Come un’interminabile pioggia di scintille, le ali-di-stella danzavano, saettavano, schivavano, innumerevoli, intente soltanto all’estasi del loro accoppiamento ed al Popolo che si nutriva di esse. Nonostante la cautela presente in lui, A’i’ach non poté resistere più di chiunque altro, ma si trattenne dall’emettere gas per discendere in fretta come fecero invece molti dei suoi compagni, perché questo avrebbe rallentato la risalita. Invece, contrasse il proprio globo e sprofondò, lasciandolo riespandere leggermente quando il variare della densità dell’aria lo richiedeva, e non fece fuoriuscire gas neppure per spingersi, preferendo pompare ritmicamente e far lavorare il proprio sifone insieme alla brezza per zigzagare a bassa velocità. Non c’era fretta, e le ali-di-stella erano più numerose di quanto lo Sciame fosse in grado di mangiarne. Molte di quelle creature sarebbero fuggite, libere di deporre le uova per la covata dell’anno successivo.
Giunto in mezzo ai puntini luminosi, A’i’ach aspirò la prima boccata di prede, ed il loro gusto dolce e caldo gli cantò nella carne. Addensandosi fitto intorno a lui, sobbalzando, roteando, agitando ed arricciando i filamenti, riempiendo il cielo di musica, il resto del Popolo dimenticò ogni cautela, e l’amore ebbe inizio. Non era privo di scopo, anche se, senza acqua in cui cadere, i semi pollinati non sarebbero germogliati, perché quell’amore creava un’unità. La polvere di vita fluttuava come fumo sotto la luce di Ruii, ed il sapore, l’odore, la vista di essa rendevano febbrile quella gioia che era stata destata dalla festa delle ali-di-stella. A’i’ach si accoppiò ripetutamente, ebbe l’impressione di uscire dal proprio corpo, di diventare una cellula di un singolo essere divino che era di per se stesso un tornado d’amore. Un giorno, quando avesse avvertito su di sé il peso degli anni, si sarebbe allontanato verso ovest oltre il mare, verso il gelido Oltre, e là, cedendo l’estremo calore del suo corpo, avrebbe ottenuto per il suo spirito la ricompensa agognata, la Promessa che per sempre tutto sarebbe stato com’era adesso in questa breve notte…
Risuonò un ululato, alcune sagome uscirono a balzi da sotto gli alberi, venendo all’aperto, ed A’i’ach vide una lancia trapassare il globo vicino al suo: il sangue sprizzò ed il gas fuoriuscì sibilando, e la forma che si contorceva cadde come una foglia morta. I filamenti si agitavano ancora quando una Bestia afferrò il globo durante l’ultimo stadio della caduta ed affondò in esso le zanne.
Nella folla che lo circondava e nella confusione che seguì, A’i’ach non riuscì a vedere quanti altri venivano uccisi: la maggior parte dei suoi compagni stavano fuggendo, levandosi fuori portata dei proiettili, e quelli di loro che erano armati lasciavano cadere sassi e rami di ü anche se era improbabile che riuscissero ad uccidere qualche Bestia.
A’i’ach aveva rilassato i muscoli del suo globo ed era saettato immediatamente verso l’alto; una volta al sicuro, avrebbe potuto unirsi al resto dello Sciame per vagare in cerca di un altro luogo dove riprendere la festa interrotta, ma la rabbia ed il dolore erano troppo violenti dentro di lui. Con una parte remota del suo io, A’i’ach si meravigliò di questo, perché solitamente il Popolo non si affliggeva troppo per la morte di una Persona: doveva essere quella cosa che aveva addosso, e che in qualche modo gli sussurrava frasi misteriose…
Ed aveva un coltello!
Consumando gas senza riguardo, planò in basso, girando intorno: la maggior parte delle Bestie era svanita fra gli alberi, ma ne rimanevano alcune, intente a divorare le vittime; A’i’ach volò ad un’altitudine che rasentava i limiti della prudenza ed attese la sua occasione. Dal momento che non poteva lasciarsi cadere come una roccia, doveva fare una finta in direzione di una delle Bestie, colpirne rapidamente un’altra e poi risalire per attaccare ancora.
Un leggero raggio di luce si levò verso di lui, proveniente dalla testa di una Bestia che era appena emersa dall’ombra e si era arretrata, fissando lo sguardo ardente verso l’alto.
La volontà di A’i’ach si rafforzò ulteriormente: laggiù c’era un mostro che aveva il suo stesso tipo di legame con gli uomini, e se lui, A’i’ach aveva ottenuto un coltello da loro, cosa poteva aver ottenuto e cosa poteva ancora ottenere quell’essere per fare un male ancora maggiore? Se non altro, la sua uccisione avrebbe potuto sconvolgere i suoi compagni ed indurli a riflettere sul loro comportamento assassino.
A’i’ach avanzò verso lo scontro mentre intorno a lui le ali-di-stella danzavano allegramente e si accoppiavano. ***
Jannika impiegò più di un’ora prima di riuscire ad effettuare il contatto. Un uranide non poteva fare in modo di trovarsi in un punto preciso ad un’ora prestabilita, ed il suo contatto l’aveva semplicemente informata, mentre sintonizzava la trasmittente su di lui, che il suo gruppo si trovava attualmente nelle vicinanze del Monte Mac Donald. Jannika si era recata laggiù ed aveva sondato in ogni direzione nell’oscurità sempre più fitta, fino a quando il suo indicatore era diventato verde. Avendo stabilito il collegamento, si era portata a tre chilometri di altitudine ed aveva innestato l’autopilota perché descrivesse alcuni lenti cerchi; di tanto in tanto, man mano che il soggetto della sua analisi si spostava verso nordovest, Jannika variava a sua volta il centro dei suoi cerchi.
A parte questo, stava cercando di diventare il suo uranide. Naturalmente era una cosa impossibile, ma, attraverso questi sforzi, lei stava apprendendo cognizioni che non avrebbe mai potuto scoprire attraverso il linguaggio parlato. I costumi del popolo, le credenze, la musica, le poesie, il balletto aereo, cose che non avrebbe mai potuto conoscere per quelle che erano se si fosse limitata ad osservarle dall’esterno. E ce n’erano altre presenti più in profondità dentro di lei, più tenui ma più potenti… cose che però non avrebbe potuto scrivere in un rapporto scientifico: un senso di gioia, di nostalgia, di vento, di lucentezza; di profumi, di nubi, di pioggia, di distanza immense, un senso di ciò che rappresentava l’essere un abitatore del cielo. Non era una cosa completa, no… solo poche occhiate incerte e difficili da ricordare in seguito e che la trasportavano lo stesso in un nuovo mondo che splendeva di meraviglie.
La sensazione era raddoppiata stanotte dall’eccitazione di A’i’ach, e le impressioni di Jannika in merito a ciò che l’uranide stava provando non erano mai state più forti o acute di così: si trovò a fluttuare sulle correnti d’aria, posseduta dagli odori vitali e dai canti, scoprì di essere una goccia in un oceano al di sotto di Ruii il possente, scoprì che non esisteva una casa da desiderare disperatamente perché dovunque era casa.
Lo Sciame giunse infine dove c’era uno sciame di lucciole e l’universo di Jannika si fece di colpo selvaggio.
Per un momento, terrorizzata, Jannika fu sul punto di chiudere la cuffia, ma la ragione le arrestò la mano: quello che stava accadendo era soltanto la manifestazione estrema di ciò cui aveva partecipato fino ad allora. Gli uranidi ingurgitavano raramente molto cibo in una volta sola, e, quando lo facevano, questo aveva un effetto intossicante su di loro. Jannika percepì anche la sessualità dei festeggiamenti, ma la maschilità di A’i’ach era troppo irreale per disturbarla, come invece la femminilità del suo dromide aveva disturbato Hugh quando la creatura si era accoppiata ed aveva in seguito perso i primi quarti posteriori. Quella notte, gli uranidi stavano facendo una grande festa, e Jannika si arrese ad essa, in un crescendo costante, giungendo a desiderare di avere un uomo là con lei ma poi rifiutando l’idea perché questo avrebbe offuscato quel sacro splendore, la Promessa, la Promessa!