dal fuoco e gli impediva la vista. Aggrottò la fronte e spostò l’aeromobile finché non fu più direttamente al di sopra delle fiamme e continuò la discesa.

Il fuoco si alzò a salutarlo. Lunghe lingue arancione, che parevano brillantissime in contrasto con i pennacchi di fumo. Vide anche delle scintille, o tizzoni, o qualcosa del genere; uscivano dal fuoco in brillanti spruzzi incandescenti, impolverando la notte e svanendo subito. Dirk era ormai bassissimo e fu minacciato da un altro fenomeno: un crepitare furioso di fiamme bianco azzurre, seguite da un’acuto odore di ozono, che subito dopo scomparve.

Dirk arrestò l’aerauto quando il fuoco era ancora piuttosto lontano sotto di lui. C’era dell’altra gente attorno — il cerchio formato dalle immobili luci artificiali — e lui non temeva di essere visto. La sua macchina nera e argento, immobile contro il cielo nero, non sarebbe stata facile da individuare, ma la storia sarebbe stata diversa se lui si fosse delineato contro le fiamme. Anche se niente gli impediva la visuale dal punto in cui era librato, tuttavia non riusciva a distinguere che cosa stesse bruciando; al centro del fuoco c’era una forma oscura da cui uscivano ogni tanto delle scintille. Attorno poteva vedere l’intricato insieme di soffocatori, con i rami cerei che brillavano gialli sotto la luce riflessa. Parecchi erano nel punto in cui si era verificato lo scoppio ed erano loro che formavano la maggior parte del fumo nero, accartocciandosi e trasformandosi in cenere. Ma gli altri, il muro contorto che circondava la cosa nera che bruciava, rifiutavano di cedere. Il fuoco non si allargava, ma stava visibilmente spegnendosi.

Dirk attese e lo vide morire. Era già quasi sicuro che si trattasse di un aeromobile caduto; glielo dicevano soprattutto le scintille e l’odore di ozono. Voleva sapere di chi fosse quella macchina.

Quando le fiamme diminuirono e le scintille cessarono di fuoriuscire, ma prima che il fuoco si fosse estinto completamente trasformandosi in fumo grasso, Dirk riuscì a distinguere una forma. Per un istante; un’ala, vagamente simile a quella di un pipistrello, contorta secondo un’angolazione grottesca e puntata verso il cielo. Un muro di fuoco scivolava dietro l’ala. Gli bastava; non si trattava di nessuna macchina che lui conoscesse, anche se era chiaramente di costruzione Kavalar.

Si allontanò immediatamente dal fuoco morente, come un oscuro spettro sopra la foresta ed andò verso il cerchio di illuminazione artificiale. Questa volta mantenne una distanza superiore. Non aveva nessun bisogno di andare più vicino. Le luci erano molto brillanti e la scena pareva scolpita in minuti dettagli.

Vide una vasta radura, circondata da torce elettriche, sulle rive di un lago con l’acqua immobile, molto largo. Tre aerauto erano posate a terra e lui le conosceva tutte e tre; lo stesso terzetto che aveva già visto sotto l’albero Emereli a Sfida, quando Myrik Braith aveva assalito Gwen. Una di quelle macchine, quella con la cupola più grande e la corazza rosso scura, apparteneva a Lorimaar alto-Braith. Le altre due erano più piccole, quasi identiche, solo che adesso erano piuttosto diverse, poiché una delle due era visibilmente danneggiata e si vedeva bene anche da distante. Era posata in maniera goffa, mezza sommersa dall’acqua ed in parte era sformata ed incandescente. La porta corazzata era leggermente aperta.