Ero fiero di Mike. Mi aveva fatto rispondere con la giusta intonazione, la voce strozzata dall’emozione. Lo farò, Greg… e, senti, anche noi ti vogliamo bene. Lo sai, vero?
Lo so, Mannie… dirò una preghiera speciale per te.
Grazie, Greg.
Ciao, Mannie. Vai a fare quello che devi.
Tornai ai miei doveri. Non eravamo pronti, ma non saremmo mai stati più preparati di così.
La guerra per la libertà della Luna era scoppiata.
17
La controffensiva era scattata. Mike aveva fatto la mia parte anche meglio di come l’avrei fatta io. Finn avrebbe preso ordini da Mike. Me ne andai subito a portare a Mum il messaggio d’amore di Greg. Lei aveva addosso la tuta e stava aiutando Granpà a mettersela, per la prima volta da molti anni. Tutta la famiglia era in piena attività. Tranquillizzato, uscii con l’elmetto in testa e il fucile sottobraccio.
La porta stagna numero tredici era bloccata dall’esterno, e dall’oblò non vidi nessuno nei paraggi. Era tutto a posto, salvo che i ragazzi incaricati della guardia alle porte stagne avrebbero dovuto trovarsi nei pressi. Non era molto utile bussare alla porta, comunque ci provai, senza successo.
Desistetti e tornai sui miei passi. Oltrepassai casa nostra, le gallerie coltivate, e raggiunsi la porta stagna che conduce in superficie, dove teniamo le batterie solari.
Scorsi un’ombra sull’oblò che avrebbe dovuto essere illuminato dal sole: quei maledetti Terrestri erano scesi sopra la Galleria Davis! I sostegni dell’astronave formavano un gigantesco treppiede sopra la mia testa, e i miei occhi guardavano diritti negli ugelli dei retrorazzi.
Tornai rapidamente indietro richiudendo i boccaporti, poi ripercorsi la strada fatta, chiudendomi accuratamente alle spalle tutte le porte stagne. Quindi misi al corrente Mum, consigliandole di mettere uno dei ragazzi a guardia della porta con il fucile a raggi laser: volevo darle il mio.
Ma erano tutti scomparsi, ragazzi, uomini, donne: erano rimasti solo Mum, Granpà e i bambini. Mum non volle il fucile. — Non so usarlo, Manuel, ed è troppo tardi per imparare, tienilo tu. Ma vedrai che non metteranno piede nelle Gallerie Davis. Conosco alcuni trucchi che non ti sogni nemmeno.
Non ribattei. Discutere con Mimi è una perdita di tempo, e in quanto ai trucchi non avevo dubbi: era vissuta a lungo sulla Luna e in condizioni ben peggiori di quelle che avevo trovato io venendo al mondo.
Quando tornai alla porta stagna numero tredici, c’erano due ragazzi di guardia. Mi fecero passare, e io chiesi loro le ultime notizie.
— La pressione è tornata normale, adesso — mi disse il maggiore. — Almeno in questo livello. Si sta combattendo nei corridoi esterni. Sentite, generale Davis, posso venire con voi? A questa porta basta uno di guardia.
— Nyet.
— Voglio uccidere uno di quei vermi!
— Il tuo posto è qui e qui devi rimanere. Se il verme viene da te, è tuo. Ma stai attento a non farti prendere da lui! — Me ne andai di corsa.
Così, per aver dimenticato a casa la tuta a pressione, della Battaglia dei Corridoi vidi solo le fasi finali. Bel ministro della Difesa!
Mi diressi a nord, lungo il corridoio anulare, con l’elmetto aperto, e raggiunsi la lunga rampa di accesso che conduceva alla Causeway, uno dei corridoi di scorrimento. La porta stagna era aperta. Lanciai una maledizione, e la richiusi alle mie spalle, avanzando con cautela. E vidi perché era rimasta aperta. Il giovane di guardia era morto. Percorsi ancora più lentamente la rampa ed entrai nella Causeway.
Da quella parte non c’era nessuno, ma sentivo venire il rumore della lotta dal centro, all’estremità opposta del corridoio. Due uomini in tuta, con il fucile spianato, avanzavano verso di me. Li bruciai entrambi con il laser.
La gente in tuta e con un fucile imbracciato si assomigliava tutta. Non potevo certo distinguere gli uomini di Finn dai Terrestri, a quella distanza. Ma sparai senza nemmeno riflettere. Un nuovo venuto non si muove come un Lunare: solleva troppo i piedi e avanza quasi barcollando. Non voglio dire di aver pensato o di aver analizzato il loro comportamento. Appena li vidi li bruciai. Prima che si rendessero conto di quello che succedeva stavano già scivolando lentamente a terra. Mi fermai per strappare loro i fucili. Ma li tenevano incatenati al braccio e non riuscii a capire come dovevo fare per toglierli. Forse ci voleva una chiave.
Inoltre non erano a raggi laser, ma un modello che non avevo mai visto: veri fucili. Capii più tardi che sparavano piccoli missili esplosivi. Ma allora non avrei saputo come usarli. Avevano un coltello acuminato in punta, lo chiamavano baionetta, ed era questa la ragione per cui volevo impossessarmene. I nostri fucili servivano solo per fare dieci potenti bruciature, senza energia di riserva, mentre quelle baionette sarebbero state molto utili una volta scaricato il fucile. Su una vidi macchie di sangue, sangue lunare, ritengo.
Rinunciai all’impresa dopo pochi secondi. Assicuratomi con una coltellata che quei morti rimanessero morti, mi slanciai verso il centro della battaglia, con il dito sul grilletto.
Era una mischia, non una battaglia. O forse tutte le battaglie sono così: confusione, rumore e nessuno che sappia cosa sta succedendo. Nel punto più largo della Causeway, di fronte a Bon Marché, dove la Grande Rampa scende a nord dal livello tre, erano raggruppate parecchie centinaia di Lunari, uomini, donne e bambini, che avrebbero dovuto essere al sicuro in casa. Più della metà erano senza tuta e solo pochi parevano armati. Dalla rampa scendevano frotte di soldati terrestri, tutti in armi.
La cosa che più mi colpì fu il rumore, che mi riempì l’elmetto aperto assordandomi, come un latrato immenso. Non saprei definirlo altrimenti. Raccoglieva in sé tutta la collera di cui la gola umana sia capace, dagli strilli dei bambini al ruggito degli adulti inferociti. Pareva la più gigantesca battaglia di cani della storia. Improvvisamente, mi resi conto che anch’io stavo facendo la mia parte, urlando oscenità e grida senza senso.
Una ragazza non più grande di Hazel volteggiò sulla ringhiera della rampa e risalì a passo di danza a pochi centimetri dalle spalle dei soldati che scendevano. Era armata con un oggetto che pareva un coltello da cucina e lo faceva mulinare in aria, colpendo a destra e a sinistra. Le ferite non dovevano essere mortali, soprattutto a causa delle spesse tute a pressione, tuttavia un soldato cadde e gli altri gli rotolarono addosso. Poi uno di loro colpì la ragazza alla coscia con un colpo di baionetta, e lei precipitò all’indietro dalla ringhiera, scomparendo alla mia vista.
Non ho un’immagine chiara di quello che accadde, solo vaghi ricordi, visioni, come quella della ragazza che precipitava nel vuoto. Non so chi fosse, ne se sia sopravvissuta. Dal punto in cui mi trovavo inizialmente non potevo sparare, perché c’erano di mezzo troppe teste. Davanti a un negozio di giocattoli, alla mia sinistra, vidi un banco di esposizione; vi balzai sopra e riuscii a distinguere chiaramente i vermi terrestri che strisciavano sul selciato della Causeway. Mi tenni contro la parete e presi la mira, cercando di colpirli al cuore.
Trascorso un periodo di tempo che mi parve infinito, mi resi conto che il fucile non funzionava più e dovetti smettere. Penso che per colpa mia almeno otto di quei soldati non sono tornati a casa, ma non mi fermai a fare i conti. Il tempo pareva non passare mai. Sebbene tutti si muovessero alla massima velocità, mi pareva di assistere a un film proiettato al rallentatore.
Una o due volte un Terrestre, che aveva individuato la mia posizione, cercò di rispondere al fuoco. Un colpo passò appena sopra la mia testa e sentii cadere sull’elmetto frammenti della parete del negozio.
Finita la riserva di energia del fucile, balzai giù dal banco e usando il fucile come una mazza mi unii alla folla che si accalcava ai piedi della rampa. Per tutto questo tempo infinito (cinque minuti?) i Terrestri avevano continuato a sparare nella mischia; si sentivano le esplosioni sorde che i missili facevano colpendo la carne viva o quelle secche e più forti contro i muri o gli oggetti solidi.