Mi distesi piegando le ginocchia per rimanere in ombra e scrutai la zona di cielo indicata, quasi allo zenith, e leggermente verso sud. Quando i raggi del sole non colpivano il mio elmetto riuscivo a vedere le stelle, ma era difficile inquadrarle attraverso il binocolo: dovetti girarmi e sollevarmi su un gomito.
Niente… un momento, era una stella a forma di disco. … e in quel punto non avrebbe dovuto esserci nessun pianeta. Scorsi vicino a essa un’altra stella, continuai a guardare e rimasi in attesa.
Ah, ah! Già. Stava diventando più luminosa e scivolava lentamente in direzione nord… Ehi, quel disgraziato veniva ad atterrare proprio sopra noi!
Ma milletrecento chilometri sono una bella distanza, anche quando un’astronave si muove a velocità di caduta libera. Mi ripetei che non poteva cadere su di noi se si stava muovendo lungo un’ellisse circolare, ma sarebbe entrata in orbita intorno alla Luna… a meno che non avesse mutato traiettoria. Cosa che Mike non aveva menzionato, però. Volevo chiederglielo, poi decisi che era meglio non farlo. Preferivo che concentrasse tutta la sua capacità nell’analizzare il movimento della nave, senza distrazioni provocate da domande inutili.
Tutti gli artiglieri riferirono di avere puntato i pezzi. Erano a posto anche i quattro cannoni che Mike controllava direttamente con il dispositivo automatico. Questi quattro pezzi non avevano bisogno di alcun intervento manuale. Una buona notizia: voleva dire che Mike aveva risolto perfettamente anche quel problema.
Dopo breve tempo mi apparve chiaro che l’astronave non sarebbe rimasta in orbita ma si stava dirigendo verso la superficie lunare per atterrare. Non c’era nemmeno bisogno di chiedere una conferma a Mike. Diventava più grande di minuto in minuto e la sua posizione rispetto alle stelle non cambiava. Maledizione: stava per atterrare proprio sulla nostra testa.
— Cinquecento chilometri — riprese Mike con voce sempre calma. — Pronti per il fuoco. Ottanta secondi.
I più lunghi ottanta secondi della mia vita e quella maledetta astronave era enorme! Mike scandì i secondi dieci a dieci fino a meno trenta, poi li contò a uno a uno. — …cinque, quattro, tre, due, uno… Fuoco!
Improvvisamente la nave divenne molto più luminosa.
Non mi ero quasi accorto di una piccola macchia in movimento che si era staccata dalla nave un attimo prima della nostra bordata. Mike fu prontissimo: — Hanno lanciato un missile, le altre bocche da fuoco sulla nave. Pronti per le nuove coordinate.
Dopo pochi secondi (o ore?) diede le nuove coordinate e aggiunse: — Puntare a vista e fuoco a volontà.
Cercai di tenere d’occhio sia la nave sia il missile, ma li persi entrambi di vista. Tolsi il binocolo e all’improvviso scorsi il missile… poi ne seguii l’impatto, fra noi e la catapulta, a meno di un chilometro di distanza.
No, non esplose, almeno non un’esplosione termonucleare, se no non sarei qui a raccontarvelo. Ma produsse un’enorme palla di fuoco, probabilmente l’esplosione del carburante rimasto, una sfera di luce argentea, brillante anche in pieno sole. Subito dopo sentii le vibrazioni del suolo. Fece solo un buco nella roccia profondo pochi metri.
La nave continuava ad avvicinarsi. La vedevo bene, ora, e non mi pareva danneggiata. Mi aspettavo da un momento all’altro che si accendesse la lingua di fuoco dei retrorazzi per rallentare in un atterraggio dolce.
Invece non accadde niente di simile. Sentii il boato della caduta a una decina di chilometri verso nord e vidi la fantastica cupola di fuoco argenteo che si sollevava dal suolo. Poco dopo, dell’astronave rimasero solo poche macchie opache davanti ai miei occhi.
Udii la voce di Mike dire: — Rapporto sulle vittime, sicura ai cannoni, poi scendere immediatamente.
— Cannone Alice, nessun ferito…
— Cannone Bambi, nessun ferito…
— Cannone Caesar, un uomo ferito da una scheggia, pressione all’interno della tuta mantenuta.
Scesi anch’io e chiamai Mike. — Che cosa è successo, Mike? Perché non ti hanno lasciato guidare la nave dopo che le hai fatto saltare gli occhi?
— Mi hanno ceduto la guida, Manuel.
— Troppo tardi, allora?
— L’ho fatta precipitare, Man. Mi è sembrato più prudente.
Un’ora dopo ero da Mike, la prima visita che gli facevo da quattro o cinque mesi. Era più facile raggiungere le centrali sotterranee che la grotta di Luna City e da lì avevo la possibilità di mettermi in contatto con chi volevo, altrettanto in fretta che in città e per di più senza interruzioni. Avevo estremo bisogno di fare una lunga chiacchierata con Mike.
Avevo cercato di parlare con Wyoh alla stazione metropolitana della catapulta. Ero riuscito a comunicare con qualcuno dell’ospedale improvvisato alla Vecchia Cattedrale e mi era stato riferito che Wyoh aveva avuto un collasso ed era stata ricoverata. Le avevano dato un sonnifero e si sarebbe svegliata solo l’indomani. Finn era andato a Churchill con un gruppo di fucilieri per distruggere l’astronave che era atterrata là. Di Stu nessuna notizia. Hong Kong e Prof erano ancora isolati. Per il momento, pareva che gli unici rimasti sulla breccia fossimo io e Mike.
Ed era il momento di dare il via all’Operazione Massi Giganti.
Non si trattava soltanto di lanciare sassi sulla Terra: bisognava anche far sapere alla Terra che cosa volevamo fare e perché, e far capire a tutti la giusta causa per cui ci battevamo. Prof, Stu, Sheehan e Adam avevano lavorato intensamente al piano e avevano redatto una comunicazione alla Terra sulla base di un presunto attacco. Ora l’attacco si era verificato effettivamente e bisognava modificare quel documento. Mike aveva già apportato le modifiche necessarie e me lo stampò in modo che potessi leggerlo.
Alzai gli occhi dalla lunga striscia di carta. — Mike, queste notizie e il messaggio per le Nazioni Federate danno per certo che abbiamo vinto anche a Hong Kong. Come sembri sicuro!
— Probabilità superiori all’ottantadue per cento.
Feci un profondo sospiro. — Metti in esecuzione l’Operazione Massi Giganti.
— Vuoi dare tu stesso l’ordine?
— No, continua a fare a modo tuo. Serviti della mia voce e della mia autorità di ministro della Difesa e facente funzione di capo del governo. Forza, Mike, lanciagli addosso i sassi! Che siano grossi, maledizione. Devi fargli male!
— D’accordo, Man!
19
Il massimo di forza deterrente con il minimo numero di vittime. Se possibile, nessuna vittima, così Prof aveva riassunto la strategia dell’Operazione Massi Giganti ed era proprio quello che Mike e io ci apprestavamo a fare. L’idea era di colpire quei vermi di Terrestri con tanta violenza da convincerli, ma allo stesso tempo colpirli in modo da fare il minimo danno. Sembra una contraddizione, ma aspettate.
Sarebbe passato un certo periodo di tempo prima che i sassi lanciati dalla Luna giungessero sulla Terra: da un minimo di dieci ore a un massimo di quanto volevamo noi. La velocità di partenza da una catapulta è molto critica e una variazione dell’ordine dell’uno per cento è sufficiente a raddoppiare o dimezzare il tempo del percorso Luna-Terra. Mike poteva fare un lavoro molto preciso. Per lui era come lanciare una palla da baseball. Poteva imprimere una traiettoria lenta, con molte curve, oppure una traiettoria tesa, diritta contro il battitore: magari avesse fatto il lanciatore per gli Yankees! Ma comunque lanciasse i massi, la velocità finale dei nostri proiettili sarebbe stata vicinissima alla velocità di fuga della Terra, così vicina a undici chilometri al secondo da non notare differenza.
Mike era in grado di fare entrare in orbita intorno alla Terra i suoi missili e farli cadere su un bersaglio posto nella faccia a lui nascosta; ovviamente, però, potendo vedere il bersaglio sarebbe stato molto più preciso, avrebbe potuto controllare con il radar il masso negli ultimi istanti di caduta, dandogli magari una correzione di rotta per colpire l’obiettivo proprio nel centro.