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— Come stai? — chiese, inginocchiandosi. Non riusciva a parlare la sua lingua meglio di quanto lui parlasse l’inglese, ma A’i’ach aveva imparato ad interpretare i suoi suoni.

— Il mio male non è eccessivo, ora che sei vicina. Ho perso sangue e gas, ma quelle ferite si sono richiuse. Debole, mi sono posato su un albero fino a che le Bestie se ne sono andate, e nel frattempo si è levato il vento. Ho pensato fosse meglio non volare nelle mie condizioni, ma non potevo rimanere sull’albero, perché sarei stato spazzato via. Così ho esalato quanto rimaneva del mio gas e sono strisciato dietro questo riparo.

Il discorso conteneva molto di più che quella spoglia affermazione: le parole erano laconiche e stoiche, ma il significato implicito non lo era. A’i’ach avrebbe avuto bisogno di almeno un giorno intero per rigenerare una quantità d’idrogeno sufficiente alla risalita… il tempo dipendeva dalla quantità di cibo che sarebbe riuscito a trovare nelle sue condizioni… a meno che un carnivoro non lo avesse trovato prima, il che era estremamente probabile. Jannika immaginò quale getto di sofferenza, timore e coraggio le sarebbe stato trasmesso se avesse avuto indosso il casco.

Raccolse fra le braccia la forma flaccida: pesava poco, ed era calda e setosa. A’i’ach cooperò il più possibile, ma una parte del suo corpo strisciò ugualmente sul terreno, il che dovette risultare doloroso, senza contare che Jannika dovette essere ancora più rude, afferrando manciate di pelle, quando lo portò all’interno del velivolo. Dentro, lo spazio disponibile scarseggiava, ed A’i’ach si trovò praticamente raggomitolato nella sezione posteriore. Invece di scusarsi quando l’uranide gemeva, o di dire qualcosa in particolare, Jannika cantò per lui: A’i’ach non conosceva le antiche parole terrestri, ma apprezzò la melodia e comprese cosa la donna cercasse così di comunicargli.

Jannika aveva equipaggiato il velivolo in modo da poter fornire un soccorso medico di base ai nativi, cosa che le era accaduto di fare in passato. Le ferite di A’i’ach non erano profonde, perché la maggior parte del suo corpo era poco più che una sacca; tuttavia, quella sacca era stata lacerata in parecchi punti e, sebbene fosse autosigillante, con il volo si sarebbe spaccata di nuovo a meno che fosse stata rinforzata. Dopo un’applicazione locale di anestetici e di antibiotici… le cognizioni sulla biochimica degli abitanti di Medea permettevano l’uso di quelle sostanze… Jannika ricucì le ferite.

— Ecco, adesso puoi riposare — disse poi, quando, intorpidita, tremante ed inzuppata di sudore, ebbe terminato le medicazioni. — Più tardi ti somministrerò del gas e ti potrai sollevare subito, se vorrai. Io penso però che sarebbe più saggio se entrambi attendessimo la fine delle bufera.

— È stretto, qui dentro! — Il gemito dell’uranide era l’equivalente di quelle parole umane.

— Si, so cosa intendi dire, ma… A’i’ach, lascia che mi metta il casco. — Lo indicò con la mano. — Questo unirà i nostri spiriti come lo erano prima e potrebbe distogliere la tua mente dalla scomodità della condizione attuale. E ad un raggio così ridotto, considerate le nostre nuove conoscenze… — Un brivido la percorse. — … Chissà cosa potremmo scoprire!

— Bene — convenne l’uranide. — Potremmo godere di esperienze uniche. — Il concetto della ricerca fine a se stessa gli era estraneo… ma la sua ricerca del piacere andava molto al di là dell’edonismo.

Ansiosa nonostante la stanchezza, la donna si avvicinò al sedile e protese la mano verso l’apparecchiatura, ma il ricevitore radio, sempre aperto sulla banda di ricezione standard, scelse pròprio quel momento per entrare in azione.

Ad est, Argo brillava contro il muro, attraversato da lampi ed in avvicinamento, della tempesta che giungeva da nord; più sotto, le nubi già presenti erano torbide e tinte di rosso e di scuro, ed il vento ululava, facendo tremare e sobbalzare il velivolo di Hugh. Nonostante il riscaldamento, il freddo penetrava nel velivolo come portato dalla luce stessa delle stelle e delle lune.

— Jan, sei là? — chiamò. — Stai bene?

— Hugh? — La voce di lei era colma di sollievo. — Sei tu, caro?

— Sì, certo, chi diavolo altro ti aspettavi? Mi sono svegliato, ho sentito il tuo messaggio… ed eccomi qui… stai bene?

— Perfettamente. Ma non oso decollare, con questo tempo, e tu non devi cercare di atterrare, perché ormai sarebbe troppo pericoloso. Non dovresti neppure rimanere. Caro, è davvero rostomily che tu sia venuto!

— Per tutti i preti ebrei, dolcezza, come potevo non farlo? Dimmi cosa è successo.

Jannika gli spiegò ogni cosa, ed alla fine Hugh annuì con la testa che gli doleva ancora per il liquore bevuto, nonostante l’effetto di una tavoletta di nedolor.

— Ottimo — disse infine. — Aspetta. — Aspetta che il vento si calmi, rigonfia il tuo amico e poi vieni a casa. — Un’idea che stava covando da un po’ lo stuzzicò. — Uh, mi chiedevo una cosa. Credi che lui potrebbe scendere in quel burrone e recuperare l’unità di Erakoum? Sai quanto siano scarsi quei congegni! — Fece una pausa, poi aggiunse: — penso che sarebbe troppo chiedergli di ricoprirla con un po’ di terra.

— Posso farlo io — replicò Jannika, con voce piena di pietà.

— No, non puoi. Ho ricevuto una netta impressione da Erakoum mentre stava cadendo, prima che si spaccasse la testa o cos’altro le è successo: nessuno può scendere là sotto senza una corda assicurata in alto, perché sarebbe impossibile risalire. E, anche con una corda, sarebbe una cosa tanto pericolosa da rasentare la follia: i compagni di Erakoum non hanno tentato nulla, vero?

— Glielo chiederò — replicò Jannika, con riluttanza, — ma può darsi che sia pretendere troppo. L’unità funziona?

— Hmm, sì, ma farò meglio a controllare, prima. Ti riferirò fra qualche minuto. Ti amo.

E sapeva di essere sincero, non importava quanto spesso Jannika lo facesse infuriare. L’idea che in qualche modo, negli abissi del suo essere, potesse aver desiderato la morte di lei non era neppure concepibile, ed Hugh l’avrebbe seguita anche attraverso una tempesta più violenta di quella, solo per negare una simile supposizione.

Bene, adesso poteva andare a casa con la coscienza sollevata ed attendere il suo ritorno, dopodiché… cosa? Quella certezza creò un vuoto dentro di lui.

Il suo strumento emise una luce verde: bene, il trasmettitore di Erakoum era funzionante, e quindi intero e degno di essere salvato. Se soltanto anche lei… Hugh s’irrigidì ed il respiro gli sibilò nei polmoni: ma sapeva davvero che lei era morta?

Si abbassò l’elmo sulle tempie, e le mani tremanti gli resero difficile operare i collegamenti; premette un pulsante, e desiderò di comunicare…

Un senso di sofferenza che si contorceva come un cavo rovente, le forze che si disperdevano sempre di più, morbide onde di nulla che affluivano sempre più spesso, ma che Erakoum riusciva ancora a tenere a bada. La striscia di cielo che le riusciva di vedere dal punto in cui giaceva, impossibilitata a strisciare più in alto, era colma di vento… Erakoum acquistò una coscienza completa, perché percepiva nuovamente la presenza di Hugh.

— Sembra che ci siano delle ossa rotte, ed anche una notevole perdita di sangue. Morirà nel giro di poche ore, a meno che tu la soccorra, Jan. Questo le permetterebbe di resistere fino a quando la potremo trasportare a Port Kato per un’assistenza più completa.

— Oh, la posso ricucire e bendare e steccare, certo. Ed il nedolor è uno stimolante analgesico che va bene anche per i dromidi, vero? Persino un semplice sorso d’acqua potrebbe rappresentare la salvezza, perché deve essere disidratata. Ma come faccio a raggiungerla?