L’estrema esattezza che Mike ci garantiva era un elemento essenziale per raggiungere il nostro scopo: informare i nostri bersagli dicendo loro esattamente quando e dove li avremmo colpiti, e concedere loro tre giorni di tempo per evacuare la zona minacciata.
Il nostro primo messaggio alla Terra, alle due della notte del 12 ottobre 2076, sette ore dopo l’inizio dell’invasione, non solo annunciava la distruzione delle forze d’assalto terrestri, denunciando la brutalità dell’azione, ma prometteva bombardamenti di rappresaglia, precisando tempi e luoghi e dando a ogni nazione minacciata una scadenza entro la quale poteva denunciare la politica delle Nazioni Federate, riconoscere lo Stato della Luna ed evitare così di essere bombardata. Il periodo di tempo concesso scadeva ventiquattro ore prima del bombardamento.
Era più di quanto avesse bisogno Mike. Ventiquattro ore prima dell’impatto, il masso diretto su un bersaglio terrestre sarebbe stato ancora nello spazio, a grande distanza dalla mèta, con i razzi per la correzione di traiettoria ancora inutilizzati e quindi con tutto il tempo e i mezzi per deviare dalla rotta. Mike avrebbe potuto addirittura evitare di colpire la Terra, immettendo i massi in orbita permanente intorno al pianeta, anche con preavviso molto inferiore a ventiquattro ore. Ma gli bastava anche un’ora sola, nella maggioranza dei casi, per far precipitare il proiettile nell’oceano.
Il nostro primo obiettivo era la Confederazione Nord Americana.
Avremmo colpito successivamente tutte le grandi potenze delle Nazioni Federate, le sette che avevano diritto di voto alla Grande Assemblea: oltre alla Confederazione Nord Americana, la Grande Cina, l’India, l’Unione Sovietica, la PanAfrica (a eccezione del Ciad), la Mitteleuropa e l’Unione Brasiliana. Avevamo scelto località da colpire anche nei paesi minori e avevamo fornito i relativi tempi di caduta, precisando però che soltanto il venti per cento di questi obiettivi sarebbe stato colpito: in parte per mancanza di acciaio, ma anche perché contavamo molto sulla paura. Se nel primo giro fosse stato colpito il Belgio, ad esempio, l’Olanda avrebbe potuto decidere di trattare con noi prima che la Luna ripassasse sopra il cielo.
Gli obiettivi erano stati tutti scelti in modo da evitare, per quanto possibile, di fare vittime. Fu piuttosto difficile nel caso della Mitteleuropa. I nostri bersagli dovevano essere l’acqua o le alte montagne, Adriatico, Mare del Nord, Baltico, eccetera. Ma in genere la Terra presenta anche vaste zone desertiche, nonostante i suoi undici miliardi di prolifici abitanti.
Il Nord America mi era sempre parso orribilmente affollato, ma il miliardo di cittadini è ammassato in pochi centri e numerosi sono i deserti, le distese aride, le montagne disabitate. Mike riteneva che un errore di cinquanta metri sul bersaglio previsto fosse perdonabile. Avevamo esaminato le mappe e Mike aveva controllato con il radar tutti i punti di coordinate intere, per esempio 150° ovest e 50° nord. Se il punto prescelto era deserto, lo includevamo nei nostri obiettivi, tanto più se la vicinanza a un luogo abitato garantiva la presenza di spettatori da terrorizzare.
Avvertimmo che le nostre bombe avrebbero avuto la potenza distruttiva di un piccolo ordigno termonucleare, ma spiegammo chiaramente che non vi sarebbe stato alcun pericolo di radiazioni atomiche, solo una terribile esplosione, seguita dall’onda d’urto e dallo spostamento d’aria. Precisammo che gli effetti secondari avrebbero potuto distruggere zone anche distanti dal centro dell’esplosione e che lasciavamo al giudizio dei Terrestri di stabilire la distanza di sicurezza. Se si riversavano tutti nelle strade bloccando il traffico per fuggire la propria paura invece che il vero pericolo… be’, peggio per loro.
Ripetemmo più volte che se si attenevano ai nostri avvertimenti non avrebbero corso rischi e che gli obiettivi della prima serie di lanci sarebbero stati tutti luoghi disabitati. Offrimmo perfino di rinunciare a colpire quelle zone per le quali le nazioni interessate ci avessero dimostrato l’inesattezza dei dati a nostra disposizione (offerta inutile: la visione radar di Mike non poteva sbagliare). Non dicendo che cosa sarebbe accaduto alla successiva rotazione della Terra, con la seconda serie di lanci, lasciammo capire che la nostra pazienza si sarebbe anche potuta esaurire.
Nel Nord America avevamo scelto i paralleli 35, 40, 45 e 50 nord al punto di incrocio con i meridiani 110, 115 e 120 ovest, per un totale di dodici obiettivi. Per ciascuno di essi aggiungemmo un amichevole messaggio, di questo tenore: "Obiettivo 115 ovest 35 nord: il punto di impatto sarà spostato di quarantacinque chilometri a nord-ovest, sulla cima del Picco New York. Abitanti di Goffs, Cima, Kelso e Nipton, per cortesia prendere nota.
"L’obiettivo 120 ovest 40 nord si trova a nord-ovest di Norton, Kansas (angolo di 30°) a una distanza di ventun chilometri o tredici miglia inglesi dalla città. Si avvertono gli abitanti di Norton e di Beaver City e Wilsonville, nel Nebraska, di tenersi lontani dalle finestre e di rimanere in casa per almeno trenta minuti dopo l’esplosione per evitare il pericolo di schegge. Sarà inoltre pericoloso guardare a occhio nudo il lampo prodotto dal proiettile. L’obiettivo sarà colpito esattamente alle tre del mattino, ora locale, di venerdì 16 ottobre, corrispondenti alle ore nove di Greenwich. Buona fortuna!
"Obiettivo 110 ovest 50 nord: bersaglio spostato di dieci chilometri a nord. Abitanti di Welsh prendere nota."
Scegliemmo inoltre un bersaglio anche in Alaska e due nel Messico, perché non si credessero dimenticati, e numerosi nell’affollata fascia centrale, soprattutto nella regione dei grandi laghi, come per esempio il lago Michigan, a metà strada fra Chicago e le Cascate del Niagara, e nel lago Okichobi in Florida. In tutti i casi di obiettivo nell’acqua, Mike aveva accennato al pericolo di inondazioni.
Per tre giorni, dall’alba di martedì 13 fino al momento del primo bombardamento di venerdì 16 invademmo la Terra di annunci. Dalle scogliere di Dover al Deserto del Gobi, dal Lago Vittoria alle Piramidi d’Egitto, tutti ricevettero consigli e avvisi.
Vi furono tentativi di censurare i nostri messaggi, ma avevamo preso la precauzione di trasmetterli su parecchie lunghezze d’onda. Era difficile bloccarli tutti.
Agli avvisi mescolammo la solita propaganda: notizie sulla fallita invasione, fotografie strazianti delle vittime, nomi e numeri di identità degli invasori uccisi (indirizzati alla Croce Rossa perché informasse i parenti, ma in realtà crudele rivincita per far sapere che tutti i soldati erano morti e tutti gli ufficiali ed equipaggi delle astronavi uccisi o catturati). Ci dichiarammo spiacenti di non essere in grado di identificare le vittime dell’ammiraglia, distrutta in modo così totale da rendere inutile ogni ricerca. Il nostro atteggiamento era però conciliante e il significato dei messaggi era più o meno questo: "Sentite, gente della Terra: noi non vogliamo uccidervi. In questa inevitabile rappresaglia cerchiamo con tutti i mezzi di evitarlo. Ma se voi non volete o non potete fare in modo che i vostri governi ci lascino in pace, allora saremo obbligati a sterminarvi. Non potete impedircelo. Perciò, vi preghiamo di usare il buon senso!".
Spiegammo più volte che per noi era facile colpirli, mentre per loro difficile raggiungerci. Questa non era un’esagerazione. È quasi impossibile lanciare missili dalla Terra alla Luna. Più facile il lancio dall’orbita di parcheggio della Terra: ma molto costoso. Praticamente l’unico sistema che avevano a disposizione era il bombardamento dalle astronavi.
Facemmo però notare che già ne avevano perdute sette delle migliori nel tentativo di punirci di colpe che non avevamo commesso: volevano rischiarne altrettante? In questo caso le armi segrete usate contro la nave ammiraglia Pax erano pronte.