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Un terzetto di madri dotate di quattro gambe sorvegliava otto cuccioli. Un gruppetto di quei cuccioli indicava, per le dimensioni raggiunte, che le madri avrebbero presto avuto un’altra ovulazione, avrebbero concepito nuovamente e quindi da esse si sarebbe staccato il secondo segmento, che avrebbero curato fino a che fosse nato il piccolo vero e proprio. Un altro membro del gruppo era già giunto a quello stadio della sua vita, e camminava su due gambe, non essendo più una femmina funzionante bensì un esemplare in cui non si erano ancora sviluppate le gonadi maschili.

Non era presente nessun maschio in età di generare figli, perché simili creature erano troppo tese, bramose, impazienti e violente per poter condurre una vita sociale. C’erano invece tre esseri nello stadio postsessuale, avvizziti ma forti e protettivi, i cui movimenti su due gambe, per quanto veloci secondo gli standards umani, erano lenti se paragonati alla fulminea fluidità delle movenze dei loro compagni.

Tutti gli adulti erano armati con lance dell’età della pietra e con daghe, senza contare i denti da carnivoro che orlavano le loro bocche.

Il gruppo scomparve quasi subito dopo che Jannika lo ebbe scorto, non per timore della sua presenza, ma perché essi erano animali medeani la cui chimica corporea e la cui vita procedevano più velocemente delle sue.

— I dromidi — le era riuscito di dire.

— Inseguono i tuoi amati uranidi — aveva replicato gentilmente Piet, dopo averla osservata per qualche tempo. — Mi hai detto che il fenomeno diverrà più violento che mai nella notte in cui le lucciole si levano in volo, ma non li devi odiare: sono prigionieri di una tragedia.

— Sì, il problema della sterilità… sì. Ma perché devono trascinare gli uranidi a fondo insieme a loro? — Jannika aveva battuto il pugno sul palmo aperto della mano. — Mettiamoci al lavoro, raccogliamo i nostri campioni e torniamo a casa, per favore.

Piet aveva compreso pienamente.

… Jannika allontanò quel ricordo e s’immerse nei preparativi per quella notte.

Hugh Brocket e sua moglie partirono quasi subito dopo il tramonto. I loro velivoli si levarono con un sussurro, raggiunsero un’altitudine intermedia e girarono in cerchio per un minuto, mentre gli occupanti si orientavano e si scambiavano saluti via radio. Visti dal basso, con i fianchi illuminati dagli ultimi bagliori dell’ormai tramontato Colchis, i velivoli sembravano due lacrime.

— Buona caccia, Jan.

— Ugh! Non dire così!

— Scusami — replicò lui in tono rigido e chiuse la comunicazione. Certo, aveva dimostrato poco tatto, ma perché lei doveva essere sempre così dannatamente suscettibile?

Non aveva importanza: c’era un mucchio di cose da fare. Erakoum aveva promesso che si sarebbe trovata sugli Shipwreck Cliffs all’incirca a quest’ora, dal momento che il suo gruppo aveva intenzione di procedere verso nord lungo la costa, provenendo dal campo prima di piegare verso l’interno. Quindi era impossibile determinare esattamente la sua posizione, e lui avrebbe fatto meglio a stabilire al più presto il contatto con la sua trasmittente. Il veicolo di Jannika si fece sempre più piccolo, allontanandosi per la sua ricerca. Hugh inserì il pilota inerziale e si adagiò nelle cinghie di sicurezza per ricontrollare i dati dei suoi strumenti, operazione prettamente automatica dal momento che sapeva benissimo che era tutto in ordine. La maggior parte della sua attenzione era quindi libera di vagare.

Il panorama visibile dal velivolo era di un’imponenza titanica. Di sotto, le colline giacevano in chiazzate masse d’ombra, qua e là attenuate dall’argenteo filo che indicava il corso di un fiume o dalla presenza di precipizi e scarpate; l’Oceano Circolare, che divideva gli emisferi, stava trasformando in mercurio l’orizzonte orientale, mentre ad occidente, nel cielo, era visibile la scia lasciata dal doppio sole. Più in alto, si stendeva un nero vellutato che ad ogni battito del cuore di Hugh si copriva di un numero di stelle sempre maggiore; l’uomo vide un paio di lune, abbastanza vicine da mostrare i loro dischi illuminati su entrambi i lati, rossicci e bianchi, e ne riconobbe parecchie altre, che ad occhio nudo apparivano semplici punti luminosi ma che erano identificabili in base alle rispettive posizioni, mentre svolgevano il loro giro di sentinella intorno alle costellazioni. Basso sul livello del mare ardeva Argo… no, splendeva, perché le sue nubi superiori erano adesso in piena luce solare, bande di luminosità che solcavano una massa rosso cupo. Jason era vicino a passare davanti ad Argo, con un diametro angolare il cui angolo era ottuso per venti primi, ma Hugh ebbe qualche difficoltà ad individuarlo a causa della luce intensa.

Poi la spiaggia divenne visibile, ed Hugh attivò l’indicatore, facendo librare il suo velivolo nell’aria: una luce di segnalazione emise un bagliore verde, denunciando l’avvenuto contatto. Hugh fece allora sollevare il velivolo di tre chilometri abbondanti, in parte perché si voleva concentrare sui dati encefalici e quindi disporre del maggior spazio possibile per eventuali errori di pilotaggio, ed in parte perché si voleva tenere fuori dalla portata visiva ed uditiva dei nativi, per evitare che la sua presenza potesse influenzare le loro azioni. Dopo aver assunto una posizione stabile, collegò l’elmetto ricevente e se lo fissò in testa… non pesava molto… mettendolo in funzione. Trasmessi, amplificati, ridisposti e reintrodotti, gli eventi del sistema nervoso di Erakoum si mescolarono con quelli del sistema nervoso di Hugh.

Hugh non acquisi assolutamente la piena coscienza del dromide, perché la comunicazione e la traduzione erano troppo primitive. Aveva impiegato tutta la sua vita professionale per raggiungere con quella specie un’empatia sufficiente a permettergli, dopo un impiego di pazienza quale avevano potuto esercitare entrambi attraverso un arco di tempo di pochi anni, di cominciare a stento ad interpretare i segnali che raccoglieva. La velocità dei processi mentali dei nativi più che essere d’aiuto… attraverso la ripetizione ed il rafforzamento dei concetti… era d’ostacolo. Per abbozzare una rozza analogia, era come cercare di seguire una conversazione rapida ed appena udibile, perdendo molte parole, conversazione condotta in una lingua che non si conosceva molto bene. In effetti, nulla di ciò che Hugh percepiva era espresso verbalmente: erano impressioni visive ed uditive, un insieme di sensazioni, comprese quelle interiori come l’equilibrio e la fame, e compresi suggerimenti sognanti di sensi che Hugh non possedeva.

L’uomo vide il terreno passargli davanti, cespugli, rami, pendii, stelle e lune sopra alture scoscese; percepì il variare dei contorni e delle strutture mentre i piedi procedevano nel loro cammino; udì la moltitudine di bassi rumori circostanti, fiutò ricchi odori. Le impressioni erano interminabili, per lo più vaghe e fuggevoli, le migliori abbastanza forti da farlo uscire da se stesso e trascinarlo verso il suolo in un’unità con la creatura sottostante.

Le sensazioni più limpide, forse perché stimolavano le sue ghiandole, erano quelle dell’emozione e della decisione: Erakoum era decisa ad abbattere un volatore.

Sarebbe stata una notte lunga, e forse anche straziante, e Hugh prevedeva che avrebbe avuto bisogno di una dose o due di surrogato di sonno, perché gli uomini non erano mai riusciti a liberarsi degli antichi ritmi della Terra, mentre i dromidi sonnecchiavano saltuariamente e gli uranidi cadevano… in sogni ad occhi aperti. In contemplazione?

Come altre volte in precedenza, Hugh si domandò come fosse il rapporto stabilito da Jan con il suo nativo e pensò che non sarebbero mai riusciti a descriversi a vicenda ciò che condividevano con quegli alieni.

*** Ben addentro nelle colline, lo Sciame di A’i’ach trovò un grande raccolto di ali-di-stella. Quelle cime erano meno fittamente boscose delle terre basse, il che era un bene, perché la preda luminosa non volava mai molto in alto e, se costretto a scendere al di sotto della chioma di una foresta, il Popolo diveniva vulnerabile agli attacchi delle Bestie. Qui c’era una buona quantità di terreno aperto, coperto d’erba e cosparso di massi, che si stendeva fra le ombre degli alberi. Uno stretto dirupo attraversava una di quelle radure, una spaccatura orlata d’oscurità.