Era un Berretto della Libertà… il primo che avessi mai visto. Feci per passare, ma il ragazzo mi sbarrò la strada con un braccio e piazzò la faccia a pochi centimetri dalla mia. — Biglietto!
— Mi dispiace — dissi. — Non lo sapevo. Dove si compera?
— Non si compera.
— Ripeti, per favore — dissi. — Non ho sentito bene.
— Nessuno può entrare senza un invito che garantisca per lui. Chi sei?
— Sono Manuel Garcia O’Kelly — risposi, con cautela — e tutti i vecchi mi conoscono. Chi sei tu?
— Non ti riguarda. O tiri fuori il biglietto con regolare contromarca, o te ne vai fuori di qui.
Chissà se quel ragazzo contava di vivere a lungo. I turisti spesso notano quanto sono gentili gli abitanti della Luna… con il commento sottinteso che non si aspettavano di trovare tanto civile una ex prigione. Essendo stato sulla Terra e avendo visto come si comportano laggiù, so che cosa intendono. È inutile dire che noi siamo quello che siamo perché i cattivi soggetti hanno vita breve sulla Luna.
Non avevo però intenzione di fare a pugni, nonostante il comportamento da teppista di quel giovanotto: mi limitai a pensare a come sarebbe stata attraente la sua faccia se gli avessi accarezzato la bocca con il braccio numero sette.
Ma era una semplice riflessione. Stavo per rispondere cortesemente, quando vidi all’interno Shorty Mkrum. Shorty era un gigantesco negro, alto due metri, deportato sul Sasso per omicidio, ed era l’uomo più gentile e servizievole con il quale avessi mai lavorato. Gli avevo insegnato a perforare la roccia con i raggi laser, prima che mi bruciassi il braccio. — Shorty!
Mi udì e mi sorrise. — Salve, Mannie! — Si avvicinò. — Sono contento che tu sia venuto, Man!
— Non sono certo di essere venuto — dissi. — C’è un posto di blocco.
— Non ha il biglietto — spiegò il giovanotto.
Shorty infilò la mano nella sua borsa e me ne porse uno. — Ora ce l’ha. Entra, Mannie.
— Mostrami la contromarca — insistette il giovane.
— È la mia contromarca — disse Shorty gentilmente. — Va bene, tovarisch?
Nessuno discuteva con Shorty… Ancora non riesco a capire come fosse rimasto coinvolto in un omicidio. Ci avviammo verso il palcoscenico dove c’era la fila di poltrone riservate ai pezzi grossi. — Voglio presentarti una ragazzina simpatica — mi disse Shorty.
Era una ragazzina solo per Shorty. Io non sono basso, sono un metro e settantacinque; ma lei era più alta. Era esattamente un metro e ottanta, come appresi più tardi, e pesava settanta chili; era tutta curve, e bionda quanto Shorty era nero. Conclusi che doveva essere stata deportata, dato che la carnagione difficilmente rimane così chiara sulla Luna, alla seconda generazione. Un viso simpatico, molto bello, una massa di riccioli biondi a corona e la struttura solida ma slanciata, deliziosa.
Mi fermai a tre passi di distanza per osservarla da capo a piedi, e fischiai di ammirazione. Rimase immobile per un istante poi fece un cenno di ringraziamento, ma molto asciutto. I complimenti la seccavano, non c’era dubbio. Shorty attese che i preliminari dell’incontro fossero terminati, poi disse a voce bassa: — Wyoh, questo è il compagno Mannie, il miglior minatore che abbia mai perforato una galleria. Mannie, questa ragazzina si chiama Wyoming Knott ed è venuta apposta per dirci come vanno le cose a Hong Kong. Non è carino da parte sua?
Ci toccammo le mani e lei guardò la mia testa senza copricapo. — Allora sei un minatore. Shorty, dov’è il suo Berretto? Pensavo che i minatori qui fossero organizzati. — Lei e Shorty indossavano l’identico piccolo copricapo rosso che portava il ragazzo alla porta, come forse un terzo dei presenti.
— Non faccio più il minatore — spiegai. — Lo facevo prima di perdere quest’ala. — Sollevai il braccio mostrandole la linea di congiunzione fra la protesi e il braccio in carne e ossa. Non ho paura di richiamare l’attenzione delle donne su questa mia menomazione: ne allontana alcune, ma suscita in altre l’istinto materno… — Attualmente faccio il tecnico dei calcolatori.
— Sei un servo dell’Ente? — mi chiese con voce aspra.
Persino adesso che il numero delle donne sulla Luna è pari a quello degli uomini, sono troppo all’antica per essere sgarbato con una donna, in qualsiasi occasione. Hanno, in troppa misura, le qualità di cui noi uomini manchiamo. Ma lei aveva messo il dito sulla piaga e risposi con quasi altrettanta asprezza: — Non sono un dipendente del Governatore. Lavoro per l’Ente in base a contratti privati.
— Allora va bene — disse lei, con voce di nuovo calda. — Tutti quanti facciamo affari con l’Ente, non possiamo evitarlo; è proprio questo il guaio. Ed è proprio questo che cambieremo.
Davvero? E come? pensai. Tutti hanno rapporti d’affari con l’Ente per la stessa ragione per cui hanno rapporti con la Legge di Gravità. Cambieremo anche questa? Tenni però i pensieri per me.
— Mannie è un tipo fidato — aggiunse gentilmente Shorty — garantisco io per lui. Ecco un cappello — e infilò una mano nella borsa. Fece per mettermelo in testa.
Wyoming Knott glielo tolse di mano. — Garantisci tu per lui?
— L’ho detto.
— Bene. Ecco come facciamo a Hong Kong. — Wyoming mi si avvicinò, mi mise il cappello in testa… e mi baciò sulla bocca.
Fece le cose senza fretta. Essere baciati da Wyoming Knott è un’esperienza molto più definitiva che essere sposati, nella maggioranza dei casi di matrimonio. Se fossi stato Mike, le mie luci si sarebbero accese tutte contemporaneamente.
Infine mi resi conto che il bacio era finito e che la gente intorno a me stava fischiando. Battei le palpebre e dissi: — Sono lieto di essere diventato socio. Ma socio di che cosa?
— Non lo sai? — mi chiese Wyoming.
Intervenne Shorty. — Il raduno sta per cominciare… lo scoprirà da solo. Siediti, Man. Siediti, per piacere, Wyoh. — Ci sedemmo proprio mentre un uomo stava battendo sul tavolo con un martelletto.
Con il martelletto e un altoparlante a pieno volume l’uomo riuscì a farsi sentire. — Chiudete le porte! — gridò. — È un raduno a porte chiuse. Controllate chi siede davanti a voi, dietro a voi, vicino a voi. Se vedete qualcuno che non conoscete, e se nessuno di vostra conoscenza può garantire per lui, cacciatelo fuori!
— Cacciarlo fuori? No, all’inferno — gridò una voce — bisogna eliminarlo dalla porta stagna più vicina.
— Calma, per favore! Un giorno o l’altro lo faremo. — Ci fu fermento tutto intorno, e una zuffa, al termine della quale fu strappato un cappello rosso dalla testa di un uomo. Il proprietario del copricapo fu scaraventato fuori, e navigò con grazia attraverso una porta laterale. Dubito che si accorgesse di quello che gli accadeva; doveva essere in stato di incoscienza. Anche una donna fu scacciata, gentilmente. Ma non fu gentile lei, e fece violenti commenti sul conto delle persone che l’avevano buttata fuori. Io mi sentii imbarazzato.
Le porte vennero infine chiuse. Cominciò a suonare una marcia, e una bandiera fu fatta sventolare al di sopra del palcoscenico. Portava scritte tre parole: Libertà, Fraternità, Uguaglianza. Tutti si misero a fischiare e alcuni cominciarono a cantare, a voce spiegata e stonati: Destatevi, prigionieri della fame…
Non posso dire che ci fossero intorno persone denutrite. Però la canzone mi ricordò che non mangiavo dalle due del pomeriggio; speravo che il raduno non sarebbe durato a lungo. Questo pensiero mi fece venire in mente che il registratore che avevo portato con me funzionava solo per due ore e mi fece anche venire in mente che cosa sarebbe successo se si fossero accorti che ce l’avevo. Mi avrebbero fatto volare dalla porta, facendomi rompere le ossa per terra? O mi avrebbero eliminato? Non mi preoccupai troppo, però. Avevo costruito io stesso il registratore, servendomi del braccio numero tre: soltanto un tecnico specializzato in manufatti miniaturizzati si sarebbe reso conto di che cos’era.