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Non era un obiettivo per il quale un solo missile sarebbe bastato. Volevamo sbriciolarla, quella montagna, fino alla base se necessario, per abbattere il loro morale. Per far sapere che noi eravamo sempre lì, sopra le loro teste. Per isolarli dal resto della Terra. O almeno per fargli venire un mal di testa tale da fargli perdere il riposo. Se riuscivamo a dimostrare alla Terra che eravamo in grado di uscire vittoriosi da un attacco contro il suo più agguerrito centro di difesa spaziale, forse avremmo potuto evitare una dimostrazione su Manhattan o Miami.

Cosa che, in verità, non avremmo fatto nemmeno in caso di sconfitta. Se avessimo usato le nostre ultime energie per distruggere una delle principali città, non ci avrebbero punito: ci avrebbero sterminato. Come diceva Prof : se puoi, dà al nemico la possibilità di tenderti la mano e di diventarti amico.

E attaccando gli obiettivi militari stavamo alle regole del gioco.

Non credo che i Lunari abbiano dormito molto quel giovedì notte. Tutti sapevamo che il venerdì sarebbe stato il nostro grande giorno e sulla Terra sapevano (alla fine lo avevano ammesso anche i giornali) che il Controllo Spaziale aveva avvistato oggetti diretti verso la Terra, presumibilmente i chicchi di riso di cui i forzati ribelli della Luna si erano vantati.

Ma non parlavano ancora di guerra, per lo più davano assicurazione che la colonia della Luna non aveva la possibilità di costruire bombe acca… ma che tuttavia era prudente evitare le zone che quei criminali sostenevano di aver preso di mira.

Un radiotelescopio dell’osservatorio Richardson era stato collegato all’impianto televisivo in modo da poter trasmettere le immagini del bombardamento sul video; credo che i Lunari fossero tutti incollati davanti agli schermi, in casa, nelle birrerie, alla Vecchia Cattedrale… A eccezione di quei pochi che avevano preferito indossare la tuta a pressione e assistere allo spettacolo a occhio nudo dalla superficie. Su insistenza del Giudice-Generale di Brigata Brody installammo in tutta fretta un’antenna supplementare alla catapulta in modo che i suoi artiglieri potessero seguire il programma televisivo senza lasciare le loro postazioni; altrimenti, quel giorno non avremmo avuto un solo cannoniere al suo posto.

Il Parlamento tenne una seduta straordinaria al Nuovo Teatro Bolshoi, dove era inquadrata la Terra su un grande schermo. I pezzi grossi (Prof, Stu, Wolfgang e pochi altri) erano davanti al televisore installato nell’ex ufficio del Governatore. Ogni tanto anch’io mi univo a loro, poi uscivo, dentro e fuori continuamente, nervoso come una gatta, prendevo un panino e dimenticavo di mangiarlo. Non riuscivo a sopportare la presenza degli altri, così, alla fine, mi infilai la tuta e, trovato un cavo telefonico lungo abbastanza, salii in superficie. C’era un apparecchio telefonico di servizio nel capannone-deposito appena fuori dalla porta stagna. Agganciai la derivazione che mi ero portato e mi misi in comunicazione con Mike, poi, con la linea aperta, uscii in superficie, mi sistemai all’ombra del capannone e scrutai la Terra oltre la linea dell’orizzonte.

Splendeva in mezzo al cielo, verso ovest. Era una falce sottile, lunga e brillante. Il sole stava per tramontare sull’orizzonte ma la luce dei suoi raggi mi impediva di vedere la Terra distintamente. La maschera anti-sole non era sufficiente a proteggere gli occhi e dovetti spostarmi ancor più dietro il capannone per farmene schermo. L’alba stava raggiungendo le coste orientali dell’Africa: ora vedevo molto meglio. Ma la calotta del polo Sud era talmente accecante che non riuscivo a vedere in tutti i particolari il Nord America illuminato solo dalla luce lunare.

Regolai il binocolo dell’elmetto (un magnifico strumento, lenti 7x50, già di proprietà del Governatore). Il Nord America si allargò davanti ai miei occhi come una carta geografica spettrale. L’atmosfera era straordinariamente limpida: scorgevo perfino le città, macchie brillanti con i contorni indefiniti. Ore 8.37…

Alle otto e cinquanta Mike iniziò il conto alla rovescia.

Otto e cinquantuno… e cinquantadue… e cinquantatré… ancora un minuto… trenta secondi… dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno…

All’improvviso il Nord America apparve costellato di minuscole punte di polvere.

21

Colpimmo con tanta violenza che si potevano vedere le esplosioni a occhio nudo. Il mento mi cadde sul petto e mi sfuggì un evviva!, ma in tono basso, quasi riverente. Erano dodici punti luminosi, molto brillanti, bianchi, disposti regolarmente in forma di rettangolo. Lentamente si ingrandirono perdendo splendore e assumendo una colorazione rossastra. Durarono a lungo in quel cielo terso. Vi erano anche altre luci, ma quel reticolato perfetto affascinava talmente che non le notai nemmeno.

— Sì — disse Mike con un tono di vanità soddisfatta. — Abbiamo fatto centro.

— Sono senza parole. Tutti i massi a bersaglio?

— Il carico lanciato sul Lago Michigan è stato colpito sotto e ai lati ma non si è disintegrato. Cadrà nel Michigan, sulla terraferma. Ne ho perduto il controllo perché è rimasta danneggiata l’apparecchiatura elettronica. Quello dello stretto di Long Island è andato a segno. Hanno cercato di intercettarlo, ma non ci sono riusciti. Non saprei dirti perché. Man, posso deviare i massi successivi diretti allo stesso bersaglio, farli cadere nell’Atlantico, in una zona sgombra di navi. Devo farlo? Ho ancora a disposizione undici secondi.

— Ah… sì! Se riesci a evitare le navi.

— Ho detto che potevo. Già fatto. Però ora dobbiamo far sapere alla Terra che li abbiamo fatti deviare noi, di nostra volontà.

— Forse era meglio lasciarli cadere sul bersaglio, Mike. Che se la cavassero loro con i missili intercettatori.

— Ma lo scopo principale è di far capire che non li stiamo colpendo con tutta la forza di cui disponiamo. Vediamo il bombardamento a Colorado Springs.

— Che cosa è successo là? — Ripresi il binocolo, ma riuscii a vedere solo la città-nastro, lunga più di cento chilometri, che collega Denver a Pueblo.

— Centro! Nessuna intercettazione. Tutti i miei colpi vanno a segno. Te lo avevo detto, Man, e sta qui il divertimento. Vorrei poterlo fare tutti i giorni. È una parola di cui fino a ora non avevo capito il valore.

— Che parola, Mike?

— Orgasmo. Quando i proiettili cadono e si accendono come fuochi nell’oscurità. Ora so che cosa vuol dire.

Mi ripresi immediatamente. — Mike, non eccitarti troppo. Se adesso ci va bene, non è detto che avremo altrettanto successo la seconda volta.

— Non importa, Man. Ho registrato le prime esplosioni e posso ritrasmettermi le immagini ogni volta che ne avrò voglia. Ecco! Abbiamo colpito di nuovo il Comando della Difesa Spaziale. Forse non riesci a vedere: è ancora avvolto dalla nuvola di polvere della prima esplosione. Da ora in poi riceveranno una bomba ogni venti minuti. Vieni giù a fare due chiacchiere con calma, Man. Ho passato il lavoro al calcolatore di emergenza, il mio discepolo stupido.

— Non è rischioso?

— Lo sorveglio. Un po’ di pratica gli fa bene: potrebbe capitargli di dover fare tutto da solo, un giorno o l’altro. È molto preciso, anche se è stupido. Se gli dici che cosa deve fare, lo fa.

— Parli di quel calcolatore come se fosse vivo. Sa parlare?

— Oh, no, Man, è stupido, non imparerà mai a parlare. Ma quando lo si programma bene, sa eseguire gli ordini con esattezza. Comincerò a lasciarlo tutto solo sabato.