Ghiaccio stretto nel pugno, ghiaccio nella mente, ricordi di promesse, bugie, amore. Jenny. La mia Ginevra e lui era Lancillotto. Lui non la poteva abbandonare. Lui no. Strinse forte la fredda lacrima nella mano e portò il ghiaccio nella sua anima. Si obbligò ad alzarsi.
Dopo di che fu più facile. Spogliò lentamente il morto e si rivestì con i suoi abiti, anche se tutto gli era troppo lungo e la camicia e la giubba di tessuto camaleontino erano state bruciate sul davanti e l’uomo aveva sporcato i pantaloni. Dirk tolse anche gli stivali al cadavere, ma erano troppo stretti per i suoi piedi insanguinati, piagati e fu costretto e usare quelli di Pyr. Pyr aveva dei piedi grossi.
Usando il fucile a laser ed il bastone di Pyr, si avviò barcollando su quegli appoggi verso la foresta. Pochi metri all’interno, si fermò e si guardò brevemente indietro. Il cane gigantesco stava abbaiando e ululando e cercava di liberarsi ed ogni volta che tirava l’aerauto rispondeva con un tremito metallico. Poteva vedere il corpo nudo sulla terra e più in là l’oggetto lungo e argento, che continuava ad oscillare nel vento. Quasi non riusciva a vedere Pyr. A causa delle macchie di sangue, l’abito del cacciatore era diventato nero e marrone e in certi punti rosso opaco, per cui si confondeva con il terreno su cui era morto.
Dirk abbandonò il cane ad abbaiare incatenato e si avviò zoppicando attraverso i soffocatori intrecciati.
13
La corsa dall’accampamento dei cacciatori fino al relitto dell’aerauto copriva meno di un chilometro ed a Dirk era sembrata eterna. Ritornare indietro gli richiese il doppio del tempo. In seguito, pensò di non essere stato completamente conscio in quel momento. I ricordi di quel ritorno erano tutti frammentari. Inciampava e cadeva e aveva rotto i pantaloni all’altezza delle ginocchia. Trovò un ruscello dalla corrente veloce e allora si fermò, si lavò il viso incrostato di sangue, si tolse gli stivali ed infilò i piedi nell’acqua gelata, fino a quando non ebbe più nessuna sensazione. Si arrampicò oltre le rocce su cui prima era scivolato. La nera bocca di una caverna lo fissò, promettendogli sonno e riposo, ma lui non la ascoltò. Perdette la strada, cercò il sole, e riperdette la strada. Gli spettri-d’albero saltavano da un ramo all’altro, tra i soffocatori, cinguettando con vocette sottili. Bianchi gusci morti lo osservavano dai rami cerei. Lontano, la banscea guaiva, un grido lungo, spettrale. Inciampò di nuovo, un po’ per disattenzione ed un po’ per paura. Il bastone si allontanò da lui seguendo una corta inclinazione ripida e si perdette tra arbusti fitti. Dirk non si curò di cercarlo. Camminava, camminava, appoggiandosi al bastone e, quando il bastone fu perso, si appoggiò al laser ed i piedi gli facevano male, un male incredibile. Ancora la banscea, più vicina, quasi sopra di lui. Guardò in su tra l’intrico di rami nel cielo cupo, cercando di individuare la bestia, ma senza riuscirci. Camminava, si feriva. Ricordava tutte quelle cose, ma era sicuro che tra quelle cose e le altre che si ricordava doveva per forza essere successo qualcosa, ma non ricordava le cose che collegavano le une alle altre. Forse dormì mentre camminava. Ma non smise mai di camminare. Era pomeriggio inoltrato, quando raggiunse la pìccola area sabbiosa presso il lago verde. Le aerauto erano ancora là, una era contorta e giaceva per metà nel lago, le altre tre erano sulla sabbia. L’accampamento era deserto.
Una delle macchine — la macchina con la grande cupola, che apparteneva a Lorimaar — aveva un cane alla guardia, legato alla porta da una lunga catena nera. La creatura era accucciata, ma quando Dirk si avvicinò si alzò in piedi e snudò i denti, ringhiando. Dirk scoprì che lui stava ridendo pazzamente, senza potersi fermare. Aveva fatto tutta quella strada, aveva camminato, camminato e camminato, e qui c’era solo un cane legato alla catena che gli ringhiava dietro. Avrebbe potuto avere la stessa identica scena se non si fosse mosso nemmeno di un metro.
Fece un largo giro, fuori dalla portata della catena del cane ed andò alla macchina di Janacek, ci sali sopra e chiuse la porta pesante. La cabina era buia, intasata e piccola. Dopo aver provato tutto quel freddo, Dirk la trovò esageratamente calda. Avrebbe voluto sdraiarsi, dormire. Ma per prima cosa cercò l’armadietto delle riserve, dove trovò una cassetta di pronto soccorso, in metallo. La tirò fuori e l’apri. Era piena di pillole e di bende e cose da spruzzare. Desiderò di essersi ricordato di dire a Janacek di gettare la cassetta di pronto soccorso vicino al luogo del relitto, assieme al laser. Sapeva che sarebbe dovuto uscire fuori, per lavarsi metodicamente nel lago e togliersi tutto il sudiciume dalle ferite, prima di tentare una fasciatura, ma la porta massiccia era troppo pesante per aprirla un’altra volta adesso. Dirk si tolse gli stivali e si tolse il giubbotto e la camicia. Spruzzò con una polvere il suo braccio sinistro gonfio, in modo da impedire l’infezione, o combatterla, o per lo meno far qualcosa. Era troppo stanco per stare a leggere le istruzioni in maniera completa. Poi guardò le pillole. Prese due pillole per la febbre e quattro analgesici, oltre a due antibiotici, che ingoiò senz’acqua, perché non aveva acqua a disposizione.
Dopo giacque sulle lastre di metallo del pavimento tra i due sedili. Il sonno lo raggiunse istantaneamente.
Si svegliò che aveva la bocca secca, tremava ed era molto nervoso, il che era un effetto collaterale delle pastiglie. Ma riusciva di nuovo a pensare ed aveva la fronte fresca, anche se era coperta da sudore freddo, ed i piedi gli facevano un po’ meno male di prima. Anche il gonfiore al braccio era un po’ diminuito, anche se era più grosso del normale e piuttosto irrigidito. Si rimise la camicia bruciacchiata ed incrostata di sangue e sopra mise il giubbotto, raccolse a cassetta di pronto soccorso ed uscì fuori.
Era il tramonto; il cielo occidentale era rosso ed arancione e due soli gialli brillavano intensamente sulle nuvole del tramonto. I Braith non erano ritornati. Jaan Vikary, armato e vestito e ricco d’esperienza, sapeva certo meglio come fare a scappare di quanto lo sapesse Dirk
Si avviò attraverso la sabbia verso il lago. L’acqua era frigida, ma vi si abituò abbastanza presto ed il fango gli scivolava fluido sotto i piedi. Si svestì ed abbassò la testa nell’acqua per lavarsi, poi prese la cassetta di medicine e fece tutte le cose che avrebbe dovuto già fare prima, pulendosi e bendandosi i piedi, prima di farli di nuovo scivolare negli stivali di Pyr. Si era pulito quasi dappertutto con il disinfettante, tamponando gli infiammati segni lasciati dai denti sul braccio, usando un balsamo che avrebbe dovuto ridurre al minimo eventuali reazioni allergiche. Inghiottì anche un’altra manciata di analgesici, ma questa volta inghiottì anche una buona sorsata d’acqua che aveva recuperato nel lago.
La notte si avvicinava rapidamente e dovette rivestirsi in fretta. Il cane dei Braith era steso presso la macchina di Lorimaar e masticava un enorme pezzo di carne, ma non c’era segno del suo padrone. Dirk si avviò con precauzione verso la terza aerauto, girando ben lontano dalla bestia; la macchina di Pyr e del suo teyn. Era convinto che poteva prendersi le loro provviste senza troppi rischi; gli altri Braith ritornando e trovando l’accampamento vuoto, non avrebbero potuto scoprire se mancava qualcosa.
Dentro trovò una rastrelliera piena di armi: quattro fucili a laser su cui era stata incisa la testa di lupo ben nota, una certa quantità di spade da duello, coltelli, una lama da lancio argentea lunga due metri e mezzo messa accanto ad una mensola vuota. Su di un sedile c’erano due pistole gettate lì. Trovò anche un armadio pieno di vestiti puliti e si cambiò velocemente, infilando i vestiti logori in un posto fuori vista. I vestiti non gli andavano bene, ma si sentì molto meglio. Si prese una cintura di maglia di ferro, una pistola da combattimento ed un soprabito fino al ginocchio fatto di tessuto camaleontino.