Выбрать главу

— Come? Naturalmente, naturalmente! Graziosissima ragazza! E che cosa è successo di quella bellissima africana… non ricordo più il nome? Si è arrabbiata con noi?

— Greg?

— L’ho proposta io.

— Manuel? Vuoi mettere per caso il veto?

— Io? Perché? Mi conosci bene, Mum.

— Io sì. A volte mi chiedo se tu conosci te stesso. Hans?

— Che cosa succederebbe se dicessi di no?

— Ti troveresti con qualche dente in meno, ecco tutto — rimbeccò prontamente Lenore. — Hans vota sì.

— Basta, cari — disse Mum con una dolce nota di rimprovero. — Un’opzione è una cosa seria. Hans, rispondi tu.

— Da. Ja. Oui. Yes. Sì. È ora che ci sia finalmente una bella biondina in questa… Ahi!

— Smettila, Lenore. Frank?

— Sì, Mum.

— Ali, caro? Siamo tutti d’accordo?

Il ragazzo si fece rosso fino alle orecchie e non riuscì a parlare per l’emozione. Fece un vigoroso cenno affermativo con la testa.

Invece di nominare un marito e una moglie che andassero in delegazione a prendere Wyoh e le proponessero di optare a sua volta per noi, Mum mandò Ludmilla e Anna. Wyoh non era lontana e venne subito.

Questa non fu l’unica irregolarità. Invece di stabilire la data per il matrimonio e organizzare una festa nuziale, furono chiamati i bambini e dopo venti minuti Greg era già pronto con il libro aperto e tutti pronunciammo il sì definitivo… e finalmente riuscii a far entrare nella mia testa confusa che la cerimonia era stata organizzata a rompicollo perché l’indomani sarebbe stato il mio turno di rischiare l’osso del collo.

Non che fosse importante, se non come simbolo dell’amore della mia famiglia verso di me, dato che la nuova sposa doveva trascorrere la prima notte con il decano dei mariti e io sarei stato nello spazio la seconda e terza notte. Però era ugualmente importante, e quando le donne cominciarono a piangere di commozione durante la cerimonia, anch’io sentii venirmi le lacrime agli occhi, proprio come loro.

Poi me ne andai a letto, solo nella mia officina, dopo che Wyoh ci ebbe baciati tutti e se ne fu andata con Granpà.

Ero maledettamente stanco: gli ultimi due giorni erano stati terribili. Pensai che avrei dovuto esercitarmi con i pesi, ma decisi che era troppo tardi per preoccuparmene. Avrei forse dovuto chiamare Mike per avere le ultime notizie della Terra. Invece me ne andai a dormire.

Non so da quanto tempo stavo dormendo, quando mi resi conto che ero sveglio e che c’era qualcuno nella mia stanza.

— Manuel? — sussurrò nell’oscurità una voce.

— Eh? Wyoh, non dovresti essere qui, cara.

— E invece sì, marito mio. Mum sa che sono qui e lo sa anche Greg. Granpà si è addormentato subito.

— Ah! Che ore sono?

— Le quattro circa. Ti prego, caro, posso venire a letto?

— Come? Oh, certamente. — C’era una cosa che dovevo fare… Ah, ecco. — Mike!

— Sì, Man? — mi rispose immediatamente.

— Stacca il telefono diretto. Non ascoltare. Se hai bisogno di me, chiamami al numero di casa.

— Lo so, me l’aveva già detto Wyoh. Congratulazioni, Man!

Poi una testa bionda si appoggiò alla mia spalla e io la cinsi con il braccio destro. — Perché piangi, Wyoh?

— Non piango! Sono terrorizzata all’idea che tu possa non tornare più!

4

Mi svegliai atterrito nell’oscurità più totale. — Manuel! — Non riuscivo a capire dove mi trovavo. — Manuel! — chiamò di nuovo la voce. — Svegliati!

Incominciai a raccapezzarmi: era il segnale stabilito per farmi tornare alla coscienza. Ricordavo che mi avevano fatto sdraiare su un lettino dell’infermeria, con una luce che mi abbagliava e una voce che parlava lenta e monotona; mi avevano iniettato un liquido nelle vene. Ma era accaduto centinaia di anni fa e da allora la mia vita era stata un infinito succedersi di incubi, di pressioni insopportabili, di dolore.

Mi rendevo conto di che cosa fosse questa sensazione di eternità: caduta libera. Navigavo nello spazio.

Che cosa si era guastato? Forse Mike si era dimenticato di tenere conto di un decimale? O si era lasciato vincere dalla sua natura infantile per giocarmi uno dei suoi tiri, senza rendersi conto che avrebbe potuto uccidermi? Ma allora perché, dopo tanti anni di dolore, ero ancora vivo? O questa era la sensazione che normalmente prova uno spirito nel trovarsi solo, sperduto nel nulla?

— Svegliati, Manuel! Svegliati!

— Oh, smettila! — ringhiai. Ogni parola era registrata, ma non me importava niente. Dov’era quel maledetto interruttore? No, ovviamente non ci voleva un secolo di sofferenze per superare la velocità di fuga della Luna con un’accelerazione di solo tre gravità. Era una semplice sensazione psicologica. Ottantadue secondi, in realtà… ma il sistema nervoso di un uomo, in quelle circostanze, sente il passare dei microsecondi. A tre gravità, il peso di un Lunare aumenta almeno di diciotto volte.

Impiegai i successivi dieci anni a liberarmi delle cinghie, poi fui condannato a fluttuare per vent’anni nel buio prima di ritrovare le pareti della mia culla, scoprire da che parte era la testa e individuare l’interruttore.

Una volta accesa la luce, lo spazio si ridusse a dimensioni da claustrofobia. Diedi uno sguardo a Prof. Sembrava morto. Aveva la bocca semiaperta e gli occhi fissi nel vuoto.

Trovai il tempo di riflettere e anche di sentire lo stimolo della sete. Bevvi una mezza sorsata, non di più, perché non volevo trovarmi a sei gravità con lo stomaco pieno d’acqua.

Quando il viaggio stava per finire, decisi che un’altra dose di droga avrebbe fatto bene a Prof prima dell’accelerazione finale, poi, entrati nell’orbita di parcheggio, gli somministrai uno stimolante cardiaco che certamente non gli avrebbe potuto far male.

Impiegai tre ore per decidermi se prendere anch’io una droga per l’atterraggio. Decisi di no. La droga che mi avevano iniettato alla partenza, al momento di essere scagliato nello spazio dalla catapulta, aveva avuto il solo effetto di farmi vivere un secolo di incubi invece che un minuto e mezzo di dolore e due giorni di noia… E inoltre, se i pochi minuti in cui avvenivano le manovre di atterraggio dovevano essere gli ultimi della mia vita, preferivo rimanere cosciente. Per quanto dolorosi, erano pur sempre una parte della mia vita e non volevo rinunciarvi.

Furono orribili. Sei gravità non furono meglio delle dieci iniziali: mi parvero anzi più insopportabili. La situazione non migliorò quando passammo a quattro gravità. Sentii una scossa violenta, poi, all’improvviso, riprendemmo per pochi secondi la caduta libera. Infine venne l’urto, che non fu affatto dolce e che prendemmo dalla parte delle cinghie invece che contro l’imbottitura, dato che precipitammo a testa in giù. Per di più, e non credo che Mike se ne sia reso conto, dopo la prima caduta e relativo urto, rimbalzammo di nuovo in alto e ricademmo con un altro duro tonfo. Poi la chiatta galleggiò immobile nell’acqua.

Il mio stomaco avrebbe dovuto essere vuoto. Ma riempii ugualmente il casco col più amaro e disgustoso liquido che si possa immaginare. Poi la chiatta si girò mandandomi a gambe all’aria e mi ritrovai quel liquido sui capelli, negli occhi, perfino nel naso. È quello che i Terrestri chiamano mal di mare, ed è uno dei tanti orrori che loro danno per scontato.

Non sto a raccontare del lungo periodo necessario per rimorchiarci in porto. Dirò soltanto che, oltre al mal di mare, le bombole di ossigeno si stavano esaurendo: ognuna conteneva la riserva necessaria per dodici ore e fra tutte erano più che sufficienti per un viaggio di cinquanta ore, soprattutto calcolando che ero rimasto per molto tempo in stato di incoscienza e che non avevo fatto nessuno sforzo fisico; ma non furono sufficienti a far fronte alle lunghe ore che perdemmo nelle operazioni di rimorchio. Quando finalmente la chiatta giunse a destinazione, ero troppo debole per preoccuparmi di saltare fuori.