Poi erano arrivate le Bestie, ed era scoppiato l’orrore, e da qualche parte una voce sconosciuta aveva gridato vendetta per la sua felicità infranta.
Mentre trottava lungo una spoglia altura, Erakoum aveva pensato, con un accelerarsi dei battiti del cuore, di aver avvistato un debole raggio azzurro nell’aria, in lontananza. Non poteva esserne certa, a causa della luminosità di Mardudek, ma alterò comunque il proprio percorso nella speranza di aver visto giusto; tuttavia, dopo che si fu arrampicata per parecchio tempo fra sassi e spine, il bagliore scomparve, ed Erakoum pensò si fosse trattato di uno scherzo della luce notturna, forse un raggio di luna che si era riflesso sulla nebbia. Quella conclusione non ebbe certo l’effetto di migliorare il suo umore: le andava tutto storto, quando si trattava dei Volatori!
A causa di quella deviazione, si trovò indietro rispetto al resto del suo gruppo, ed il primo avvertimento circa la presenza della preda le venne tramite le grida dei compagni.
— Hai-ay, hai-ay, hai-ay! — echeggiò tutt’intorno, ed Erakoum sbuffò, perplessa, certa che sarebbe arrivata troppo tardi per uccidere una preda. Comunque, continuò a correre in quella direzione, pensando che, se i Volatori non avessero intercettato un forte vento, li avrebbe potuti seguire tenendosi nascosta e senza essere vista, e che forse essi non sarebbero andati tanto lontano da sfiancarla prima d’imbattersi in un altro sciame di bachi di fuoco e di scendere nuovamente in basso. Il respiro le raspava in gola, ed il fianco della collina le percuoteva i piedi con rocce invisibili, ma continuò a correre con ansia fino a raggiungere il luogo dov’era la preda.
Era una radura, vivamente illuminata nonostante le ombre che la solcavano, e tagliata a metà da un piccolo dirupo. I bachi di fuoco roteavano nell’aria, distinti contro l’oscurità della foresta, simili ad una lucente polvere di nubi, e parecchie femmine del Popolo erano accucciate nell’erba, intente a divorare le loro prede, mentre il resto del gruppo si era allontanato per seguire i Volatori in fuga, come aveva progettato di fare la stessa Erakoum.
La femmina si arrestò al limitare della radura per respirare, sollevò lo sguardo e si raggelò: la massa dei Volatori si stava dirigendo lentamente e caoticamente verso ovest, ma alcuni indugiavano per lanciare le loro misere armi, e, sulla cima di uno di essi, brillava una tenue luce: Erakoum aveva trovato quello che cercava!
— Ee-hah! — gridò, balzando avanti ed agitando il giavellotto. — Vieni, operatore di malvagità! Vieni e fatti uccidere! Con il tuo sangue infonderai al mio prossimo nato la vita che hai sottratto al primo!
Non ci fu alcuna sorpresa, ma un senso di fatalità, quando la sagoma irreale descrisse una spirale e si fece più vicina: quella notte si sarebbe giunti alla soluzione di qualcosa di più importante della sopravvivenza di uno dei due avversari fosse destinato a sopravvivere, e lei, Erakoum, era stata afferrata da un Potere, era divenuta uno strumento del Profeta.
Accucciata, scagliò la lancia, con uno sforzo visibile nei suoi muscoli: vide l’arma volare diritta come maledizione che portava con sé… ma il nemico schivò e l’arma lo mancò di un dito, e poi, improvvisamente, il Volatore le venne contro.
Ma era una cosa che non facevano mai! E cos’era ciò che stringeva nel filamento simile ad un’alga?
Erakoum afferrò un altro giavellotto fra quelli che aveva sulla schiena: ciascuno dei nodi che li trattenevano avrebbe dovuto cedere al primo strattone, ma questo s’incagliò e dovette tirare di nuovo, mentre il nemico si faceva sempre più grosso e vicino; la femmina riconobbe l’oggetto che il suo avversario stringeva: era un coltello di fattura umana, tagliente come una lama d’ossidiana ma più resistente e sottile. Erakoum indietreggiò, impugnando la lancia ormai libera, ma senza avere più lo spazio per lanciarla, per cui fece un affondo.
Vide la punta dell’arma colpire con un pazzo bagliore: il Volatore rotolò su un fianco prima di venire trapassato, ma il sangue ed il gas scaturirono insieme, scuri, da un taglio sulla sua superficie pallida.
Il Volatore scattò in avanti e riuscì a superare la sua guardia, ed il coltello affondò ripetutamente: Erakoum avverti i colpi, ma non provò ancora alcun dolore. Lasciata cadere la lancia, agitò le braccia e fece scattare le mascelle, i cui denti si serrarono intorno alla carne dell’avversario, facendo affluire nella sua bocca e giù per la gola un gettito di energia.
Improvvisamente, non ebbe più il terreno sotto i piedi e cadde rotolando, artigliando con i piedi e le mani alla ricerca di un appiglio, perdendolo e cadendo più in basso; quando colpì il fianco del dirupo, rotolò sempre più in giù sopra crudeli spuntoni di roccia. Per un istante intravide il cielo sopra di lei, le stelle ed i bachi di fuoco, il Volatore illuminato dalla luce di Mardudek che passava volando e perdendo sangue, poi il nulla la reclamò.
La gente di Port Kato chiese cosa avesse fatto rientrare Jannika Rezek e Hugh Brocket così presto e così sconvolti, ma essi evasero ogni domanda e si affrettarono a raggiungere la loro capanna, sbattendosi la porta alle spalle. Un momento più tardi, avevano sprangato anche le finestre.
Per qualche tempo rimasero a fissarsi a vicenda, senza trovare conforto nella stanza familiare: l’illuminazione, destinata ad occhi umani, era violenta, l’aria della camera sprangata era priva di vita, i deboli suoni provenienti dall’insediamento servivano solo a rendere più profondo il silenzio che regnava all’interno. Alla fine, Hugh scosse il capo e, ciecamente, volse le spalle alla moglie.
— Erakoum andata — mormorò. — Come riuscirò mai a capirlo?
— Ne sei certo? — sussurrò Jannika.
— Io… ho sentito la sua mente chiudersi… è stato quasi come un dannato colpo sferrato al mio stesso cranio… ma tu ti stavi agitando così tanto per il tuo prezioso uranide…
— A’i’ach è ferito! La sua gente non sa nulla di medicina. Se tu non avessi continuato a vaneggiare al punto da spingermi a farti tornare qui con me prima che finissi per far precipitare il tuo velivolo… — Jannika s’interruppe, serrò i pugni ed alla fine riuscì a dire: — Bene, ormai il male è fatto e noi siamo qui. Vogliamo cercare di ragionare e di scoprire che cosa è andato storto, in modo da impedire il verificarsi di un altro orrore del genere, oppure no?
— Sì, naturalmente. — Hugh si avvicinò alla credenza. — Vuoi qualcosa da bere?
— Vino — rispose Jannika, dopo un’esitazione.
Hugh le portò un bicchiere colmo, stringendo nella destra un boccale di whisky puro che cominciò subito a bere.
— Ho sentito Erakoum morire.
— Sì — replicò Jannika, prendendo una sedia, — ed io ho sentito A’i’ach ricevere ferite che si potrebbero rivelare letali. Siedi, ti spiace?
Hugh sedette pesantemente di fronte a lei, trangugiando sorsate di liquore mentre sua moglie sorseggiava il vino. I nuovi arrivati su Medea sostenevano sempre che vini e liquori assumevano su quel pianeta un sapore più strano di quello dei cibi, ed un poeta aveva preso da questo lo spunto per una raggelante composizione sull’isolamento. Quando la poesia era stata inviata sulla Terra insieme alle altre notizie, la risposta, giunta dopo un secolo, era stata che nessuno riusciva a capire cosa i coloni trovassero in quel fenomeno.
— Bene — ringhiò Hugh, incurvando le spalle. — Dovremmo confrontare le nostre osservazioni prima di cominciare a dimenticare, e magari dovremmo confrontarle nuovamente domattina, quando avremo la possibilità di riflettere. — Allungò la mano verso il registratore e lo accese; la sua voce rimase opaca mentre pronunciava una frase di identificazione.
— È la cosa migliore anche per noi — gli rammentò Jannika. — Lavorare, pensare logicamente… queste cose tengono lontano gli incubi.